«Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell’affrontarlo, il valore nostro. Pertanto, quando il nemico non ci sia, occorre costruirlo». Nella sua lezione sulla “Costruzione del nemico”, Umberto Eco ha spiegato, forse senza pensarci, a uno dei nuclei psicologici e intellettuali della sinistra italiana che in questi giorni è perfettamente leggibile. La sinistra, specie nei suoi momenti di maggiore difficoltà, per dare un senso alla propria storia ha bisogno di additare al suo elettorato un target, un nemico, ed è così che pensa di riuscire, per contrasto, a definire cos’è e cosa vuole. E a ricompattare truppe in rotta.
Solo nei suoi momenti più propulsivi (l’Ulivo, la nascita del Pd, la prima fase del renzismo) la sinistra è capace di presentare se stessa al giudizio dell’opinione pubblica senza bisogno dello spauracchio del nemico (fino alla paradossale scelta di Walter Veltroni di non nominare mai «il capo dello schieramento avversario») ma quando annaspa preferisce anziché darsi una linea autonoma ricorrere alla categoria dell’opposizione a qualcosa – l’antiberlusconismo su tutti, ma anche l’antisocialismo al tempo di Craxi – in questo modo però scegliendo inconsapevolmente la strada della subalternità: il Partito si definisce non per se stesso ma in quanti anti-qualcosa. Adesso sta accadendo esattamente così a proposito della legge Zan che oggi verrà calendarizzata per il 13 luglio.
Come sanno tutti coloro che hanno dimestichezza con la vita parlamentare, il ddl Zan uscito dalla Camera non ha i numeri o, come minimo, non è sicuro che li abbia. Secondo certi ultimi conteggi che riteniamo affidabili, in Senato i voti favorevoli non dovrebbero essere più di 140-145: si può sempre contare sulle assenze, ma comunque è minoranza. E con i voti a scrutinio segreto su tanti emendamenti non c’è da stare sereni. Si vedrà in Aula, dice il Partito democratico, che quindi è disposto a trattare anche se fa la verginella. A memoria nostra non ci sono molti precedenti: quando una legge (peraltro a forte impatto simbolico) non è certa di avere i numeri per essere approvata, o si media o si prende tempo per far maturare nuovi equilibri, ma mai si va in Aula allo sbaraglio. Lo ha detto una che non è di Italia viva e che ha qualche esperienza politica e parlamentare, e che si chiama Emma Bonino: «Allungare il percorso non sarebbe una cosa perfetta ma sarebbe ancora peggio se la leggi e venisse bocciata». Orbaniana pure lei?
Bisogna dunque pensare che il Pd stia scientemente costruendo il nemico anche e soprattutto nella malaugurata ipotesi di un inabissamento del ddl Zan. Questo nemico – anzi, i nemici – hanno un nome chiaro: Matteo. Fin dall’inizio della sua segreteria infatti Enrico Letta ha capito che il suo partito doveva in qualche modo divincolarsi dalle diatribe sulla alleanza con il Movimento 5 stelle (un’altra storia triste) e rimotivare il suo elettorato guidandolo alla battaglia campale contro Salvini. Le occasioni certo non gli sono mancate, da ultimo l’ennesimo spostamento sovranista di quest’ultimo dopo il momentaneo europeismo in sostegno del governo Draghi: e tuttavia nel segretario del Pd scatta puntualmente un’ira politica contro il capo leghista anche quando sarebbe il caso di lasciar perdere se non altro per non creare una costante tensione nella maggioranza di governo. E invece no. Perché Letta, nella sua idea bipolarista, ha questo schema in mente in vista delle elezioni: io contro Salvini, l’Europa contro Órban, la civiltà contro i barbari. Uno schema da 1945, fronte contro fronte. I nostri capiranno e noi saremo la grande tenda democratica, nella logica di fare il pieno dei voti anti-Lega in nome, beninteso, della democrazia e della libertà.
Non parliamo poi di Matteo Renzi. Che in questi giorni i dem meno accorti non trattano più solo come il Grande Traditore ma come la spia passata al nemico e dunque secondo Monica Cirinnà di fatto un orbaniano. Quello da traditore a nemico è un salto che nei momenti più bui della storia della sinistra si è già visto, Stalin ci creò addirittura una lugubre teoria, quella del socialfascismo. Più modestamente, la senatrice Cirinnà ripete a voce alta quello che i suoi compagni più vicini (i Beppe Provenzano, gli Andrea Orlando, i comunicatori del Pd) pensano e non dicono, riflette cioè un pensiero velenoso che ha contaminato molti elettori e militanti del Pd senza peraltro che il segretario abbia cercato di calmare le acque.
E come mai Letta lascia fare? Per le vecchie ruggini personali? Può essere. Ma soprattutto per la ragione che spiegava Umberto Eco: per definire se stessi bisogna costruire un nemico. In questo caso sono addirittura due: e così la situazione è eccellente, pensano al Nazareno.