CataclismiCosa insegna la storia ambientale dell’umanità

Nel suo nuovo libro, il giornalista ed esperto di storia globale Laurent Testot ripercorre tutte le tappe evolutive della nostra società, concentrandosi sull’impatto che l'attività antropica ha avuto sul pianeta

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[…] Tra il 1990 e il 2013 le emissioni umane di anidride carbonica sono cresciute del 60%. Le conseguenze sono che lo scioglimento dei ghiacciai procede più spedito di quanto previsto, l’acidificazione degli oceani è più importante di quanto era stato prospettato negli scenari medi prodotti dagli esperti.

La certezza è, per come stanno andando le cose, che da qui alla fine del secolo siamo destinati ad abitare un mondo più caldo dai 4 ai 6°, con un aumento del livello delle acque da 1 a 5 metri, se non di più, e con effetti imprevedibili in termini di catastrofi naturali. I climatologi non la mandano a dire: il 97% di loro, una cifra record per un consesso scientifico, sono d’accordo nell’affermare che il pianeta si sta riscaldando al di là del ragionevole e che la responsabilità di questo problema è dell’umanità. Eppure, per qualche curioso processo di negazione, non facciamo niente per mobilitarci contro questa minaccia; a parte vagamente, durante le riunioni internazionali, nell’esitante valzer a cui sono chiamati a partecipare i nostri Stati.

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Stiamo trasformando il nostro pianeta in un pianeta impossibile bis. Non ci resta che prenderne coscienza, prima che la guerra che stiamo facendo contro di lui ci porti a un punto di non ritorno. Tocca a noi cercare una via di uscita da un problema che noi stessi abbiamo generato.

Le soluzioni sono quelle conosciute […]: consumare meno e locale; favorire le agricolture rispettose dell’ambiente (proibire gli allevamenti lager e arrivare a un consumo di carne molto più ragionevole); tassare i commerci di lusso per aiutare i settori vitali (salute, educazione…); sviluppare i trasporti pubblici e le energie rinnovabili; smantellare ogni sovvenzione data a chi estrae energie fossili e pratica agricoltura industriale; eliminare i paradisi fiscali; lottare contro le disuguaglianza, cominciando da quelle che colpiscono le donne; rinunciare al nucleare, energia troppo pericoloso che genera oggi un inquinamento spaventoso e ingestibile per le generazioni future; proteggere e restaurare gli ecosistemi […]

Non ci resta che qualche decennio per concretizzare queste iniziative attraverso un processo democratico. Superata questa soglia, è assai probabile che l’umanità, per sopravvivere, si vedrà costretta a prendere decisioni più radicali.

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Non c’è più nessun climatologo che creda veramente che il riscaldamento globale possa essere contenuto nel limite di un aumento di solo 1,5 °C rispetto alla temperatura di riferimento misurata alla fine del XIX secolo. I gas a effetto serra che abbiamo immesso nell’atmosfera ci hanno spinto verso il superamento di questo limite previsto per il terzo decennio del secolo in corso. E se da ora al 2030 non riduciamo almeno della metà, se non dei tre quarti, le emissioni di questi gas che per adesso non hanno smesso di crescere, allora supereremo la soglia dei 2 °C già nel decennio 2050-2060.

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E dopo? Dopo, ci sarebbe soltanto il caos. Anche i modelli non sono in grado di simulare alcuno scenario se si superasse la soglia di +2 °C, perché in quel caso diversi effetti soglia potrebbero essere superati, come lo scioglimento del permafrost, il terreno gelato che potrebbe liberare enormi quantità di metano, un gas a effetto serra davvero potente.

Non ha senso fare ipotesi per questi scenari, arrivare a quel punto significherebbe condannare l’umanità a cure palliative. Eppure, abbiamo ancora una qualche speranza. Ci restano dieci o forse dodici anni per salvare la Terra, non dico dal disastro, già compiuto almeno in parte, ma per provare almeno che l’essere umano è in grado di preservare quello che ancora esiste.

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Senza gli ambienti umidi, i grandi alberi delle foreste tropicali e il plancton, la Terra non sarebbe in grado di attenuare gli eventi climatici estremi che la colpiranno. Prima della fine di questo secolo l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo e i vegetali che mangiamo potrebbero non essere più disponibili se venissero a mancare gli ecosistemi in grado di produrre e purificare.

In passato, il degrado ambientale era generalmente troppo lento perché la massa degli umani potesse rendersene conto. Questo fenomeno è conosciuto come amnesia ecologica. Nessuno può ricordarsi personalmente com’erano gli oceani nel XVII secolo, quando ospitavano, per esempio, un numero cinquanta volte maggiore di balene rispetto al XXI secolo.

Oggi è diverso, e ce ne rendiamo conto quando sentiamo sospirare il nonno, che con gli occhi lucidi si ricorda per un istante dei milioni di maggiolini che vedeva volare d’autunno quando era giovane… mentre i nipoti lo ascoltano perplessi chiedendosi di quale marca di droni stia mai parlando.

Lauren Testot, Cataclismi. Storia ambientale dell’umanità, Odoya Edizioni, pagine 528, euro 25

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