Quest’estate le luci del Cocoricò resteranno spente. Sotto la piramide di vetro e acciaio che sovrasta le colline di Riccione hanno ballato Lucio Dalla e Jean-Paul Gaultier. Ha suonato Patty Pravo, mentre i Daft Punk sono stati cacciati dalla console. Un’identità musicale fortissima, un pubblico esigente. Il Cocoricò è più che una discoteca. Qui da trent’anni è stato scritto un pezzo di cultura contemporanea, tra avanguardie e provocazioni.
Quarti di bue appesi alle pareti, muri ricoperti da pistole, performer chiusi dentro a teche piene di mosche. Il locale italiano più iconico e discusso, certamente il più famoso in Europa. Una meta di pellegrinaggio per migliaia di appassionati. Non a caso è stata definita la «Mecca», «la cattedrale», «il tempio della musica».
Il “Cocco” è fallito nel 2019 per poi rinascere, o quasi. La pandemia ha bloccato tutto fino a data da destinarsi. «Ho rinviato l’inaugurazione sei volte negli ultimi due anni, adesso speriamo di riaprire a ottobre ma con tutti questi “sì, no, boh, vediamo” ho qualche dubbio anche sull’autunno». Enrico Galli, noto imprenditore della notte riminese, ha rilevato il Cocoricò a gennaio 2020, appena prima che il Covid sconvolgesse tutti i piani. Al telefono con Linkiesta racconta la delusione di un settore fermo da quasi due anni. «Eravamo convinti che ci facessero riaprire, il nostro protocollo era stato approvato dal Comitato tecnico-scientifico. Il green pass va bene per tutte le attività, ma non per noi. Intanto nelle piazze e sulle spiagge fanno ballare le persone senza licenze né sicurezza».
Prima dell’ultima decisione del governo, Galli aveva già deciso di non riaccendere le casse a causa della troppa incertezza. «Le star mondiali non aspettano noi, servono mesi per fare la programmazione artistica e organizzare le serate». Intanto ha investito 2,5 milioni di euro per ristrutturare tutto il locale. Centomila solo per tirare a lucido la mitologica piramide, quella da cui generazioni di clubber hanno aspettato l’alba. «Ma visto che la società è nata da poco e non ha potuto registrare nessun calo di fatturato rispetto al 2019, non ho avuto un euro di ristori».
Nell’estate della variante Delta, la Riviera romagnola deve fare i conti con l’aumento dei contagi mentre continua ad accogliere decine di migliaia di turisti. Nonostante i focolai, Rimini resta la capitale dei villeggianti. «Questo è l’unico luogo in cui è ancora possibile vivere e innestarsi nel continuum del romanzo nazionalpopolare», scriveva Pier Vittorio Tondelli. L’immaginario è quasi lo stesso. Le spiagge larghissime e gli alberghi familiari. Ma soprattutto la musica in pista, nella terra di Raoul Casadei. Dal liscio alla techno, dai balli di coppia ai dj internazionali. Mentre nel resto d’Italia centinaia di discoteche hanno chiuso i battenti, In Emilia-Romagna resistono oltre 300 locali, di cui la metà sulla costa. Un’industria da 200 milioni di euro con un indotto di 20mila persone occupate.
La pandemia ha messo a dura prova anche chi non aveva mai smesso di ballare. «Da simbolo dell’intrattenimento, la Romagna è diventata l’emblema della frustrazione». Gianni Indino è il presidente regionale della Silb-Confcommercio, l’associazione che riunisce i gestori dei locali. «Qualcuno a Roma ci deve spiegare perché non ci fanno riaprire, siamo in grado di garantire tutte le regole di sicurezza, abbiamo i servizi d’ordine, facciamo i tamponi, vendiamo i biglietti online». Le trattative continuano, le pressioni politiche aumentano. Il presidente della regione Stefano Bonaccini si è esposto: «Le sale da ballo rischiano di sparire definitivamente». Dal Pd alla Lega in molti vorrebbero dare il via libera ai locali.
Indino spera in un ripensamento da parte del governo: «In Riviera stanno arrivando migliaia di giovani che vogliono divertirsi. Quando trovano le discoteche chiuse si arrangiano e vanno a ballare dove possono, senza alcun tipo di controllo. In questo modo lo Stato ha legalizzato l’abusivismo, permettendo a molte persone senza scrupoli di fare business in questo contesto. In più si pone un tema di ordine pubblico: stanno aumentando risse e accoltellamenti. D’altronde accade questo se si lasciano i ragazzi in strada».
Nelle chat degli addetti ai lavori si respira aria di smobilitazione. In Romagna più di qualcuno ha abbandonato l’attività, diversi proprietari hanno deciso di affittare gli enormi spazi dei parcheggi per fare cassa. Altri riaprono cambiando formula, organizzando cene-spettacolo. Vale tutto, o quasi. C’è chi ha riacceso la musica e riempito la pista. Per questo un paio di discoteche del riminese sono state chiuse dalle forze dell’ordine. «Bisogna rispettare le regole – chiarisce il presidente di Confcommercio Indino – ma non biasimo chi è stato multato per aver raccattato qualche spicciolo. I gestori dei locali sono alla disperazione, pagano affitti da 200mila euro annui oltre a tasse e bollette. In cambio hanno ricevuto ristori di 6 o 7 mila euro».
In Romagna, come nel resto d’Italia, i gestori attendono che il green pass possa aprire le porte delle discoteche «Chi governa – si sfoga Enrico Galli – non capisce l’importanza del nostro comparto e non considera che anche noi dell’intrattenimento abbiamo aziende vere, con spese correnti e famiglie in carne e ossa. Lavoriamo a tempo pieno, personalmente dormo quattro ore a notte e non certo perché vado a divertirmi».