In ordine di celebrità: Chiara Ferragni è andata in Puglia, Fabio Rovazzi è andato su un sito di prenotazioni, Jeff Bezos è andato nello spazio, Richard Branson pure, Virginia Grilli invece non può andare da nessuna parte, forse neanche all’università.
Chiara Ferragni ha preso un aereo privato per andare in Puglia con la famiglia. È plausibile l’abbia pagato la struttura alberghiera per far brillare di notorietà riflessa la quale la signora stava appunto andando in Puglia, ma questo è secondario. Se anche la Ferragni se lo fosse pagato da sé, facendo un quinto di storia di Instagram in cui pubblicizzava i sofficini Findus (un volo d’un’ora costa molto meno della tariffa di mercato per una storia di Chiara Ferragni), non sarebbero fatti nostri. Se l’epoca dello scrocco non fosse anche l’epoca della simulazione del pauperismo.
Sono ragionevolmente convinta che i ricchi abbiano ormai, nelle loro magioni, una stanza per Instagram. È quella in cui si fotografano mostrandoci pavimenti bruttissimi, infissi dozzinali, pensili Aiazzone o giù di lì. È quella in cui si rifugiano per non farci invidia e farci pensare la frase che più ci piace pensare scorrendo gli Instagram dei ricchi: sarei un ricco migliore di te.
Il capolavoro, in questo senso, è una foto di due settimane fa. Elon Musk e Richard Branson, due fantastiliardari, si fotografano in casa (non si sa di chi dei due: Musk è scalzo ma, nel tweet, è Branson ad avere un tono da padrone di casa) prima di andare a fare un giretto nello spazio. Le piastrelle della cucina, le manopole degli sportelli, il pavimento: non c’è un dettaglio di quella scenografia che non urli «Mondo Convenienza». Sarei un ricco migliore di Branson, che ha organizzato uno scuolabus per andare nello spazio; e di Musk, che da Branson ha comprato un biglietto d’andata e ritorno. O almeno: i social servono a convincermi di questo.
E di questo ci convince la Ferragni ogni volta che mangia sushi dalla confezione da asporto, su tavole non apparecchiate, versando acqua minerale da bottiglie di plastica: sono una di voi, povera dentro sebbene multimilionaria. Poi però prende l’aereo privato e allora noi, sui nostri social che scambiamo per tribunali del popolo, c’indigniamo. Ma mica per i soldi (ricorderete quell’uomo saggio che in gioventù mi spiegò che, quando dici «è una questione di principio», è sempre una questione di soldi).
È che il volo privato inquina. È la stessa ragione per cui i buoni si sono indignati con Bezos: lo sa quanto inquina, il suo giretto nello spazio? Sono ottanta voli intercontinentali, puntesclamativo. Un conto è inquinare con una Panda diesel, ma inquinare da ricchi è deprecabile. Non siamo invidiosi: siamo ambientalisti.
Se ci pensate, il lasciapassare verde (come diciamo io e Mario Draghi, che non dobbiamo dimostrare di aver conseguito il First Certificate) ha il nome perfetto. Certo, è verde come il semaforo, ma è verde come l’ambiente: è per tutelare l’ambiente che possiamo andare in giro (preferibilmente non su razzo spaziale o aereo privato) solo da vaccinati.
Se non siamo Virginia Grilli, cui il lasciapassare non lo rilasciano perché, a maggio, si sono sbagliati, e – invece d’una fiala con una parte di vaccino e cinque parti di soluzione fisiologica – le hanno iniettato sei dosi di vaccino. Ovviamente ha i valori tutti sballati e, ha raccontato al Corriere, non le danno il lasciapassare perché è un caso unico al mondo e non vogliono assumersi responsabilità. È una storia arcitaliana in cui a chiamarla per scusarsi non è il medico responsabile della vaccinazione, ma il padre del medico, incidentalmente direttore sanitario del luogo della distrazione.
Bezos, così attento ai simboli (ha portato nello spazio con sé un’ottantaduenne e un diciottenne), avrebbe potuto portarla in orbita. O almeno regalarle cento milioni di dollari: ne ha donati cento a testa a un giornalista della Cnn e a un cuoco, dice che possono farci quel che vogliono, e nessuno dei due li ha sdegnosamente rifiutati. Anche se il cuoco ha precisato che con cento milioni non si risolve il problema della fame nel mondo, che è il rimprovero più comune oltre all’inquinamento: con quel che è costato andare nello spazio, si sarebbe potuto risolvere per sempre il problema della fame nel mondo. (Ma in che modo? Portando al ristorante tutti i bambini poveri? Facendo piovere dove c’è la siccità?)
In questi giorni Fabio Rovazzi, su Instagram, sponsorizza Lastminute, l’agenzia di viaggi on line usata non certo dai fantastiliardari. Mette le sue brave storie con tanto di sondaggio. Ho visto che su Lastminute ci sono delle offerte per la Grecia, preferite Rodi o Creta? Io, da che guardo le storie di Rovazzi, l’ho rare volte visto spostarsi in prima classe (quando va negli Stati Uniti in aereo, o quando va a Roma in treno), e perlopiù in aereo privato. Lo svantaggio della personalizzazione del giorgiomastrotismo è che come faccio a crederti quando mi dici che usi un sito per viaggi da pezzenti se poi ti sposti in modi da ricco?
È lo stesso problema che c’era quando eravamo chiusi in casa e, non potendo promuovere abiti da sera su tappeti rossi, la Ferragni promuoveva il detersivo per pulire il box doccia: era impossibile crederle, figurati se si rovinava la manicure pulendo la doccia. Eppure doveva dirci che era una di noi, casalinga smaniosa. Anche Rovazzi deve dirci che è uno di noi, studente risparmioso.
Sono uno di voi è, tra i ricatti del postmoderno, quello che funziona meglio. Se la vita fosse ben sceneggiata, Virginia Grilli andrebbe alla prossima manifestazione contro il lasciapassare verde: sono una di voi, contraria alle restrizioni degli spostamenti e della frequenza universitaria, specie per chi ’sto benedetto greenpass non ce l’ha nonostante la vaccinazione sestupla.