Scusali, BerlinguerIl compromesso influencer e quel comune sentire adolescenziale di Fedez e Letta

Un tweet fuori registro di Claudio Borghi su omosessuali e sieropositività ha riallineato i due leader della sinistra italiana, il segretario del Pd e il marito di Chiara Ferragni, negli importanti collegi di Twitter e Instagram

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C’è stato un attimo che il Pd mi è sembrato niente: è stato quando mi hanno detto che si faceva dettare la linea dal marito della Ferragni. Poi no, sono andata a controllare gli orari dei post, ed era arrivato prima Enrico Letta, e il marito della Ferragni l’aveva ricalcato, che è un dettaglio che non so se dica più del declino delle élite o del declino del marito della Ferragni.

Tutto è cominciato da Claudio Borghi, che non so bene chi sia ma so bene che bisogna parlarne con disprezzo. Tuttavia fatico ad attenermi a questo comandamento, giacché qualche settimana fa il Borghi ha compilato un tweet in cui elogiava il mio libro, e ciò me lo fa sembrare un gigante del pensiero e dell’azione (che è la descrizione che Togliatti diede in morte di Stalin, spero che al Borghi faccia piacere stare a Stalin come io sto a Togliatti).

L’altro giorno Borghi twitta che, se i giornalisti lo chiamano per sapere se è vaccinato, dovrebbero chiedere anche a ogni intervistato gay se sia sieropositivo (questo Borghi è persino più nostalgico degli anni Ottanta di quanto lo sia io, dev’essere per questo che apprezza la mia prosa).

Con meccanismo simile a quello per cui Justine Sacco è diventata ufficialmente «quella del tweet razzista», Borghi è convinto la sua sia una battuta contro la discriminazione, e i detrattori dicono che è una battuta discriminatoria. Tra i primi a prendere le distanze, l’attore Alessandro Borghi, che si dissocia in quanto omonimo.

Poi, è martedì pomeriggio, arriva il tweet di Enrico Letta. Riposta il penzierino di Borghi, e aggiunge il penzierino proprio, che fa così: «Coloro con i quali noi dovremmo negoziare e condividere norme contro la omotransfobia…». I puntini di sospensione sono un crimine contro l’umanità, ma accantoniamolo e passiamo al marito della Ferragni.

Che il martedì sera mette il proprio penzierino, troppo elaborato per un tweet, nelle storie di Instagram: «E c’è un signorino (uno che aveva promesso al popolo italiano che si sarebbe ritirato dalla politica, un’altra storia ma che identifica la credibilità del soggetto) che settimane fa con la saccenza e la tracotanza di chi pensa di poter fare circonvenzione di incapace con gli italiani ci raccontava che bisogna sedersi al tavolo con questi “personaggi”, scendere a patti perché “la politica è fatta di compromessi” (e il nuoto è uno sport completo). Gli stessi del “se avessi un figlio gay lo brucerei nel forno” che evidentemente non perdono occasione per smentirsi. Vero @matteorenzi? La recita continua…».

Tre puntini di sospensione non fanno la prova d’un unico autore, per carità: l’Italia è piena di gente che scrive male e pensa male, e anzi qui l’autore testi del marito della Ferragni s’è anche contenuto (di quel «tracotanza» parliamo un’altra volta: i danni del classico su chi poi finisce a lavorare con gli influencer, signora mia).

Diciamo che è solo sintonia. Diciamo che un influencer che punta tutto sulla Zan come tema sicuro con cui ampliare il proprio consenso personale, e il segretario d’un partito che forse dovrebbe avere più chiare le priorità, diciamo che tutti e due hanno autonomamente deciso che per la raccolta del consenso funzioni il messaggio «ricordare ogni momento che Tizio è cattivo perché pensa che la politica si faccia facendo compromessi politici». Che Tizio sia Renzi è, lo dico pur sapendo di scontentarne sia i detrattori sia gli ammiratori, accidentale: quello che conta qui è il messaggio «noi siamo duri e puri, mica come lui».

Che è un messaggio che va bene se sei un sedicenne in assemblea d’istituto. Che va benissimo se sei un influencer che ha scoperto da poco le buone cause e vorrebbe passare dall’essere il Giorgio Mastrota della propria generazione all’essere il Bob Geldof del ventunesimo secolo. Ma è preoccupante se sei il segretario d’un grande partito di sinistra. Erede di quel partito il cui più noto traguardo si chiamava, tu pensa, «compromesso storico» (decidete voi se sto parlando della Dc o del Pci, di chi dei due sia erede il Pd, e di chi sia erede in particolare Letta).

Chissà se «compromesso storico» oggi diverrebbe cancelletto da trending topic. Chissà se coi trending topic si possono fare le piattaforme programmatiche. Incidentalmente, noto che – tra le tendenze di giornata sulle quali urgentemente twittare – Letta ha trascurato il ventennale del G8 di Genova – ma è senz’altro un caso.

Un caso anche la sintonia di vedute tra uno che discetta di buone cause indossando la maglietta in vendita come merchandising del proprio podcast (Mastrota era un dilettante), e uno che non resiste alla tentazione di ricordarci in continuazione quanto gli stia antipatico quello cui passò la campanella a palazzo Chigi: sono sicura che sia stata una sintonia casuale. Un idem sentire, direbbero gli autori del marito della Ferragni.

Sono sicura che oggi sia già passata; il marito della Ferragni avrà delle tracolle d’acrilico da venderci, il segretario del Pd tornerà ai trending topic, proprio come nella canzone: «E abbiam ripreso a masticare questa vecchia rumba, ci siam sorrisi e salutati e siam rimasti in pista».

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