Contro i grovigli giudiziariPerché bisogna evitare la mediazione obbligatoria per la proprietà industriale e intellettuale

In Italia funziona già bene il processo di diritto industriale, spesso addirittura meglio che in un buon numero di sistemi esteri. Basta avere un’idea anche solo vaga di cosa sia l’innovazione tecnologica e di mercato per capire che si è meno indotti a inventare e a creare se il frutto di quel lavoro si scontra con l’obbligo di tutelarlo lungo un percorso a ostacoli

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La giustizia civile non finisce spesso in prima pagina, ma è quella con cui più spesso hanno a che fare i cittadini e le imprese: ed è quella che, se non funziona, reca più danno al sistema economico.

In materia civile, le ipotesi di riforma del governo magari non appresteranno un sistema perfetto, ma c’è chi lavora per peggiorarlo anziché per emendarne i possibili difetti. Si tratta di roba tecnica, ma è facile spiegarla a chiunque.

Allora, il più notevole criterio ispiratore della riforma del processo civile viene dall’idea che sia necessario sgravare l’amministrazione dal gran peso di procedimenti che la affligge, e in questo senso si prevede un ricorso allargato a strumenti di cosiddetta risoluzione alternativa delle controversie, tra i quali la cosiddetta mediazione. Ne abbiamo discusso, in forma elzeviristica, proprio qui, per dire che c’è forse da dubitare addirittura in termini generali dell’appropriatezza dello strumento: primo, perché quando l’ordinamento assicura un diritto occorre che esso sia direttamente e immediatamente tutelabile; secondo, perché è tutto da dimostrare che la mediazione abbia lo sperato effetto deflativo; terzo, perché se pure lo avesse bisognerebbe in ogni caso riconoscere l’insensatezza sistematica di ridurre a efficienza un servizio togliendo competenze a chi dovrebbe erogarlo.

Ma a parte tutto questo – e veniamo alle cose attuali e concrete – se già in termini generali è discutibile il ricorso alla mediazione obbligatoria, a dir poco incosciente è estenderlo a materie che rigorosamente dovrebbero essere sottratte a quel regime di trattamento alternativo. Tra queste, innanzitutto, c’è la proprietà industriale e intellettuale (per intendersi: brevetti, marchi, concorrenza sleale, diritto d’autore), che il nostro ordinamento opportunamente affida a giudici specializzati proprio perché si discute di controversie ad altissimo contenuto tecnico, le quali reclamano la prontezza di una tutela immediata (non mediata, appunto) e qualificata.

Tra i sub emendamenti al disegno governativo presentati nei giorni scorsi, purtroppo, alcuni sono sconsideratamente rivolti a estendere l’obbligatorietà della mediazione a quelle controversie, e deve trattarsi di elaborati messi insieme da parlamentari magari anche in buona fede, ma che non hanno la più pallida idea di cosa siano i cosiddetti beni immateriali e di come occorre tutelarli affinché gli operatori economici decidano di dedicarvi investimento. Perché investire in un titolo di proprietà industriale ha senso nella misura in cui e a patto che sia poi possibile azionarlo e vederlo tutelato con effettività: e si può immaginare quanto l’investitore sia in tal senso rassicurato quando apprende che difendere un brevetto o un marchio in Italia significa infilarsi obbligatoriamente in una procedura di mediazione.

Non si sa, ma il processo di diritto industriale, in Italia, funziona molto bene, e spesso meglio che in un buon numero di sistemi esteri: dovremmo essere capaci di venderlo, spiegando numeri alla mano (e i numeri ci sono) che qui da noi la proprietà industriale e intellettuale è ben tutelata e val la pena di investirci. Ma se la si infila nel collo di bottiglia della mediazione, allora buonanotte, perché il titolare del diritto non ci si infila e va a cercare tutela altrove, vale a dire dove le possibilità di ottenerla non sono ostacolate dalle lungaggini mediatorie.

Si confida che il Governo dia parere negativo a quelle ipotesi di emendamento, e che tutti comprendano l’esigenza opposta di tenere la proprietà industriale e intellettuale fuori dal perimetro di obbligatorietà della mediazione. Non ci vuole neppure un giurista, per capirlo. Basta avere un’idea anche solo vaga di cosa sia l’innovazione tecnologica e di mercato: perché come non si inventa né si immaginano soluzioni creative a suon di mediazioni, così si è meno indotti a inventare e a creare se il frutto di quel lavoro si scontra con l’obbligo di tutelarlo lungo un percorso a ostacoli.

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