L’Italia vince ai rigori, batte l’Inghilterra sul suo campo ed è campione d’Europa. Un trionfo stupendo, inatteso ma meritato, per quella che è stata una delle migliori formazioni viste a Euro 2020 – se non la migliore in assoluto – per continuità, livello delle prestazioni e capacità di superare ogni difficoltà.
Con questo successo l’Italia corona un percorso iniziato appena tre anni fa, partendo dalle macerie di una mancata qualificazione ai Mondiali 2018: probabilmente nemmeno la federazione e lo stesso ct Mancini si aspettavano di riuscire a costruire una squadra così forte, così solida e vincente in un tempo tanto breve.
È soprattutto il successo di Mancini, che ha costruito una squadra eccezionale esaltando il collettivo e innalzandolo sopra ogni altra cosa: Euro 2020 ha premiato il gruppo migliore, non necessariamente quello più dotato di talento o di stelle, ma quello più completo, con l’identità più riconoscibile, il gioco corale più brillante. Come hanno detto praticamente tutti i giocatori della rosa nell’ultimo mese: «»In quest’Italia sono tutti titolari».
La finale è stata, ancora una volta, il successo di un gruppo che ha saputo imporre il proprio gioco, scendendo in campo per provare a fare la partita. Ma, proprio come contro la Spagna in semifinale, non sono bastati 120 minuti: ai rigori, che non sono una lotteria, non sono casualità, l’Italia ha dimostrato di avere una qualità superiore.
L’eroe è stato ancora una volta Donnarumma, che ha parato gli ultimi due rigori di Sancho e Saka con la freddezza di un veterano (a volte sembra difficile credere che sia un ragazzo del 1999), cancellando anche gli errori di Belotti e Jorginho.
In partita il fattore campo si è visto, si è sentito, ha pesato in qualche modo: Wembley ha applaudito ogni buona giocata inglese, rumoreggiato a ogni fischio “italiano” dell’arbitro Kuipers, fischiato a sua volta sul giro palla azzurro.
Il campo ha dato ragione agli inglesi nei primi 50 o 60 minuti, ma con il passare del tempo gli equilibri tra le forze si sono ribaltati e l’Italia ha dominato la seconda parte della sfida, tornando a soffrire soltanto nel secondo tempo supplementare.
L’Inghilterra è partita meglio, grazie alle scelte del ct Gareth Southgate e all’evoluzione di una partita sbloccata dopo appena 3 minuti. Il vantaggio inglese è arrivato con un gol di Luke Shaw su un traversone di Kieran Trippier, i due laterali schierati da Southgate in posizione più avanzata del solito. Paradossalmente si tratta di una delle combinazioni più viste nell’ultima stagione di Serie A, messa in pratica da Atalanta, Inter, Lazio, Hellas Verona. E ha sorpreso l’Italia subito dopo l’avvio.
La decisione inglese di schierare Trippier e Shaw più alti, con tre centrali, ha pagato anche in diverse azioni successive: Trippier è stato spesso trovato sulla destra isolato in uno contro uno con Emerson Palmieri, guadagnandosi spesso lo spazio per tracciare traiettorie arcuate in area.
Nel primo tempo l’Italia ha avuto difficoltà a disinnescare le opzioni offensive inglesi. Decisivo, per lo sviluppo della manovra dei Tre Leoni, è stato il gioco tra le linee dei suoi tre uomini offensivi. In particolare il lavoro di raccordo di Kane – molto simile, per idea, a quanto aveva fatto Dani Olmo nella Spagna – che ha giocato da regista (come suo solito), tolto riferimenti e certezze a Bonucci e Chiellini, e mandato fuori giri la fase di recupero palla dell’Italia.
Stavolta, a differenza della semifinale con la Spagna, gli Azzurri hanno potuto mantenere la palla, costruire le azioni dal basso e ragionare. Complice anche un approccio più prudente degli inglesi che hanno spesso rinunciato a pressare i difensori italiani, preferendo aspettare, arretrare e compattarsi dietro.
Per un’ora buona l’Inghilterra ha saputo frenare l’offensiva dell’Italia: il terzetto di centrali, aiutati dal lavoro di copertura degli esterni e dei due mediani, ha tolto aria a Insigne, Immobile e Chiesa. Gli Azzurri riuscivano a palleggiare, a guadagnare metri con le triangolazioni tra Jorginho, Verratti, Barella. Poi però finiva lo spazio, le maglie della difesa inglese si stringevano, si facevano più fitte.
Gli unici flash sono quelli firmati Federico Chiesa: in azione solitaria l’esterno può spezzare ogni tipo di marcatura e costruirsi un vantaggio per calciare o liberare un compagno. Costretto da un infortunio a uscire, a 5 minuti dalla fine.
Ma nel corso della ripresa Mancini ha provato a mescolare le carte: ancora lo schieramento con Insigne o Chiesa ad alternarsi nel ruolo di falso centravanti (poi anche Bernardeschi), baricentro più alto per accerchiare il blocco difensivo inglese, uso del pressing alto e del palleggio per creare linee di passaggio e liberare tiratori al limite dell’area.
Così l’Italia ha creato di più, ha schiacciato dietro gli inglesi che non avevano più idee per uscire dalla pressione azzurra. E a poco più di 20 minuti dalla fine un calcio d’angolo si è rivelato decisivo: sponda di Cristante, colpo di testa di Verratti deviato sul palo da Pickford e tap-in da centravanti vero di Bonucci.
Il pari per 1-1 al 90esimo poteva quasi stare stretto all’Italia. E nella ripresa Mancini ha dimostrato di volerci credere ancora di più, inserendo Belotti per Insigne e restituendo alla sua squadra un centravanti di ruolo.
Ma i tempi supplementari si sono trascinati avanti per inerzia, su un sostanziale equilibrio tra la miglior organizzazione dell’Italia e la carica emotiva e agonistica inglese.
Nel finale, a un paio di minuti dalla fine, Southgate ha pianificato i rigori, Mancini ha voluto credere negli uomini che aveva in campo: il ct inglese ha messo dentro tutti gli attaccanti che aveva a disposizione (Rashford e Sancho, prima aveva inserito Grealish e Saka), ha tolto i pochi non rigoristi dal campo e se l’è giocata così dal dischetto. Non gli è bastato. Pickford ha parato il secondo rigore azzurro, quello calciato da Belotti. Ma Rashford ha pareggiato il conto degli errori calciando fuori. Poi è salito in cattedra Donnarumma, che ha chiuso la porta agli ultimi due rigoristi inglesi, Sancho e Saka, e ha portato l’Italia sul tetto d’Europa per la prima volta dal 1968.