RevenantI lupi sono tornati a ripopolare l’Italia

Nel suo nuovo libro il guardiaparco Luca Giunti propone le storie, le ricerche, i pericoli di un predatore che ricomincia ad abitare le nostre montagne, ed è ormai avvistato sempre più spesso anche in pianura. Durante il lockdown del 2020 si è anche spinto poco fuori le nostre città, a volte visitandole

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I lupi hanno sempre abitato la nostra Penisola. Lo spiega nel suo nuovo libro il guardaparco Luca Giunti. Sono stati costretti ad assentarsi per sessant’anni, un periodo breve nelle dinamiche naturali. «La vita non ama i vuoti, li riempie. Lasciato libero spazio al lupo, il lupo si è allargato. E dove torna solleva sempre gli stessi problemi: provoca danni e suscita paure. I danni sono concreti e attuali, le paure molto meno. Ma le affrontiamo con pensieri medievali». Con questo passo del nuovo “Le conseguenze del ritorno” (edito da Alegre), Giunti fa il punto su un predatore che tutt’oggi costituisce una fonte di timore e attrazione al tempo stesso.

Quando nasce l’idea di scrivere il libro?
La genesi del libro risale a otto mesi fa. Seguo e studio i lupi da moltissimi anni: in questo lungo periodo ho potuto raccogliere appunti, documentazioni, questioni, discussioni e presentare conferenze sul predatore. Poi, sono stato invitato a raggruppare e riordinare tutto questo da Roberto Bui, direttore della collana Quinto Tipo dell’editore Alegre. Da questo lavoro è emerso quello che viene definito un oggetto narrativo non catalogato, non identificato: non volevo dar vita a un saggio scientifico né a un’opera di fantasia. Desideravo, invece, proporre un testo divulgativo che potesse arrivare anche ai non esperti ed essere poi criticato e discusso.

Perché nell’immaginario collettivo, il lupo è un animale da temere?
È così e, per certi versi, è giusto che lo sia. Il lupo è l’animale che più di ogni altro e per più tempo ci ha tenuto nel ruolo di preda. Oggi questo non accade più, se non in alcune aree isolate del mondo, però per tutta la nostra storia di home sapiens questo mammifero ha cacciato anche noi. Detto questo, il lupo non è il principale autore dei danni che gli vengono attribuiti, benché certamente anche lui ne provochi. Questo predatore è come Pandora, perché scoperchia un secchio nel quale si adagiano responsabilità non sue.

Nella sua opera parla di questo animale come portatore di una funzione ecologica insostituibile. A cosa si riferisce?
Dal punto di vista strettamente ecologico, che è poi la ragione per cui il lupo è specie protetta a livello mondiale, la piramide alimentare della fauna terrestre necessita di avere al suo vertice un super predatore, cioè una figura che in Italia negli ultimi 50-60 anni è mancata perché l’abbiamo sterminata e questo ha comportato dei disequilibri nella gestione e nelle dinamiche delle varie popolazioni animali, che noi studiosi abbiamo sempre registrato. Oggi invece attestiamo gli equilibri riportati proprio grazie a una maggiore presenza del lupo. Ad esempio, fino a trent’anni fa c’era grande preoccupazione nelle valli dell’alta Val di Susa perché i cervi, esplosi di numero dopo le immissioni degli anni ’70-80’, compromettevano il rinnovo del bosco sia perché brucano i germogli sia perché rimanevano stanziali. Con il ritorno del lupo i cervi sono diventati più attivi e suscettibili allo spostamento.

Nel suo libro riporta un esempio anche meno locale.
È così. Ho parlato del Parco nazionale dello Yellowstone dove, dopo una lunga di assenza, questo predatore è stato reintrodotto (in Italia, invece, il suo ritorno è avvenuto naturalmente). Dopo pochi anni, e questo viene testimoniato anche nel documentario How wolves change rivers, l’animale è riuscito a dare nuova vita agli ecosistemi attigui ai corsi d’acqua. Anche in questo caso, il predatore è riuscito ad attivare il movimento dei cervi e dunque a migliorare la vita del bosco che, a cascata, ha portato a un miglioramento anche delle rive dei fiumi, un tempo compromesse dal continuo calpestio degli erbivori (che compromettano anche la stabilità degli alberi lungo gli argini) oggi più consolidate.

E questo ha attivato una catena di miglioramenti, come il ritorno del castoro.
Esattamente, parliamo di animali che a loro volta hanno contribuito ad assicurare una buona gestione idraulica dei fiumi. Tutto questo si chiama “cascata trofica”, una catena di effetti positivi innescata dal ritorno del lupo.

Il lupo oggi gode di buona salute?
Guardando all’Italia la risposta non può che essere positiva. La sua popolazione si espande dal Gargano fino agli Appennini e alle Alpi occidentali. Ci aspettiamo che entro 5-10 anni il ripopolamento avvenga anche nella parte nord-orientale della Penisola. In ogni caso, i numeri attuali fanno ben sperare. Cinquant’anni fa la specie contava solo 100 esemplari: 50 maschi e 50 femmine. Di questi probabilmente solo 60 hanno originato la popolazione attuale, che nell’ultimo censimento viene stimata in circa 2000 animali.

Guardando invece al Vecchio Continente, che informazioni abbiamo sulla salute del lupo?
Sono solo due le popolazioni, isolate da secoli, di questo predatore. Una è quella nel nord della Spagna dei lupi iberici e l’altra è quella dei lupi italiani. Se la prima continua ad essere isolata, per la seconda si è registrato un movimento. È infatti sufficiente che anche un solo esemplare valichi le Alpi orientali per entrare in contatto con una popolazione di lupi non più isolata ma continua, come quella balcanica. Mi spiego meglio: un lupo che vive in Slovenia ha la possibilità di entrare in contatto, attraverso decine e decine di altri esemplari, con quello che vive in Kamchatka, ovvero nel punto più orientale dell’Eurasia. Quando, qualche anno fa, è stato documentato il primo incontro tra una lupa italiana e un esemplare maschio slavo, che si sono poi accoppiati e riprodotti, tutti noi abbiamo celebrato questo matrimonio: per la prima volta dopo secoli un lupo italiano isolato riusciva ad accoppiarsi con uno che invece isolato non era. In ogni caso, tra ottobre e marzo scorsi è stato riorganizzato il primo censimento nazionale, frutto di protocolli condivisi e moderni, i cui  risultati saranno pubblici il prossimo autunno.

Quali sono le aspettative?
Speriamo in risultati che attestino un ulteriore incremento e che parlino di circa 2500 lupi. Oggi, però, quello che viene considerato il problema più grosso nella conservazione della sottospecie di lupo italico è la possibilità che l’animale si possa ibridare con dei cani inselvatichiti, i quali possono compromettere il patrimonio genetico del predatore. Per scongiurare questo risultato è necessario investire nella lotta al randagismo canino. Un problema e una soluzione di cui tutti noi, istituzioni comprese, siamo al corrente.

Luca Giunti, Le conseguenze del ritorno, Storie, ricerche, pericoli e immaginario del lupo in Italia, Alegre Edizioni, pagine 176, euro 15

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