I rapporti del Marocco con i paesi dell’Unione Europea si stanno deteriorando poco alla volta. Non con tutti: il paese del Maghreb conserva una relazione privilegiata con la Francia, relazione che sussiste fin dal 1956, anno in cui i transalpini concessero l’indipendenza ai maghrebini (a differenza di quanto fatto con l’Algeria, che dovette passare da una sanguinosissima guerra che causò, tra il 1954 e il 1962, oltre un milione di vittime, per arrivare alla decolonizzazione, il 5 luglio di 60 anni fa), ma negli ultimi mesi, Re Mohammed VI ha progressivamente interrotto le collaborazioni con la vicina Spagna e, da maggio scorso, con la Germania.
La crisi dei migranti di Ceuta ha aperto una faglia con Madrid difficilmente sanabile a cui si è aggiunto il ritiro dei soldati spagnoli dall’esercitazione African Lion 21, ma, se possibile, le schermaglie con Berlino sono ancora più preoccupanti.
Oggetto del contendere è sempre il Sahara Occidentale, l’ex colonia spagnola controllata dal Marocco dal 1975. Dopo il riconoscimento da parte degli Stati Uniti dell’autorità marocchina sulla regione lo scorso 10 dicembre, la Germania ha espresso dissenso, invitando Washington a «operare nel rispetto del diritto internazionale» e presentando una richiesta di approfondimento al Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
L’opinione tedesca è diventata evidente anche sui social, dove ha fatto molto scalpore l’immagine della bandiera del Fronte Polisario (il partito che reclama l’autodeterminazione del Sahara Occidentale, ndr.) esposta fuori dal palazzo regionale di Brema. Un gesto che ha irritato particolarmente Rabat.
La situazione è ulteriormente degenerata nel mese di maggio, quando il Marocco ha richiamato il suo ambasciatore in Germania, Zohou Alaoui, e ha attaccato le politiche tedesche via Twitter, sostenendo che «la Germania si è distanziata dallo spirito costruttivo per quanto riguarda il Sahara Occidentale» e che «le autorità tedesche agiscono in complicità con un individuo precedentemente coinvolto in atti di terrorismo, declassificando informazioni sensibili comunicate dai servizi di sicurezza marocchini alla loro controparte in Germania»
L’attrito diplomatico ha assunto i contorni di una spy story, subito smorzata dal settimanale tedesco Der Spiegel: l’individuo di cui parlava il profilo Twitter ufficiale degli uffici diplomatici marocchini è infatti il quarantenne Mohamed Hajib.
Metà tedesco, metà marocchino, Hajib è un dissidente che vive a Düsseldorf, dopo essere stato in carcere in Marocco dal 2010 al 2017 a causa della sua appartenenza a Jamaat Tabligh, un’organizzazione islamica nata nel 1926 nel sud dell’India e diffusa principalmente nel subcontinente indiano e nel Medioriente, ma con seguaci riconosciuti in circa 150 paesi del mondo. I Tablighi, noti per essere musulmani molto osservanti ed estremamente rigidi, sono sempre stati avversati dalla dinastia regnante del Marocco, che vede in loro una minaccia tanto religiosa quanto politica.
Durante la sua detenzione, Hajib ha subito percosse e torture da parte dei carcerieri, ma anche continui spostamenti, come documentato dal report dell’ambasciatore tedesco in Marocco, che nel 2011 ha parlato di «lesioni non insignificanti» e di «abusi e violenze fisiche inflitte nelle carceri di Sale e Meknes».
Le torture sono state successivamente accertate da una perizia di un medico legale di Düsseldorf, che nel 2017, assieme a uno psichiatra, un dermatologo e un’equipe di altri specialisti, ha confermato le violenze e ha dato il via libera alla concessione di un’indennità di invalidità del 50% per l’uomo, che nel frattempo ha chiesto al governo di Berlino un risarcimento di un milione e mezzo di euro per aver espulso dal proprio paese un cittadino che aveva passaporto tedesco (il processo è ancora in corso, ndr.).
Il dissidente è tornato ora alla ribalta per via dei contenuti che posta sui social. Hajib ha infatti un canale Youtube e un profilo Facebook attraverso i quali attacca quasi quotidianamente il Marocco e le politiche di Mohammed VI, incitando il popolo maghrebino alla ribellione e alla protesta.
Ciò che irrita il Governo di Rabat non è tanto il fatto che nel loro territorio sempre più persone prendano i video dello youtuber come invito a manifestare, quanto l’incapacità di arginare l’enorme impatto che Hajib ha nella comunità marocchina che vive in Germania e che ora guarda con sospetto l’establishment del loro paese di provenienza.
Se infatti è più facile mettere a tacere le testimonianze dei dissidenti in terra marocchina (e i mezzi sono molteplici: perquisizioni, arresti, lunghissimi interrogatori, minacce, sequestri di beni), è molto più difficile evitare che all’estero cambi l’idea che la comunità internazionale e l’opinione pubblica hanno del Marocco, che sta passando da partner affidabile a paese da guardare con sospetto.
In aggiunta a questo la diffidenza della cancelliera Merkel nei confronti del paese nordafricano, che a inizio 2020 non fu invitato a Berlino alla conferenza internazionale sulla situazione in Libia, ha incrinato in maniera quasi irrimediabile un rapporto bilaterale che solo un anno e mezzo fa sembrava solidissimo.
Ora lo scontro si gioca sul piano economico: la Germania ha infatti congelato il finanziamento da un miliardo di dollari per cooperazione e sviluppo destinato al Marocco. Un portavoce del ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas ha rilevato che i progetti sono «totalmente sospesi» e che il ministro è rimasto colpito dalla politica unilaterale di Mohammed VI.
A rafforzare il no allo sblocco del miliardo di dollari, un documento del ministero tedesco per la cooperazione e lo sviluppo economico, secondo cui nel 2019 il Marocco è stato il terzo paese per fondi ricevuti dalla Germania, dopo Egitto e Tunisia (con cui i rapporti diplomatici sono invece distesi, ndr.).
La parte più importante del finanziamento serviva per portare avanti “Power to X”, uno studio sulla produzione di idrogeno verde, un gas che l’Unione Europea ritiene essere una validissima alternativa ai combustibili fossili.
La brusca frenata nei progetti per la transizione ecologica inficia sul progetto ambizioso del governo di Rabat, che ha l’obiettivo di raggiungere entro il 2030 il 52% di utilizzo di fonti rinnovabili e, in un futuro più ampio, di esportare energie pulite. Il piano marocchino riguarda da vicino soprattutto l’Europa: la prospettiva, almeno prima del crollo degli equilibri, era quella di creare un mercato elettrico integrato, così come spiega la roadmap sul commercio di energia da fonte rinnovabile firmata nel 2016 da Spagna, Portogallo, Francia e Germania.
Perdere due paesi alleati così importanti complica la situazione e accende la luce sull’eccessivo autoritarismo della politica marocchina: i dissidenti aumentano a dismisura, mentre gli arresti per motivi più o meno pretestuosi non accennano a diminuire e riguardano anche cittadini italiani.
A fine giugno infatti, una 23enne con doppio passaporto è stata arrestata non appena atterrata a Marrakech, processata e condannata a due anni di carcere per aver offeso la religione islamica con una vignetta pubblicata su Facebook nel 2019.
Il consolato italiano ha immediatamente richiesto un colloquio con la ragazza per elaborare una strategia legale, mentre il ministero degli Esteri sta monitorando la situazione, ma è chiaro che Mohammed VI sta erigendo un muro ideale e ideologico con l’Europa.
Prendendo forse spunto da quello lungo 2500 km che cinge i territori occupati del Sahara Occidentale e che è il secondo più esteso al mondo dopo la Grande Muraglia Cinese. Con la differenza che quello nel deserto nordafricano è disseminato di mine antiuomo (circa 10 milioni, ndr.), per non farsi mancare proprio nulla.