Non è tanto quel che ha detto lui, Sergio Mattarella, e cioè che vaccinarsi rappresenterebbe un «dovere morale»: è come la comunità politico-giornalistica – pressoché senza eccezioni e con la solita prontezza ovina – ha festeggiato quell’ammonizione presidenziale.
Potevano lasciarla cadere lì e buonanotte. Macché: con immancabile solerzia servile e filante meccanicità strapaesana han preso a postarla a destra e a manca coi saluti della meglio retorica italianona («Grazie, Presidente!», «Perfetto, Presidente!»), così per un giorno han potuto smetterla di picchiarcelo dentro in proprio, il dovere morale, limitandosi all’esibizione della pezza quirinalizia: «Come dice il capo dello Stato…». E domani si vedrà.
Spiace doverlo osservare, ma in uno Stato laico i doveri morali con sigillo del potere pubblico non dovrebbero esistere; né lo Stato, se è laico, ha titolo di imporre comportamenti sul presupposto che essi siano “morali”. Lo Stato, sempre che sia laico, ha titolo per imporre, eventualmente anche con la forza, il rispetto della legge, alla quale occorre uniformarsi non perché è “giusta”, non perché è “morale”, ma perché è legge.
Fuori da questo perimetro il potere pubblico non dovrebbe allungare la propria grinfia moraleggiante, perché c’è caso che il suddito possa avere una morale sua (e diversa), che è legittimo conculcare con una legge uguale per tutti, non con la morale maggioritaria e tanto meno con la morale di Stato, che è di doppia usurpazione.
Il giornalista medio, anche se non l’ha detto Fedez, avrà sentito che auctoritas, non veritas facit legem: e che chi pensa di uniformarsi alla legge perché essa è giusta (è un altro modo di dire “morale”) riconosce allo Stato un compito che ad esso non compete, e a chi lo amministra un potere improprio.
Roba difficile? No, non è difficile: la giustificazione del potere di chi amministra lo Stato sta nel fatto che egli è sottomesso alla legge dello Stato, mentre se si lascia andare all’intimazione moraleggiante si mette al di sopra di quella legge e l’esercizio del suo potere si perverte in sacerdozio.
Dice: e questo polpettone per quattro parole di Mattarella rivolte dopotutto a convincere la gente a vaccinarsi, che in fin dei conti è quel che vogliamo tutti? Sì, questo polpettone per quattro parole eccetera eccetera. Perché il «dovere morale» di vaccinarsi non è diverso dal «dovere morale» recuperabile da un altro, che da altra (o magari dalla stessa) posizione di potere potrebbe domani spiegare la necessità di adempiervi secondo il suo criterio: affondare i barconi perché è dovere morale difendere i confini dell’Italia bianca e cristiana; far marcire i delinquenti in galera perché è dovere morale proteggere la gente per bene; far fuori mezzo parlamento perché è dovere morale combattere le lungaggini democratiche. Tutte soluzioni “a fin di bene”.
Ci diano i numeri indiscutibili dell’efficacia vaccinale. L’elenco dei morti a petto di quello dei salvati. Il bilancio delle economie risollevate e le prospettive di ripiegamento in caso di recrudescenza dell’infezione. Il «dovere morale», per favore, sia lasciato da parte.