È passato più di un anno e mezzo da quando la quotidianità dell’ufficio è stata accantonata, ridisegnata e rivisitata dalla pandemia. Nella maggior parte dei casi il lavoro si è spostato in casa, alla scrivania in camera da letto o magari nel soggiorno, pranzando davanti al pc, sul tavolo in cucina o altrove, magari indossando abiti che non sarebbero mai stati indossati in ufficio.
C’è stato un cambiamento radicale, un isolamento privilegiato per chi ha potuto starsene a lavorare da casa senza rischiare il contagio né di contagiare altri.
Una condizione che l’Economist paragona, con toni un po’ scanzonati, all’isolamento di un monaco in un monastero: «Una vita monastica può sembrare sorprendentemente familiare: indossano abiti scialbi ogni giorno per presentarsi a lavoro, alla stessa ora e allo stesso posto ogni. Perciò se tornare in ufficio ti ricorda quanto siano fastidiosi i tuoi colleghi, dedica un pensiero ai monaci che avevano gli stessi colleghi ogni giorno della loro vita e hanno dovuto trovare un modo per andare d’accordo con i loro fratelli: se odiavi il modo in cui il tuo commensale beveva la sua zuppa, dovevi semplicemente tacere e offrire la tua sofferenza a Dio», si legge nell’articolo pubblicato sul dossier 1843 della rivista.
Per far fronte alla vita in monastero, sono stati scritti molti libri. Uno dei più famosi è la “Regola di San Benedetto”, scritto nel VI secolo (intorno al 540 d.C.) da Benedetto da Norcia: è una guida su come vivere un’esistenza retta, che l’Economist indica ironicamente come «la prima guida di auto-aiuto alla vita aziendale».
La Regola benedettina è in realtà un lungo documento composto di un prologo e 73 capitoli, ma alcuni degli insegnamenti che contiene sono paradossalmente riconducibili senza troppo sforzo alla vita in ufficio.
È per questo che può essere considerata un buon manuale per il ritorno alla vecchia modalità di lavoro. «Alcuni di noi sono così abituati a vedere i colleghi solo in cornici rettangolari che potremmo essere un po’ troppo eccitati alla loro presenza nella vita reale. Non lasciarti trasportare, diceva san Benedetto: ti ricorderai presto quanto ti infastidiscono, e li infastidirai altrettanto», scrive l’Economist.
Questa descrizione a dire il vero prende spunto da vari libri di regole monastiche, tutti pieni di consigli volti a ridurre al minimo le abitudini irritanti dei colleghi e a consigliare come stabilire dei confini invalicabili.
Poi, certo, alcune delle regole dell’epoca andrebbero comunque contestualizzate: non tutto può andare bene per gli uffici del 2021. L’Economist ne individua una singolare: «Se qualcuno desidera defecare in una pentola o in un barattolo o in qualsiasi altro recipiente allora deve prima chiedere al più anziano di tutti». Magari questa può essere ignorata.
La routine dei monaci può insegnare molto anche sugli orari e il rispetto dei tempi. Non solo per un discorso di puntualità – che è sempre apprezzata, nel VI secolo come oggi. I monaci vivono al lavoro, mangiano al lavoro, dormono al lavoro, si lavano al lavoro, fine settimana al lavoro e vacanze al lavoro. Le ore possono essere molto lunghe, a volte. Allora serve un metodo per creare degli orari condivisi, preziose convenzioni da rispettare. I monaci stabilivano orari piuttosto rigidi per la raccolta e la preghiera, prevedendo in anticipo anche quali preghiere avrebbero recitato.
«San Benedetto era un saggio. Stabilire un orario per la preghiera significava che potevi fissare “ore regolari per i pasti”. Dopo aver provveduto allo stomaco e alla preghiera, c’era tempo per le solite cose della vita. Forse la sua più grande lezione per il mondo aziendale è stata che nessuno dovrebbe parlare dopo la preghiera della sera; il mancato rispetto di questa regola del silenzio dovrebbe essere sottoposto alle “pene più severe”. I colleghi che inviano e-mail e messaggi Slack in orari antisociali prendano nota», scrive l’Economist.
C’erano chiaramente alcune cose insolite tra le regole di un monastero di dieci o quindici secoli fa. Un’intrigante legge nella raccolta di San Pacomio stabilisce che nessuno «cavalcherà un asino senza vesti, da solo o con un altro». E questo ci ricorda che i monaci conoscevano bene i rischi derivanti dal consumo di alcool, soprattutto dall’eccesso di alcool.
È per questo che San Benedetto ha dedicato un intero capitolo “sulla quantità di bevanda”, e giunge alla conclusione che «mezza pinta di vino a testa al giorno è sufficiente». Con il tono di chi ha visto troppe feste in ufficio andare storte, san Benedetto consiglia severamente che il vino «non è bevanda per i monaci, perché il vino fa cadere anche il saggio».
E sotto questo aspetto c’è tutta una gamma di responsabilità da onorare, anche parecchio importanti. «I monasteri medievali erano molto avanti su questo. “Non seguire le tue concupiscenze”, avverte una legge, perché coloro che lo fanno sono “consegnati a Satana per la distruzione della carne”. Nessuno dovrebbe prendere la mano di un altro né “qualsiasi parte del suo corpo” nell’oscurità. #MonkToo», scrive ironicamente l’Economist, sottolineando un aspetto oscuro e tossico della vita d’ufficio che è emersa moltissimo negli ultimi anni.
C’è poi da considerare l’abbigliamento, un tema molto delicato dopo mesi di videoconferenze e riunioni in tuta, in pigiama o quanto meno con abiti poco consoni a un ufficio. Andare a lavoro in pantofole potrebbe essere una tentazione piuttosto forte adesso, ma forse si rivelerebbe sconveniente. Ecco, i monaci sono abituati – obbligati – a indossare sempre l’abito più consono, e forse dal loro rigore nel vestire ci sarebbe da prendere spunto in vista del ritorno in ufficio.
«Molte regole monastiche sull’abbigliamento – si legge nell’articolo – non sarebbero fuori luogo in un moderno manuale aziendale. I tuoi vestiti, dice san Benedetto, dovrebbero “essere non troppo corti per chi li indossa, ma della giusta misura” e adatti al clima locale. (Chiunque abbia rabbrividito in estate per colpa di un’aria condizionata feroce sa cosa intendo). Eppure avrebbe disapprovato anche le fashioniste da ufficio. Il materiale per l’abbigliamento di un monaco dovrebbe essere ottenibile “abbastanza a buon mercato”, ha detto San Benedetto. Possedere “due tuniche e due cappucci” era pratico; qualsiasi cosa in più era chiaramente “eccesso” e “va tolta in quanto superflua”».
Un motivo in più per ritrovare rigore nel vestirsi è evitare di rendere i pettegolezzi – quelli tipici da macchinetta del caffè – la parte più interessante del lavoro. Su questo tema c’è un’importante regola benedettina da ricordare, da appuntare su un post-it e piazzare bene in vista.
«Un monaco dovrebbe trattenere la lingua e tacere perché la morte e la vita sono in potere della lingua, si legge nella “Regola benedettina”. Alcuni monaci sono andati ancora oltre: i trappisti non parlano quasi mai, ragionando sul fatto che tutte le parole causano danni (i loro incontri devono essere beati)», scrive l’Economist.
Ma, al di là di ogni singola regola di comportamento e di convivenza, l’insegnamento più utile che arriva da San Benedetto è una sorta di regola generale, qualcosa che sottende tutto il resto.
Dal momento che in un monastero non esiste pensione o età pensionabile, ma si termina il lavoro solo con la morte, è inevitabile che un principio guida deve essere quello della riconciliazione, dell’obbligo di non serbare rancore. «Se segui tutte le altre regole e ti ritrovi ancora irritato dal tuo capo o dai tuoi colleghi, forse la cosa più utile che insegnano queste guide è lasciar perdere», si legge nell’articolo.
Forse la lezione più grande che i primi monaci cristiani ci offrono è che è sempre stato difficile far fronte ai colleghi sul posto di lavoro. Quindici secoli dopo le Regole benedettine stiamo ancora tutti cercando di trovare la quadra. «Per quanto difficile sia la vita monastica o d’ufficio – conclude l’Economist – e per quanto irritanti possano essere i colleghi, vale la pena ricordare che la vita in comune è migliore dell’alternativa. Perché l’Inferno che si vive nello stare da soli è molto più difficile da sopportare dei problemi che nascono dal collaborare con altri. A meno che non abbiano appena defecato in un barattolo».