Passaggio di consegneTutte le incognite sulla presidenza slovena del Consiglio dell’Unione europea

Da sempre un punto di svolta nella vita delle istituzioni comunitarie, che spesso registrano nuove priorità e appuntamenti in agenda, con il 1° luglio il primo ministro portoghese Antonio Costa cederà il testimone al presidente della Slovenia Janez Janša, molto legato Viktor Orban e intenzionato a rafforzare lo stato di diritto nel proprio Paese

Lapresse

Il 1° luglio come un Capodanno, un nuovo inizio per l’Europa.

Il cambio di presidenza del Consiglio dell’Unione rappresenta da sempre un punto di svolta nella vita delle istituzioni comunitarie che spesso registrano nuove priorità e appuntamenti in agenda con il passaggio di testimone da un Paese all’altro. Un passaggio, perciò, di grande significato e legato al potere di tale istituzione, che rappresenta i governi europei e ha il potere di adottare gli atti normativi dell’Unione e coordinarne le politiche.

I primi sei mesi di quest’anno hanno visto il Portogallo assumere per la quarta volta la presidenza dell’organo 29 anni dopo l’esordio, datato 1992, e quattordici dopo la firma del trattato di Lisbona del 2007, l’evento certamente più significativo dell’ultima guida lusitana.

Adesso a prendere il posto di Antonio Costa alla guida del Consiglio dell’Unione sarà Janez Janša, primo ministro della Slovenia che ha già ricoperto questo ruolo nel 2008, durante la prima storica presidenza del Paese, entrato in Europa soltanto nel 2004.

Un bilancio positivo
Grandi attese e molte aspettative. Ci si attendeva molto dalla guida portoghese che, a inizio anno, aveva davanti sfide non semplici: una pandemia da debellare, una ripresa economica ancora incerta e rebus rimasti senza soluzione, come la Conferenza sul futuro dell’Europa.

Come se non bastasse a Lisbona si erano posti anche altri obiettivi ambiziosi, come una nuova legge sul clima, il rafforzamento dei diritti sociali e un’implementazione della transizione digitale ancora più convinta.

L’impressione, dopo 6 mesi, è che molti risultati siano stati raggiunti. «Il nostro risultato più importante riguarda il pilastro europeo dei diritti sociali, su cui lo scorso mese nel summit di Porto abbiamo fatto grandi passi in avanti rispetto a quello del 2017 a Göteborg, quando furono espresse le linee guida ma non si era deciso nulla. Adesso abbiamo un piano di azione dettagliato da qui al 2030», ha dichiarato Pedro Marques, vicepresidente dei socialisti europei, in un’intervista all’Espresso. Ovviamente non è stato il solo.

Passi in avanti importanti sono stati registrati anche in materia di vaccini e ripresa economica, come certificato dal Consiglio europeo del 24 e 25 giugno: secondo Ourworldindata.org il 27 per cento della popolazione europea risulta completamente vaccinata (dati del 28 giugno); i primi Recovery Plan sono stati approvati e il Green pass è ormai realtà. Più discutibili i risultati raggiunti sulle questioni estere, dove poco ha potuto incidere la capacità di mediazione del primo ministro Costa.

A inizio anno il sito del Consiglio dell’Unione sosteneva che tra gli obiettivi della presidenza portoghese c’era quello di «promuovere una visione dell’Unione innovativa, rivolta al futuro e fondata sui valori comuni della solidarietà, della convergenza e della coesione. A tal fine il Portogallo si impegna a svolgere un ruolo positivo e flessibile con l’obiettivo di agire positivamente, promuovere la cooperazione, conseguire risultati tangibili nella ripresa economica e guidare l’Unione europea fuori dalla crisi».

Per questo Costa si era impegnato attivamente nel promuovere il raggiungimento di un accordo con i Paesi del Mercosur, ormai atteso da vent’anni, senza però riuscirci. Storia diversa riguarda invece i Paesi dell’Oacps (Organizzazione degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico) con i quali ad aprile è stato raggiunto un accordo, rinominato Cotonou 2.0 in onore del primo risalente al 2000, ma che rischia di saltare dopo poche settimane a causa dell’insoddisfazione degli Stati africani. Altrettanto complicate anche le relazioni con Russia e Turchia, con le quali si cerca di trovare un comune accordo europeo, e con la Bielorussia, un fronte ancora caldo dopo l’arresto del reporter e attivista Raman Pratassevich e della sua compagna Sofia Sapega alle quali si aggiungono adesso le sanzioni comunitarie e l’uscita di Minsk dal Partenariato orientale. Per non parlare dell’Ungheria, uno degli argomenti più delicati dell’ultimo Consiglio Europeo, e delle sue leggi contro i diritti Lgbtqi+ che hanno portato quasi tutti i capi di Stato e di governo europei a farsi sentire con l’eccezione del futuro presidente del Consiglio dell’Unione Janša, che invece lo ha difeso.

Un semestre di incognite
E proprio sull’Ungheria si concentrano i maggiori timori. Janša, infatti, è grande amico dell’autocrate di Budapest e molti Stati europei temono che dietro le scelte politiche della Slovenia possa esserci proprio Viktor Orban nei panni del burattinaio. E fa quasi strano pensare che uno degli obiettivi della Slovenia sia proprio quello di rafforzare lo stato di diritto, i cui princìpi però non trovano grandi sponde né tra gli amici di Lubiana, come Polonia e Bulgaria, oltre alla stessa Ungheria, né all’interno dello stesso Paese, che procede da tempo verso una decisa orbanizzazione.

Ovviamente ci saranno anche altri argomenti di discussione. Uno di questi è certamente l’implementazione del Green Deal: gli appuntamenti che ci saranno nella seconda parte dell’anno, come la Cop15 in Cina e la Cop26 a Glasgow, ricorderanno una volta di più a tutta l’Unione l’obiettivo di ridurre le emissioni del 55 per cento entro il 2030.

Poi ci sarà una Conferenza sul futuro dell’Europa, fisica, da ospitare. «La maggior parte della Conferenza sul futuro dell’Europa si svolgerà durante il nostro semestre: così la Slovenia avrà la possibilità di co-presiederla a nome del Consiglio dell’Unione europea.

Il dibattito sul futuro dell’Europa sarà anche al centro della 16ª edizione del Bled Strategic Forum, dove i leader europei affronteranno le principali sfide strategiche per il Continente e discuteranno il futuro corso di sviluppo dei valori dell’Unione», ha dichiarato il ministro degli Esteri Anže Logar presentando gli obiettivi del semestre guidato da Lubiana. Non è il solo: infatti uno dei progetti più ambiziosi della Slovenia è quella di rafforzare e lanciare definitivamente l’Unione europea della salute.

I primi passi in questo senso sono già stati mossi, con il rafforzamento del mandato dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema) e quello prossimo del Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie (Ecdc) ma c’è la volontà di spingersi ancora più in là.

«Sosteniamo pienamente la formazione di un’Autorità per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (Hera)», riporta il sito che illustra le priorità slovene per i prossimi sei mesi. Altri due punti sembrano infine al centro delle attenzioni di Lubiana per il semestre che inizia.

Il primo è di natura politica: in autunno nel Paese che si prepara a presiedere il Consiglio dell’Unione si terrà una conferenza Ue-Balcani Occidentali, al fine di «delineare insieme il loro futuro in Europa e una credibile continuazione del processo di allargamento dell’Unione», un evidente riferimento a Paesi come l’Albania e la Macedonia del Nord, sulla cui adesione si è molto discusso negli ultimi mesi.

Altra questione che sta particolarmente a cuore al governo sloveno è la sicurezza informatica. «Occorre fare di più per essere meglio preparati e per essere in grado di rispondere in modo coordinato a potenziali attacchi informatici su larga scala».

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