Da settimane la Cechia è scossa dal suo “caso Floyd”: la morte di un cittadino di nazionalità rom durante un fermo di polizia ha fatto scattare imponenti proteste da parte della comunità rom del Paese (2% della popolazione) al grido di “Roma Lives Matter”.
Stanislav Tomas, 46 anni, è morto il 19 giugno nella sua città, Teplice, nel nord della Cechia, vicina al confine con la Germania, dopo esser stato immobilizzato da alcuni poliziotti. Subito dopo il decesso ha iniziato a circolare un video dove lo si può vedere urlare e contorcersi mentre un poliziotto gli preme il ginocchio sulla gola per circa 6 minuti.
Una dinamica molto simile a quella in cui è maturato l’omicidio di George Floyd, afroamericano ucciso dal poliziotto Derek Chauvin il 25 maggio 2020 a Minneapolis, in Minnesota. Chauvin è stato condannato a 22 anni di carcere proprio lo scorso mese.
La polizia ceca ha cercato di disinnescare questo pesante paragone twittando: «Non si tratta del Floyd ceco» e diffondendo una versione secondo cui Tomas era noto per adottare comportamenti antisociali e per assumere droghe, che sarebbero anche il reale motivo del decesso. Per corroborare questa ricostruzione ha pubblicato un video che mostra Tomas in “stato alterato” poco prima dell’arresto.
Il fatto ha portato nuovamente alla ribalta la situazione dei rom in Europa centrale, dove questa comunità subisce una discriminazione sistematica e spesso anche abusi da parte delle forze della polizia. Discriminazione che non viene esperita solo nell’interazione con gli agenti, ma riguarda ambiti come educazione, accesso ad alloggi pubblici e lavoro. I rom vivono solitamente in abitazioni fatiscenti in ghetti sommersi da sporcizia diffusa. Sembra che anche Tomas vivesse in condizioni precarie, una tenda vicino a un canale sotto l’autostrada, fuori Teplice.
Sabato 26 giugno, allora, circa 500 rom – cechi, ma anche ungheresi e slovacchi – si sono radunati a Teplice per commemorare la morte del connazionale e manifestare la propria frustrazione contro la profilazione razziale che viene loro inflitta.
Nell’occasione, molte persone si sono alternate al microfono, sia per pronunciare preghiere per la vittima e la sua famiglia che per chiedere che il mondo riconosca che “i rom sono esseri umani”. Si sono intonati cori come “Rom, alzatevi” e “Vogliamo la verità”. Alcuni dei presenti hanno definito la polizia ceca apertamente razzista.
Coadiuvata dal prete locale e da alcune Ong locali, la sorella di Tomas ha lanciato una raccolta fondi per pagare un’autopsia indipendente, ritenendo quella ufficiale non affidabile. Anche il Consiglio d’Europa e Amnesty hanno chiesto che venga condotta un’indagine indipendente sugli eventi che hanno condotto alla morte del 46enne, dopo che un’inchiesta statale aveva impiegato solo quattro giorni per accertare il corretto operato degli agenti.
Tuttavia, stando agli attivisti più noti, i rom cechi non si fanno grandi illusioni. Già quattro anni fa, a Zatec (50 km da Teplice) un 27enne rom era rimasto ucciso dopo una colluttazione con la polizia in una pizzeria – e i responsabili non erano stati sottoposti a nessun provvedimento disciplinare.
Un negligente silenzio trasversale alle istituzioni. Di norma, quando accadono casi del genere che riguardano rom, la politica ceca si divide tra l’aperto sostegno all’azione della polizia e il silenzio.
Commentando la morte di Tomas, il premier Andrej Babiš ha dichiarato: «Le persone perbene non si trovano in situazioni del genere. Chiunque consumi droga e aggredisca le forze di polizia non può aspettarsi di essere trattato coi guanti».
Solo di recente il Paese mitteleuropeo sta iniziando a confrontarsi con il tema del trattamento degradante riservato alle comunità rom.
Lo scorso mese la camera bassa del Parlamento ha approvato una legge che permetterà alle donne rom sterilizzate a forza tra gli anni ’70 e i primi anni del nuovo millennio di ricevere una compensazione finanziaria – uno dei tanti rimossi dell’opinione pubblica ceca.