L’idea di candidare Marco Bentivogli nel collegio di Roma Primavalle potrebbe per la prima volta riunire l’area riformista attorno ad uno dei suoi nomi più coerenti e prestigiosi e contemporaneamente porre il Partito democratico dinanzi alla scelta se appoggiare un riformista o un grillino o correre per conto suo regalando il collegio alla destra che in quella zona della Capitale è forte.
Dopo tante chiacchiere, sarebbe insomma un’occasione per verificare le possibilità di un’area riformista capace di allearsi con il Partito democratico sfidando il bipopulismo grillino e di destra.
Purtroppo quest’idea è stata avanzata in modo estemporaneo e infatti è stata respinta dal diretto interessato. Il nome di Bentivogli è stato cioè ventilato fuori da ogni contesto, cioè prima di affrontare la questione vera: l’unità dei riformisti attorno ad una proposta politica nuova che a partire dai contenuti (principalmente dalla questione del lavoro e della sue incredibili mutazioni del nostro tempo) possa finalmente uscire dalle tavole rotonde ed entrare a pieno titolo nell’arena politica nazionale.
Invece è parsa, forse al di là delle intenzioni, come una “contropartita” ad un eventuale appoggio di Azione, e magari Italia viva, ad Enrico Letta in quel di Siena, uno scambio di cui senesi e romani faticherebbero a comprendere il senso.
Impostata invece come una iniziativa politica a tutto tondo con, a valle, il nome di Bentivogli come candidato al Parlamento, la cosa avrebbe una sua forza. Sarebbe insomma un primo passo, per di più nel fuoco di una battaglia elettorale contro la destra (meloniana), per dar vita ad una “Cosa” di centrosinistra, in grado di aiutare il Partito democratico a divincolarsi dall’abbraccio peraltro sempre più stanco con il Movimento 5 stelle, e non solo in termini elettoralistici ma soprattutto di contenuti.
Basta leggere i libri dell’ex segretario dei metalmeccanici della Cisl, e ora animatore di “Base Italia”, per verificare quanto sia siderale la distanza culturale e programmatica con i grillini in specie sul tema della protezione sociale e in generale della politica industriale: davvero si tratterebbe di scegliere fra una moderna concezione dei diritti sociali non disgiunta dalle esigenze generali dello sviluppo e la logica statalista fondata sui sussidi a pioggia propria del grillismo dei bei tempi gialloverdi dell’abolizione della povertà annunciata dal balcone di palazzo Chigi.
Quella di Bentivogli, tra l’altro, considerate le sue caratteristiche personali e il suo recente passato politico di dirigente sindacale, non potrebbe essere intesa dal Nazareno come una candidatura a dispetto – semmai come una sfida positiva per la creazione di un vero e non propagandistico “campo” politico – e anche la sinistra di Andrea Orlando, così impegnata sul tema del welfare, potrebbe salutarla come un utilissimo apporto.
Potrebbe essere – ma qui lavoriamo parecchio con l’ottimismo della volontà – persino un’occasione per un Movimento che volesse rientrare nel mondo reale, per misurarsi con una seria novità politica.
A quel punto non vorremmo essere nei panni del presumibile candidato di Fratelli d’Italia, che potrebbe vedere dall’oggi al domani i disoccupati di Primavalle, gli impiegati di Torrevecchia, i giovani di Monte Mario, voltargli le spalle per scegliere una nuova offerta politica, camminando sulle macerie del grillismo e dell’inconsistenza meloniana.
Il problema è il solito. Se vogliono cimentarsi con la Politica, i riformisti di tutte le parrocchie, ivi compresa Italia viva, devono sbrigarsi a sporcarsi le mani con un progetto concreto e più generoso della mera coltivazione del proprio orticello. Altrimenti la novità sarà sfiorita ancora prima di germogliare, e la colpa sarà solo loro. Di un riformismo di chiacchieroni, come diceva Giorgio Amendola, non c’è proprio bisogno.