Strada senza uscitaInvestendo nei robotaxi, Google e Amazon hanno puntato sul cavallo sbagliato

Le aziende del settore informatico hanno speso miliardi di dollari per rivoluzionare il servizio di trasporto automobilistico, provando a realizzare vetture senza conducente. Un approccio graduale, basato sullo sviluppo di tecnologie più piccole, si sta rivelando una strategia migliore

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Erano i primi anni Dieci del Duemila quando è stato lanciato Uber a San Francisco, e nessuno avrebbe potuto immaginare un’ascesa così verticale e repentina. Il servizio di trasporto automobilistico ha conquistato una metropoli dopo l’altra e già a quattro anni dalla sua prima distribuzione era in 100 città americane, pronto a sbarcare in tutto il mondo.

Molte aziende che hanno provato a sviluppare i loro servizi di taxi a guida autonoma si aspettavano una curva di crescita simile a quella di Uber. Ma le loro aspettative sono state presto disattese: i prototipi sono già in circolazione, in alcune città sono già una realtà – negli Stati Uniti, soprattutto –, ma una diffusione su larga scala oggi sembra utopia.

Lo sviluppo tecnologico procede piuttosto bene: dal 2019 il progetto di Google, ora sotto il brand Waymo, ha subito solo incidenti minori, circa una volta ogni 210mila miglia, cioè da quando ha attivato un servizio di taxi senza conducente a Phoenix, in Arizona. Cruise, competitor legato a General Motors, ha ricevuto il mese scorso un permesso per iniziare le operazioni nella sua città natale, San Francisco.

Ma non è chiaro se il mercato sia pronto per una rivoluzione di questo tipo, se il servizio di taxi così come lo conosciamo abbia l’esigenza di essere rinnovato in questa direzione, e poi i costi creano altre barriere difficili da superare. Ne ha scritto il Financial Times in un lungo articolo, firmato da Patrick McGee, in cui parla dei “robotaxi” come un investimento sbagliato – almeno per il momento – da parte di alcune grandi aziende, come Google e Amazon.

Il primo ostacolo da superare, spiega il quotidiano britannico, è l’ingresso in un mercato fatto da aziende che forniscono i sistemi avanzati di assistenza alla guida (ADAS), che negli ultimi anni hanno fatto passi da gigante nello sviluppo tecnologico: «Queste compagnie hanno già un ottimo business case, generano profitti mentre vendono la loro tecnologia alle case automobilistiche, aggiornano costantemente i loro sistemi e salvano vite lungo la strada».

È soprattutto un discorso di approccio: mentre le aziende che sviluppano i sistemi di assistenza si preoccupano dell’aspetto innovativo, indipendentemente da quel che fa la casa automobilistica, le grandi compagnie informatiche vogliono ragionare direttamente su un taxi a guida autonoma, inteso come un prodotto confezionato, completo, fatto e finito.

«Non c’è più discussione sul fatto che i robotaxi siano una realtà – scrive il Financial Times – perché sono già in strada. La domanda è se sia possibile creare lo stesso servizio, con lo stesso prodotto, a un prezzo più conveniente».

I gruppi che lavorano ai cosiddetti robotaxi puntano in grande, con un approccio «go big or go home». Aziende come Waymo, che lavora con Google, Cruise sostenuto da Microsoft, Zoox di proprietà di Amazon e Aurora, hanno tutte in programma di offrire servizi di guida pienamente autonoma. In termini normativi si definisce un’autonomia di livello 4: un guidatore robot che non richiede alcun input da parte dell’uomo.

Al contrario chi sviluppa sistemi di assistenza avanzata per la guida – come Mobileye, Aptiv, Magna e Bosch – fanno un passo per volta: sono in contatto con le principali case automobilistiche e perfezionano giorno dopo giorno i livelli di autonomia 1 e 2 (i già noti cruise control, park assist e così via). L’esempio più conosciuto è forse quello di Tesla: il suo pilota automatico è un sistema di autonomia di livello 2.

Al momento l’approccio graduale sta prevalendo, probabilmente perché sempre più in grado di adeguarsi alle richieste del mercato, con prodotti rivolti al consumatore, o perché ha trovato subito una sponda nelle case automobilistiche che così perfezionano i loro prodotti.

«Quindi, se l’approccio evolutivo alla costruzione della tecnologia driverless si dimostrasse vincente, il risultato sarebbe sorprendente: le aziende più grandi e sofisticate del mondo (Alphabet, Apple, Amazon e Microsoft) avrebbero tutte puntato sul cavallo sbagliato», si legge sul Financial Times.

Questa valutazione, aggiunge il quotidiano economico, sarebbe un capovolgimento di prospettiva rispetto a cinque, sei o sette anni fa, quando le case automobilistiche si sentivano sotto assedio da parte delle aziende tecnologiche.

Parlando al Financial Times, l’amministratore delegato di un’azienda che fornisce tecnologia ADAS a diverse case automobilistiche spiega: «C’era questa paura generale che l’intera industria automobilistica sarebbe stata rilevata da Big Tech, ma non è accaduto. Puntare direttamente a rivoluzionare il mercato non ha pagato: le case tradizionali controllano ancora tutto il volume, tutta la produzione, tutto ciò che viene fuori. Sono gli unici in grado di fornire un vero business case per queste cose».

Uno dei motivi del fallimento delle aziende tecnologiche è il costo di produzione. La sola Cruise ha raccolto 10 miliardi di dollari e ha appena aperto una linea di credito di 5 miliardi di dollari per costruire più veicoli. Waymo è stato finanziato da Alphabet per un decennio prima di raccogliere 3,2 miliardi di dollari nel 2020, ma aveva ancora bisogno di raccogliere altri 2,5 miliardi il mese scorso, Zoox era così vicino al fallimento che è stata venduta ad Amazon all’inizio della pandemia.

E diverse grandi aziende hanno già gettato la spugna: Uber ha pagato la rivale Aurora per assorbire il suo team di 1.200 persone, mentre Lyft ha venduto la sua unità Level 5 – nome ambizioso – a Toyota ad aprile.

Nel frattempo, il mercato globale ADAS è diventato una miniera d’oro. I ricavi dello scorso anno sono stati di 25 miliardi di dollari, secondo BlueWeave Consulting, e dovrebbero quasi triplicare entro il 2027.

In più, anche la politica sembra rivolgere lo sguardo più verso lo sviluppo delle tecnologie ADAS che verso i rivoluzionari robotaxi. Il regolatore autostradale americano stima che migliaia di vite l’anno potrebbero essere salvate se tutte le auto avessero caratteristiche di automazione parziali; l’Unione europea ha richiesto ai produttori degli Stati membri che tutte le nuove auto abbiano sistemi di assistenza per il mantenimento della corsia e di frenata di emergenza avanzata entro il 2022.

Per l’approccio di queste aziende, inoltre, sviluppare dei robotaxi prima della concorrenza non è una necessità. «Nessuno sta davvero suggerendo che i player del mercato ADAS stiano per sbloccare le capacità di guida senza conducente nei prossimi anni. Né la loro attuale attenzione alla guida in autostrada si traduce necessariamente in autonomia urbana. Quindi, se queste compagnie rimangono bloccate nel processo innnovativo non vanno in crisi. Ma se Waymo, Cruise, Zoox e Aurora ritardano il loro lancio, non hanno proprio un prodotto», scrive il Financial Times.

C’è, infine, un ultimo capitolo che riguarda le difficoltà delle grandi aziende informatiche a entrare in questo mercato con i loro robotaxi. È vero che se un servizio di trasporto completamente automatizzato si diffondesse su larga scala metterebbe in scacco le aziende che sviluppano ADAS, ma il vero problema va oltre la tecnologia e riguarda l’accettazione sociale.

«Se un sistema di guida autonoma – conclude il Financial Times – causa un incidente solo una volta ogni milione di miglia sarebbe due volte più attento di un guidatore umano, ma rischierebbe comunque un enorme contraccolpo in termini di reputazione: guidando a 10 miglia all’ora, ci sarebbe un incidente ogni 100mila ore di guida. E se schiero circolano 100mila auto, vuol dire che ci sarà un incidente ogni ora. Dal punto di vista del business, questo è molto, molto impegnativo».

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