Quella dal carbone alle rinnovabili è per la Sardegna una transizione fattibile e conveniente. Secondo uno studio condotto dall’Università di Padova e dal Politecnico di Milano per conto del Wwf, l’emancipazione dell’isola da questa fonte fossile si può attuare a stretto giro, entro il 2025.
«Chiudere gli impianti di produzione di energia elettrica alimentati a carbone entro il 2025, e decarbonizzare il sistema energetico al 2050 in Sardegna, evitando nuovi investimenti in combustibili fossili, è possibile e porta molti posti di lavoro», spiega a Linkiesta Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed energia Wwf.
Dallo studio “Una valutazione socio-economica dello scenario rinnovabili per la Sardegna” si evince che, viceversa, nuovi investimenti in combustibili fossili potrebbero rallentare il processo di transizione energetica dell’isola e rappresentare solo un costo per la collettività. Inoltre, grazie alle caratteristiche dell’isola – geograficamente isolata e con un potenziale interessante di sviluppo delle rinnovabili – e data l’assenza di rete gas, il territorio può rappresentare un contesto particolare nel percorso di decarbonizzazione nazionale.
La Sardegna, conferma il report, deve emanciparsi dal carbone e dallo scarso sviluppo delle infrastrutture energetiche e di trasporto: è fra le regioni che più hanno potenziale di transire direttamente ad un sistema energetico in linea con le ambizioni comunitarie al 2050, grazie all’ampia disponibilità di fonti energetiche rinnovabili e un parco infrastrutturale energetico già obsoleto e pronto al rinnovamento.
«Per questo motivo – spiega Midulla – è necessario identificare le soluzioni su cui indirizzare gli investimenti, minimizzando il rischio di soluzioni “transitorie” che rallenterebbero il processo di transizione energetica dell’isola con costi non recuperabili a carico della collettività».
Dal momento che nel lungo periodo il gas metano non è compatibile con un sistema energetico decarbonizzato e che i nuovi impianti a fonti fossili non sono più competitivi se confrontati con fonti di energia pulita come eolico e fotovoltaico, si osservano all’orizzonte due scenari di transizione al 2025-2030, per mantenere in sicurezza il sistema elettrico sardo senza investire nel metano. Da una parte lo sviluppo di impianti di pompaggio per una capacità complessiva di 400 MW e dall’altra quello di generazione a idrogeno verde associata ad impianti di accumulo del vettore stesso. In questo modo, si legge nel report, l’idrogeno verrebbe impiegato solo per il bilanciamento elettrico, e il livello di elettrificazione è considerato a metà strada rispetto al 2050.
«Le simulazioni – sottolinea Midulla – suggeriscono che la dismissione degli impianti a carbone sardi non deve essere necessariamente accompagnata dalla realizzazione di nuovi impianti termoelettrici a metano, ma può essere sostituita da nuovi impianti di pompaggio o nuovi impianti Power-To-Hydrogen».
Inoltre, il gas naturale non viene considerato nemmeno nel medio termine come un’alternativa tecnologica “ponte”. Al contrario, la Sardegna potrebbe rappresentare il contesto ideale per anticipare anche la penetrazione della filiera idrogeno verde nei sistemi elettrici.
Per quanto riguarda l’analisi costi-benefici, in base ai dati emersi dal report la realizzazione degli scenari al 2030 avrà bisogno di circa 3-4 miliardi di euro di investimenti nel periodo 2021-2030, mentre per lo scenario di neutralità climatica al 2050, gli investimenti necessari sarebbero circa 18-20 miliardi di euro.
Sul fronte invece delle ricadute occupazionali, lo studio suggerisce che al 2030 gli occupati diretti nel settore delle rinnovabili potrebbero ammontare a 4mila. Al 2050, invece, gli occupati potrebbero salire a circa 9mila.
«L’isola – sostiene Midulla – deve trarre vantaggio dalla disponibilità praticamente inesauribile di fonti rinnovabili in luogo di quelle fossili, che oggi invece è costretta ad importare con rilevanti costi economici ed ambientali. Con l’implementazione degli scenari proposti al 2030 e 2050, la Sardegna potrebbe non solamente superare i target europei sulle emissioni di gas serra, ma bensì anticiparli, ponendosi in tal modo a livello globale come esempio di modello virtuoso di un epocale cambio di paradigma sistemico».
Secondo il professore Arturo Lorenzoni, che ha coordinato lo studio insieme ai colleghi Paola Valbonesi e Chiara D’Alpaos per il Centro Studi Levi Cases dell’Università degli Studi di Padova, anche prescindendo dalla valutazione dei benefici su scala globale, che ispirano le politiche europee e nazionali, si è visto che l’economia locale ha vantaggio dalla conversione verso le fonti rinnovabili. «Investimenti ulteriori nelle fonti fossili avrebbero l’effetto di rimandare una conversione reale verso le fonti decarbonizzate – conferma lo studioso – La Sardegna è un sistema isolato interessante da studiare, perché mostra come sistemi più ampi possano essere pensati in futuro come un insieme di sistemi privi di combustibili fossili, bilanciati su scala locale e interconnessi».
Per Carmelo Spada, delegato del Wwf Italia per la Sardegna, il gas appartiene ormai al futuro mentre le rinnovabili sono il futuro, in grado di assicurare la perenne disponibilità di combustibile pulito (sole e vento).
«Chi pensa di metanizzare oggi la Sardegna e basarsi sul gas per altri 30 anni non ha certo a cuore né i posti di lavoro, né l’indipendenza energetica dell’isola – spiega Spada – Peraltro, proprio in Sardegna hanno enormi potenzialità anche le comunità energetiche, fortemente legate ai territori e alla realtà dei comuni dell’entroterra sardo. La ricetta per lo sviluppo sostenibile dell’isola è a portata di mano, chi vorrebbe prendere altre strade non lo fa certo nell’interesse dei sardi. La totale eliminazione delle fonti fossili nella produzione di energia in Sardegna deve avvenire grazie alle fonti rinnovabili che potranno e dovranno essere rispettose dei valori paesaggistici, culturali e ambientali dell’isola».