È il progetto di produzione high-tech più ambizioso e costoso del continente europeo. Così un articolo del Financial Times presenta il piano dell’Unione europea per diventare la prima lega mondiale nella produzione di semiconduttori.
Bruelles sta cercando di raddoppiare la propria quota nel mercato globale dei chip entro il 2030, con il contributo di Intel: «L’azienda statunitense si propone di costruire una nuovissima fabbrica di semiconduttori da 20 miliardi di dollari nel continente. Il progetto è stato promosso da Bruxelles come il suo passo più ambizioso verso un obiettivo più ampio di autonomia strategica, necessaria per ridurre la vulnerabilità del continente alle interruzioni della catena di approvvigionamento e ai rischi geopolitici», si legge sul quotidiano britannico.
Un’iniziativa ambiziosa, che tuttavia porta con sé alcuni dubbi: la domanda che si pone l’Ue è se finirà per sperperare ingenti somme di denaro pubblico inseguendo ambizioni geopolitiche che potrebbero non essere supportate da logiche industriali e di mercato. Il motivo di questa preoccupazione? Anche se l’Europa ha punti di forza nella catena di fornitura dei semiconduttori, è indietro rispetto all’Asia, in particolare quando si tratta di produrre i chip di fascia più alta. «Cambiare questo quadro richiederà anni di sforzi e grandi quantità di denaro pubblico, in un momento in cui anche i governi in Asia e negli Stati Uniti stanno versando decine di miliardi di dollari di sussidi nel settore», continua l’articolo.
«Sarà molto, molto costoso», afferma Peter Hanbury, partner di Bain & Co. specializzato nella tecnologia dei semiconduttori. «Ci vorranno anni prima che l’Europa sviluppi un tipo di tecnologia all’altezza delle promesse dei politici».
L’Ue si trova di fronte a colossi dell’industria dei chip, in particolare Samsung in Corea del Sud, TSMC di Taiwan e Intel, che gli concedono una quota di mercato inferiore al 10%. Ad esempio, TSMC sta costruendo una fabbrica per produrre chip a 3 nanometri, che dovrebbero essere il 15% più veloci dei chip a 5 nm e utilizzare fino al 30% in meno di energia.
L’Europa invece ha attualmente poche strutture di fabbricazione, note come fab, che producono chip più piccoli di 22 nm. Perché questo gap? Il divario è anche frutto del fine ultimo che hanno questi chip: «I grandi attori asiatici e statunitensi producono i chip più avanzati, che vengono utilizzati in computer, telefoni e altri dispositivi di fascia alta. Invece, i leader del mercato Ue, come la tedesca Infineon, NXP nei Paesi Bassi e la franco-italiana STMicroelectronics, si concentrano sulla fornitura di dispositivi per i settori automobilistico, aerospaziale e dell’automazione industriale».
Prerogativa che non è del tutto una discriminante. Vista la natura globale della catena di fornitura dei semiconduttori, l’Europa «ha fatto bene a specializzarsi in aree di forza piuttosto che cercare di competere con società del calibro di TSMC», spiega il Ft. L’azienda taiwanese per esempio ha impiegato decenni per consolidare la sua posizione di leader mondiale nella produzione di chip, e sta pianificando un investimento di 100 miliardi di dollari solo nei prossimi tre anni.
I sostenitori di una rinascita europea nel mondo dei semiconduttori affermano però che questo tipo di pensiero è irrimediabilmente accondiscendente e accusano i produttori storici del continente di aver sottoinvestito per anni. Per tale motivo la commissione ha annunciato una “alleanza di semiconduttori”, una partnership pubblico-privata volta a commercializzare nuove tecnologie nell’area.
«C’è un imperativo geostrategico per riequilibrare la catena di approvvigionamento dei semiconduttori», afferma un funzionario dell’Ue al Financial. «Ci sarà un enorme mercato per i semiconduttori all’avanguardia a 2 nm, ad esempio nelle auto a guida autonoma, e l’Europa deve farne parte. Ci vuole tanto tempo per costruire queste tipo di fabbriche, quindi dobbiamo iniziare ora».
Anche Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno ed ex dirigente delle telecomunicazioni, crededavvero nell’iniziativa di Bruxelles: «L’Ue ha una finestra unica con il lancio del suo piano di ripresa economica Next Generation EU da 800 miliardi di euro per destinare gli investimenti pubblici degli Stati membri al settore della produzione di chip». Tutto ciò servirà all’Europa per «garantire la sicurezza dell’approvvigionamento per le nostre imprese e i nostri concittadini», aggiunge Breton.
La strategia Ue però farà affidamento sull’acquisizione di competenze e know-how stranieri, probabilmente forniti, almeno inizialmente, da Intel. «La domanda è: può l’Europa passare alla produzione più avanzata, che è un percorso rischioso e costoso, o aiuteremo involontariamente Intel nella sua strategia», afferma un funzionario italiano. «Che ruolo vogliamo giocare? Supportiamo Intel o creiamo una partnership e un ecosistema europeo a tutti gli effetti?», si legge ancora.
Intel sta cercando un sostegno pubblico del valore di svariati miliardi di euro per la sua nuova fabbrica europea. Greg Slater, il suo dirigente per gli affari regolatori, afferma che l’Ue ha uno svantaggio di costo del 30-40% rispetto alla produzione in Asia e che gran parte della differenza è dovuta ai livelli di sostegno del governo. La Corea del Sud per esempio offre incentivi per guidare un programma di investimento da nove anni da 450 miliardi di dollari, mentre gli Stati Uniti parlano di oltre 50 miliardi di dollari per la sua industria dei semiconduttori.
Inoltre, Intel avrà bisogno di un sito di 405 ettari con un’infrastruttura all’avanguardia in grado di ospitare fino a otto fabbriche di chip. Ed è improbabile per di più che Intel avvii presto la produzione a 2 nm dato che deve ancora padroneggiare questo livello di tecnologia, mentre è più papabile una sua linea di chip a 10 nm.
Jan-Peter Kleinhans, direttore del progetto per la tecnologia e la geopolitica del Stiftung Neue Verantwortung, un gruppo di esperti di Berlino, afferma che l’Ue sbaglia a concentrarsi sulla produzione piuttosto che sulla progettazione dei chip, che è la parte del processo con il valore aggiunto più alto. «Perché l’Ue vuole stanziare miliardi di euro in sussidi per diventare il produttore a contratto del mondo», concentrandosi sulla parte della catena dei semiconduttori con le più alte barriere all’ingresso, la più alta necessità di sussidi e la minima prospettiva di successo, spiega al Financial.
Gli addetti ai lavori concordano quindi sul fatto che l’Ue debba ancora capire quale problema stia effettivamente cercando di affrontare. Perché se l’obiettivo è portare una maggiore diversità nelle catene di approvvigionamento globali, il processo «sta attualmente avvenendo in un modo disorganizzato», si legge ancora.
Una priorità chiave, invece, dovrebbe essere quella di ottenere un coordinamento migliore con gli Stati Uniti quando si tratta di ricerca e sviluppo, e anche con il loro regime di controllo delle esportazioni. L’obiettivo dovrebbe essere un allineamento atlantico, «piuttosto che consentire all’amministrazione statunitense di dettare i tempi».
Infine Peter Wenink, amministratore delegato di ASML con sede nei Paesi Bassi, che produce le macchine litografiche più utilizzate nel processo di produzione dei chip, concorda sul fatto che nel prossimo decennio sarà necessaria molta più capacità in tutto il mondo e che sia gli Stati Uniti che l’Ue si stiano rendendo conto dello stato “trascurato” dei loro settori di semiconduttori. «Il settore raddoppierà facilmente entro questo decennio: si sta parlando di un business da un trilione di dollari. Perciò mantenere questo tipo attività in soli tre posti nel mondo – Taiwan, Corea, Cina – sarebbe un po’ sciocco», conclude.