Se è vero che quella contro il virus è una guerra, il modo in cui il segretario della Cgil ha bocciato ieri la proposta di estendere l’utilizzo del green pass anche ai luoghi di lavoro andrebbe classificato come disfattismo, per non dire di peggio. Tono e sostanza delle parole pronunciate da Maurizio Landini contro la proposta della Confindustria sono infatti tanto duri quanto dannosi.
«Spero che sia il caldo», ha detto in un’intervista alla Stampa. «Io mi sono vaccinato e sono perché tutti si vaccinino. Ma qui, diciamolo, siamo di fronte a una forzatura». Anche Landini, insomma, è di quelli che “si sono vaccinati ma”. E il seguito è anche peggio. «Non va mai dimenticato – insiste – che i lavoratori sono cittadini e hanno i diritti e i doveri di tutti i cittadini». Parole a dir poco equivoche (come si applica questo discorso ai lavoratori della sanità, non sono forse cittadini anche loro? E ai lavoratori della scuola?). Quasi che chiedere di vaccinarsi per proteggere la propria e altrui salute rappresentasse un sopruso. Non per niente, il primo a schierarsi sulla stessa linea di Landini è stato il presidente della Camera, il grillino Roberto Fico.
Tutti coloro che fino a ieri, a sinistra, erano impegnati nel tentativo di smascherare il gioco delle tre carte portato avanti su vaccini e green pass dalla destra populista, che continua ogni giorno a fornire nuovi argomenti e nuova legittimazione al pericoloso delirio no vax, dovrebbero riservare ora altrettanta vis polemica al segretario della Cgil. Avendone scritto di recente, vale anche per me: certo non possiamo fare finta di nulla, se non vogliamo screditare tutti i nostri giusti argomenti e tutta la nostra sacrosanta indignazione come pura e semplice strumentalizzazione politica.
Se Landini avesse accusato la Confindustria di parlare di green pass per non parlare di misure di sicurezza da osservare in azienda, se avesse condizionato il suo assenso al rispetto o all’ampliamento di quelle norme, se avesse ricordato le responsabilità degli industriali nella diffusione del contagio ai tempi della prima ondata, in particolare nel Nord del paese, ci sarebbe stato da discutere. Invece ha detto: «In questo anno di pandemia i lavoratori sono sempre andati in fabbrica in sicurezza. Rispettando i protocolli e le norme di distanziamento. Non sono le aziende che devono stabilire chi entra e chi esce». Il che è ovvio, e infatti sarà semmai il governo a stabilirlo. C’è bisogno di dirlo?
Il leader di un grande sindacato ha una responsabilità verso i lavoratori e una responsabilità verso il paese. Schierandosi così aspramente contro ogni ipotesi di utilizzo del green pass sui luoghi di lavoro, evidentemente, Landini non rende un buon servizio né agli uni né all’altro. Non rende un buon servizio a lavoratori più fragili, che per ragioni di salute non possono vaccinarsi, ma neanche agli altri: sia perché nessun vaccino offre il cento per cento di protezione, sia perché le nuove varianti si sono già dimostrate capaci di eluderne almeno parzialmente le difese. Ma soprattutto, assumendo questa posizione, e con questo tono, il leader della Cgil rende un pessimo servizio al paese, rafforzando le posizioni dei populisti no e ni vax in un momento in cui il prevalere di simili farneticazioni può provocare un danno incommensurabile tanto alla pubblica salute quanto all’economia, tanto ai lavoratori quanto agli imprenditori.
Dopo avere assistito al grottesco spettacolo della gara a saltare la fila, quando i vaccini erano un bene scarso, da parte delle più diverse categorie professionali (giornalisti compresi), assistiamo ora con il green pass allo spettacolo contrario: è certamente necessario, ma sempre per gli altri.
Una simile presa di posizione da parte della Cgil, nei giorni in cui la magistratura si solleva contro la riforma Cartabia, ci ricorda amaramente quanto corporativismo della società e populismo della politica siano intrecciati, e abbiano solide radici, ben al di là delle fortune di movimenti o partiti di volta in volta capaci di assumerne, pro tempore, la rappresentanza.