Fenomenologia del PrimitivoCome un vino da taglio è bevuto oggi in purezza

Da Baby Amarone a eccellenza di Puglia: cos’è cambiato tra vigna e bottiglia? Ce lo siamo fatti raccontare dalla famiglia Varvaglione, che su questo vitigno ha costruito 100 anni di storia

Azienda Varvaglione 1921

Per lungo tempo la Puglia del vino è stata identificata nel nome di un vitigno su tutti: il Primitivo. A volte si menzionava anche il Negroamaro, ma senza spingersi troppo oltre. Piaceva in Italia, dove questa regione ha fornito uva da taglio per lunghi decenni. Poi ha iniziato a trovare ammiratori anche all’estero. La narrazione che vuole il Primitivo, fratello gemello del californiano Zinfandel, ha contribuito a puntare i riflettori sui tanti microvigneti che ospitano questa varietà. Il Primitivo è anche il vitigno più identitario della produzione di Varvaglione 1921, che quest’anno celebra i suoi cento anni con una bottiglia speciale. Alcuni lo definirebbero un Cru. Loro lo chiamano Single Wynard perché il Primitivo ormai parla più inglese che italiano. A un’unica condizione: la conservazione dell’eleganza.

Storia di famiglia, storia di territorio
Il Primitivo è un vitigno a bacca nera coltivato tra Abruzzo, Basilicata, Sardegna e Calabria, ma che trova la sua zona di elezione in Puglia, in particolare a Manduria. Alcuni test del DNA hanno rilevato somiglianze molto strette con il vitigno Zinfandel, diffuso in California, il che rende questo mercato molto interessante per i produttori italiani. Si pensa che le viti di Primitivo abbiano origini dalmate e che siano arrivate in Puglia circa 2000 anni fa grazie agli Illiri. Viene coltivato per lo più ad alberello pugliese, che garantisce una produzione molto bassa, ma di estrema qualità. Le piante di Primitivo sono molto longeve, arrivando a superare anche gli 80 anni. Deve il suo nome alla maturazione precoce, che secondo Cosimo Varvaglione è anche la criticità più importante da affrontare con queste uve. 

«A volte maturano quasi tutte lo stesso giorno e questo mi ha costretto ad acquistare tanti vinificatori – spiega l’enologo e guida della cantina pugliese – Oggi ne abbiamo per 60 mila ettolitri, fattore che mi permette di incamerare l’uva quando è realmente matura, arrivando fino a 10 mila quintali in un giorno. Se c’è una criticità meteorologica, riesco a comunicare con i miei agricoltori e a dare il via alla raccolta. Siamo tra i pochi a poterlo fare su così vasta scala».

Il Primitivo è un vitigno che soffre i lunghi periodi di siccità, ma anche l’eccessiva umidità. Le difficoltà della sua coltivazione sono sintetizzate tutte in Idea, un Rosa di Primitivo IGP nato dalla vendemmia imperfetta del 2018. Troppa acqua per un buon Primitivo, ma condizioni favorevoli per un ottimo rosato. «Abbiamo colto uno svantaggio – spiega Marzia Varvaglione – e lo abbiamo trasformato in una buona idea».

Varvaglione 1921 produce 5 milioni di bottiglie all’anno di cui dieci etichette dedicate a varie declinazioni di Primitivo. Si va dal Primitivo di Puglia raccontato nel MOI al Primitivo di Manduria DOP, che Cosimo Varvaglione ha usato per fare il “suo” vino, referenza di punta della linea Collezione Privata, e al Primitivo di Manduria Riserva DOP del 1921. Presenti anche Primitivo del Salento IGP, la declinazione biologica del Primitivo Puglia IGP e il Primitivo Dolce Naturale DOCG. «Ognuno è diverso dall’altro – spiega Cosimo Varvaglione – Abbiamo un raggio d’azione di oltre 100 km, che ci offre tanta biodiversità, dal terreno ai cloni varietali, passando per piante di età diversa. Questo ci permette di differire le tipicità e in questo modo riusciamo ad avere tanti Primitivo e a coprire tutte le richieste del mercato».

La parola d’ordine in cantina è eleganza, dicevamo, che a casa Varvaglione ha un preciso significato. «Eleganza significa equilibrio – spiega l’enologo e guida di Varvaglione1921 – Il vino che ha in sé la giusta dimensione di quello che può essere le sue corposità, aroma, colore e gusto. Qualcosa che deve accarezzare il palato. Un velluto, insomma». Non è facile mettere questa filosofia in un vino dai colori intensi e profondi, rosso rubino con sfumature violacee. Al naso vengono restituiti sentori di amarena, prugne, more e note floreali di viola. Viene spesso affinato in legno, che aggiungono sentori di cannella, cacao, pepe nero e liquirizia. Il sorso è caldo, pieno e avvolgente, con tannini eleganti. Proprio come piacciono al signor Cosimo.

Chi sono i Varvaglione
Se la storia della famiglia Varvaglione venisse raccontata ai più piccoli non avrebbe solo quel sapore da «C’era una volta» ma come nelle più moderne favole all’italiana debutterebbe con un bel «Esiste oggi una cantina che produce vino da cento lunghissimi anni». Cosimo Varvaglione, prima di essere per tutti Mimmo, capofamiglia e attuale patron ed enologo dell’azienda vitivinicola, è stato il bambino che accompagnava il papà in questa masseria dove solitamente chiedevano in affitto una cantina alla contessa Carducci quando non avevano più spazio per il loro vino. «Alla vista di questo castello impazzivo. Mi suggestionava talmente tanto che immaginavo i tre moschettieri, gli spadaccini in duello e quando salivo nelle stanze osservando i quadri con i cavalieri, avi della nobile dinastia, avvertivo un momento di emozione, e fantasticavo: Come sarebbe bello se un domani potessi avereCome sarebbe bello se un domani potessi riuscire…». L’amicizia con queste persone è poi continuata nel tempo e per Cosimo la porta di Masseria Pizzariello è stata sempre lasciata aperta. Fino quando è nata l’opportunità di acquistare proprio quel poetico castrum, l’eden delle tradizioni architettoniche e agricole della Puglia, che l’uomo ancora oggi continua a guardare con gli occhi grandi del bambino rimasto in lui. Qualche anno fa il sogno di una vita finalmente divenne realtà e fu il regalo d’amore più autentico verso la moglie Maria Teresa e i loro figli, Marzia, Angelo e Francesca, oggi quarta generazione Varvaglione. Nel segno della continuità, il cerchio perfetto è stato chiuso nel 2021, anno del centenario: Cosimo ha fatto incidere le tre iniziali della prole, M-A-F, sulla storica botte dell’azienda, la più prestigiosa, quella dove vengono invecchiati vini come Collezioni o Riserve, tra cui proprio il Primitivo di Manduria, il loro portabandiera nel mondo.

Famiglia Varvaglione

Primitivo, I love you
«Il mercato più vocato al Primitivo è quello tedesco – spiega Marzia Varvaglione – È un Paese che riesce ad assorbire molte bottiglie forse perché specializzati nella produzione di vino bianco, ma anche per le condizioni meteorologiche, totalmente differenti dalla nostra area. Poi la Puglia ha sempre accolto migliaia di turisti tedeschi che, una volta fatta esperienza della nostra terra, avevano voglia di portare a casa lo stesso bel ricordo attraverso il mangiare e il bere quotidiano. Bisogna ricordare che il Primitivo è nato come un vino da prezzo, di facile beva. Oggi invece riesce ad avere una sua identità, con un prezzo medio alto. Prima veniva chiamato Baby Amarone, invece oggi il Primitivo di Manduria ha una propria identità».

Il primitivo è stato capito da poco anche in Italia e storicamente veniva usato per correggere alcune caratteristiche di altri vini. Oggi ha finalmente un ruolo importante nel mercato mondiale grazie soprattutto alla sua versatilità nell’abbinamento, dal salato al dolce, dall’agrodolce al piccante. «Va fatta un po’ di educazione sulle differenze tra un Primitivo Puglia e un Primitivo di Manduria: tante volte un consumatore, trovandosi davanti allo scaffale, non riesce ancora a percepire la differenza di valore tra i due. Quando c’è la DOC, si realizzano diverse condizioni: la composizione del terreno cambia, le viti sono esposte al vento, c’è la vicinanza al mare, il vento e l’esposizione al sole. Sono cose che a volte noi pugliesi omettiamo, ma che invece sono nostri punti di forza. Raccogliere ad Alberobello o a Foggia è ben diverso che raccogliere il Primitivo a Maruggio, che si trova a 5 km dal mare».

Un vino desiderabile soprattutto in un mercato estero che Marzia si è spartita a metà con Angelo, secondogenito Varvaglione, il quale si occupa dell’export nell’emisfero orientale. «La nostra rivoluzione è stata parlare non più in termini di quantità ma di qualità, dando importanza a questo vitigno, al suo terroir e applicando nuove tecniche di sfogliatura, cimatura e formule matematiche che misurassero il peso dell’uva sulla pianta. Sul totale delle nostre bottiglie, un milione sono rappresentate dal 12 e Mezzo, Primitivo del Salento, il nostro top seller».

«Il futuro del Primitivo – spiega Francesca Varvaglione, prossima enologa dell’azienda – passa dalla qualità delle vigne. Penso che siamo molto fortunati perché, senza far nulla, il nostro territorio ci regala una qualità incredibile. Quello che possiamo fare è migliorare affinando le tecniche in vigna, aumentando sempre di più quell’equilibrio di cui nostro padre va fiero. Possiamo farlo partendo dalla terra e dalla cura della vigna. Seguendo la pianta si riesce a ottenere un prodotto sempre migliore. Questo è un gap che stiamo colmando, avvicinandoci a una filosofia che in Francia e Piemonte è di casa: la cura maniacale della vigna. Questo è l’obiettivo a cui noi, come nuova generazione, puntiamo».

Azienda Varvaglione 1921

Il grande spirito di osservazione di questa giovane donna, la più piccola della quarta generazione Varvaglione, ha spinto lei e il fratello Angelo, che è invece il mezzano del trio, a dedicarsi ai 25 ettari di una nuova masseria per un progetto di ricerca tutto incentrato sul Primitivo. «Lavoriamo da tre anni su questo – spiega Francesca Varvaglione – Io, mio fratello Angelo e l’agronomo Nicola Baldari abbiamo osservato che esistono diverse varianti di Primitivo, che stiamo selezionando per riuscire a fare vini diversi con la stessa pianta. A seconda della differenza del grappolo cambia la grandezza dell’acino e la concentrazione degli elementi che ci sono nel chicco d’uva cambiano in base alla grandezza del chicco: con un acino più grande o uno più piccolo avrò prodotti diversi. Così potremo scegliere se avere un prodotto più acido, più zuccherino, più tannico».

Per un vino che assaggeremo tra almeno due anni, ce n’è un altro che al contrario sarà pronto già a partire dal prossimo inverno. La nuova etichetta Masseria Pizzariello è l’esperimento di Cru che unisce in un’unica bottiglia le uve coltivate nell’appezzamento accanto alla residenza di famiglia. Una vendemmia tardiva tutta frutto del proprio giardino dove maturano e si esprimono Primitivo, Negroamaro e qualche pianta di Aglianico. «Produrremo circa 15 mila bottiglie ma al momento ne sono state imbottigliate solo 13 mila che sono già in affinamento e potranno essere degustate a partire da novembre. Volevamo un vino ricercato, non di largo consumo e che potesse stupire per la sua longevità e naturalmente per il suo charme». I grappoli di queste vigne trentennali vengono usati per un racconto in bottiglia che percorre i primi cento anni della storia aziendale, speciale anche nella modalità di fruizione che il consumatore potrà sperimentare attraverso la realtà aumentata. «È il nostro vino del futuro, l’espressione romantica del “vigneto di casa” curato gelosamente durante il primissimo lockdown che ci ha fatto ritrovare tutti sotto lo stesso tetto, ed erano anni che non accadeva perché siamo sempre in parti diverse dell’Italia, del mondo. Con questa etichetta vi diamo le chiavi della nostra casa: tramite la scansione del collarino della bottiglia si potrà entrare in questo magico mondo sospeso tra fauna e flora, circondati da bombi, quelle api cicciottelle e pelose, grilli, farfalle, margherite. A un primo sguardo percepirete una realtà che ha gli stessi suoni della nostra campagna. In un unico sorso ritroverete le nostre radici».

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