West roventePerché l’America occidentale è vittima di una mega-siccità

Decenni di aridità sollevano interrogativi sulla storia e sul futuro della regione. In base ai dati emersi da uno studio pubblicato su Science, il periodo 2000-2018 è stato il secondo più secco degli ultimi 1200 anni, superato solo da un altro risalente alla fine del 1500

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Dopo un 2020 estremamente secco e un’ondata di calore primaverile, gli Stati occidentali d’America sono tornati a bruciare. Una delle ultime tappe di questo sentiero di fuoco riguarda Dixie Fire e Fly Fire, due degli incendi, divampati in California settentrionale, che il 25 luglio scorso si sono uniti bruciando rispettivamente 190mila e 4300 acri.

Poco più di un mese fa il lago Mead, il più grande bacino idrico artificiale degli Stati Uniti, ha raggiunto il livello dell’acqua più basso di sempre e il governatore dello Utah ha invitato i suoi elettori a «pregare per la pioggia».

Siccità e incendi sono tipici del West americano, ma nell’ultimo anno le condizioni sono diventate più preoccupanti. Secondo alcuni studiosi, la regione starebbe vivendo una fase di mega siccità, solitamente intesa come un periodo pluridecennale di intensa aridità.

Secondo Jason Smerdon, paleoclimatologo del Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University, la caratteristica distintiva di una mega siccità è la sua durata decennale. E poiché l’attuale siccità può essere fatta risalire al 2000, Smerdon ha suggerito all’Economist che si tratta di una «mega siccità emergente».

Un articolo pubblicato su Science l’anno scorso ha rilevato che il periodo 2000-2018 è stato il secondo periodo più secco per il sud-ovest degli ultimi 1200 anni, superato solo da una mega siccità alla fine del 1500.

Sono due i motivi principali per cui la situazione sembra oggi così drammatica. Il primo riguarda i modelli meteo naturali. Il fenomeno della Niña, cioè il raffreddamento delle acque di superficie dell’Oceano Pacifico che spingono il getto polare a nord, tende a coincidere con la siccità nel sud-ovest americano.

Ma non è solo il sud-ovest a patire. Le condizioni calde e secche hanno coinvolto nell’ultimo anno anche il nord-ovest pacifico così come gli Stati dell’Oregon e Washington: per questo, la caratteristica più sorprendente dell’attuale siccità è probabilmente la sua diffusione geografica.

Mentre la siccità del 1500 era concentrata principalmente nella regione chiamata Four Corners, che comprende gli Stati di Arizona, Colorado, New Mexico e Utah, quella attuale affligge la maggior parte dell’area ad ovest della divisione continentale, che in gran parte si snoda lungo le Montagne Rocciose.

Lo United States Drought Monitor ha stimato che il 10 giugno il 97% questa area regione era “secca in modo anomale”, e che il 55% stava vivendo una siccità “estrema” o “eccezionale”.
La colpa è anche del cambiamento climatico. Basti pensare ai suoi effetti sull’acqua che riempie i bacini più grandi del Paese e confluisce nel lago Mead attraverso il fiume Colorado. Ebbene, questo bene primario si origina dallo scioglimento della neve ma l’innevamento medio in tutto l’Occidente è diminuito per decenni a causa dell’aumento delle emissioni di gas serra che hanno reso gli inverni più caldi.

Dan Mcevoy, climatologo del Western Regional Climate Centre di Reno ha osservato tassi di fusione record nelle prime due settimane di aprile in tutto l’Occidente: il manto nevoso in California si era sciolto completamente quattro o cinque settimane prima del tempo.
Come è noto, gli effetti del climate change possono essere di vasta portata: la grave siccità può diminuire i flussi e aumentare le temperature dei fiumi, con ripercussioni sulle specie animali e vegetali autoctone, privare le foreste e i suoli di sostanze nutritive e aumentare il rischio e la portata degli incendi boschivi.

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