In questi giorni, assalita come tutti dalle notizie e le immagini provenienti dall’Afghanistan, ho ripensato a due libri letti qualche anno fa: “Lo scontro delle civiltà”, di Samuel P. Huntington, e “Sottomissione”, di Michel Houellebecq. Che cosa hanno in comune questi due libri? Quasi nulla. Uno è la dotta opera di un politologo harvardiano, l’altro il pamphlet provocatorio (sotto forma di romanzo) di un intellettuale francese un po’ poeta, un po’ giornalista, molto scapigliato. Entrambi, però, in questi registri così diversi, ci dicono qualcosa di importante sul mondo in cui viviamo e sulle sfide che ci attendono, e che rischiamo fortemente di perdere. Dimenticavo: hanno in comune il destino che quasi sempre attende le riflessioni originali, cioè l’incomprensione e la polemica tanto più violenta quanto più sciocca.
Cominciamo da Huntington. Che, tra parentesi, era un consigliere del presidente Jimmy Carter, quindi non esattamente un conservatore. La sua scandalosa tesi era che, dopo la fine della Guerra fredda, lungi dall’essere finita la storia, sarebbe cominciata una storia nuova. Le diverse civiltà, finora ingessate nel conflitto bipolare tra democrazie e comunismo, nel quale gli Stati Uniti avevano una indiscutibile leadership, si sarebbero liberate, diventando protagoniste di conflitti diversi e quindi di un ordine (o disordine) multipolare. Allo scontro tra sistemi economici sarebbe subentrato lo scontro – ideale, religioso, culturale – tra civiltà. E in questo scontro gli Stati Uniti avrebbero incontrato molte difficoltà.
Come dargli torto oggi? Il conflitto che ha opposto americani e europei ai talebani non è forse uno scontro di civiltà? Le motivazioni valoriali sempre ripetute – i diritti umani, l’eguaglianza delle donne, la democrazia – sono precisamente le linee di uno scontro tra civiltà, quella liberal-democratica e quella di una interpretazione fondamentalista della sharia, che della religione fa legge e istituzione politica. Solo se riconosceremo che di questo, e non di altro si tratta, potremo difendere la nostra civiltà, nella quale si sono sviluppati, in una storia lunga secoli e piena di contraddizioni, quei diritti che giustamente riteniamo debbano valere per tutti.
Se invece pretendiamo, come Dacia Maraini in un articolo di questi giorni, di difendere i diritti umani negandone l’origine storica e il contesto geopolitico, ci priviamo delle armi più efficaci. Ciò non significa che le civiltà siano impenetrabili e che anche in contesti diversi non si possa aderire a un sistema di diritti di libertà, come è avvenuto – ma in misura purtroppo minoritaria – in Afghanistan: a seguito, occorre dirlo, dell’influenza modernizzatrice prima dei sovietici e poi della nostra occupazione.
Qui viene anche la questione dell’esportazione della democrazia. Espressione poco felice e piuttosto ambigua. È vero che gli americani hanno “esportato “ la democrazia (è stato forse il loro maggior successo) nelle potenze sconfitte, Italia, Germania e Giappone: ma, bisogna dirlo, dopo avere stravinto una guerra durissima. Altro che nation building! L’unico caso di esportazione della democrazia senza una vittoria in guerra è l’India. Ma gli inglesi sono stati in India per due secoli, durante i quali, nonostante ingiustizie e stragi, sono riusciti a costruire un ampio ceto medio in grado di preferire un sistema giudiziario e politico di origine occidentale.
La lezione di Huntington oggi è dunque che il mondo è un posto molto complicato e se vogliamo che diventi migliore per chi lo abita, anche i più lontani da noi, non serve colpevolizzare l’Occidente e indebolirlo nel confronto con civiltà che non hanno sviluppato diritti e libertà eguali per tutti. Il complesso di colpa dell’Occidente è in realtà il più potente complice di chi vuole tenere le donne sotto il burqa e tutti sotto una legge disumana che ignora la libertà individuale e perfino la libertà religiosa.
Che c’entra Houellebecq? Lo scrittore francese nel suo libro mette in rilievo, in modo paradossale, come proprio lo status delle donne sia il punto dirimente del rapporto tra Occidente e Islam. Uno status che nel nostro mondo sembra definitivamente conquistato, è invece esposto a ritorni indietro: e proprio su questo punto il messaggio dell’Islam radicale potrebbe trovare agganci inaspettati e insperati. Non difenderemo le donne afghane svalutando ciò che costituisce il retaggio della nostra civiltà. Al contrario, rischieremo di non avere più strumenti per difendere loro e noi.