E qui, nel valore del silenzio e nella discrezione, sta probabilmente uno dei lasciti più significativi della Ddr nella personalità, nello stile politico e nell’arte di governare di Angela Merkel, che molti definiscono stoica. Uno dei suoi libri preferiti è “La raccolta di silenzi del dottor Murke”, il racconto di Heinrich Böll nel quale il protagonista, giovane redattore culturale di una radio, ribalta ironicamente l’incarico astruso ricevuto dal suo direttore, creando una raccolta di silenzi.
Il silenzio come forma di comunicazione. «Sicuramente», ha detto Merkel in un’intervista a «Die Zeit» dedicata interamente al tema, «l’infanzia e la vita fino a trentacinque anni nella Ddr hanno avuto una certa influenza: parlare di certe cose e in date situazioni era un rischio mortale o quanto meno che ti poteva cambiare l’esistenza».
Una volta Jean-David Lévitte, consigliere diplomatico di Nicolas Sarkozy, le chiese del suo passato nella Ddr, evocando il film premio Oscar di Florian Henckel von Donnersmarck, “Le vite degli altri”: «La vita quotidiana era come la racconta il film?», fu la domanda. «No», rispose Merkel, «era molto peggio. Non ho mai visto un agente della Stasi buono con cui simpatizzare, come quello del film».
Non è che Merkel ami il silenzio sopra ogni cosa. Anzi. Parla volentieri. Lo fa fin da bambina. Lei stessa ha raccontato che, quando presentò la domanda per un posto di professore associato all’università di Ilmenau, la Stasi provò ad agganciarla come Im, Inoffizieller Mitarbeiter, collaboratore non ufficiale, ma che su consiglio dei suoi genitori al colloquio disse di non saper tenere la bocca chiusa. Ritirarono l’offerta.
Merkel domina le discussioni. A volte parla per ingannare la stanchezza, come lei stessa ammette. Ma sa anche usare il silenzio come un’arma letale o difensiva. Lo abbiamo visto nella famosa serata dell’Elefantenrunde, quando, senza dir nulla, lasciò che Gerhard Schröder si scavasse la fossa da solo. Per lei il silenzio significa molte cose: pausa, riflessione, preparazione, fiducia, presa di distanza, provocazione, affermazione di potere, rifiuto. Tacere al momento giusto è essenziale.
«Devo capire le cose prima di decidere. Ho sempre provato a evitare di rovesciare completamente le mie decisioni politiche. Ho dovuto farlo con l’energia atomica. Ma con la Grecia e l’euro non sapevo dal primo giorno cosa dovessi fare. Quando la pressione cresce e tutti premono, allora devo dire qualcosa, ma non parlo prima di essere sicura che una decisione sia sostenibile anche tre giorni dopo. In questi trentacinque anni ho sperimentato che intorno a me l’opinione ufficiale era diversa dalla mia. Ero sola o insieme a pochi altri».
Aspettare il momento giusto, quindi, prima di dire qualcosa. Ma quando questo momento arriva, parlare senza lasciar spazio a equivoci. Anche questa è una lezione appresa nella Ddr, una scuola di vita molto severa. Sigmar Gabriel, che è stato vicecancelliere socialdemocratico e più volte suo ministro, in un’occasione le chiese quale tipo di impronta avesse lasciato in lei la Germania Est: «Quando si aveva a che fare con la Stasi», rispose Merkel, «bisognava parlare chiaramente, non si poteva dare adito a interpretazioni. Non appena ti mostravi approssimativa, eri nelle loro mani e avrebbero potuto farti qualsiasi cosa. Dovevi essere assolutamente chiara e decisa».
Di pari passo con il silenzio, e forse ancora più importante, va la riservatezza, un’altra delle necessità della vita nella Ddr di cui Angela Merkel ha fatto virtù nella sua stagione al potere. Chi le sta intorno deve essere discreto per amore e per forza. Chi si vanta di frequentare e consigliare Merkel è fuori. «Il fondamento di ogni collaborazione basata sulla fiducia è che ci si possa dire le cose con grande franchezza, ma a condizione che questa non venga strumentalizzata e che i dettagli non vengano divulgati oltre la cerchia dei partecipanti».
Il precetto viene di regola rispettato: nessuno, per esempio, conosce contenuti e date dei pur frequenti incontri che la cancelliera ha con i leader dell’opposizione verde e liberale. E lei si fida: «Quando la situazione si fa seria, io ho totale fiducia nella classe politica tedesca». Raccontano che all’offerta di Helmut Kohl, nel 1994, del ministero dell’Ambiente, lei rispose subito di sì, senza poi dire nulla a nessuno. Ma, dopo due settimane, il cancelliere le chiese se fosse ancora dello stesso parere, visto che i media facevano vari nomi ma non il suo, tanto era stata riservata.
Discrete rimangono le sue amicizie private, pochissime e selezionate. Nessuno, nella ristretta cerchia di attori, musicisti e registi che Merkel invita nel suo appartamento sull’isola dei Musei o nella piccola dacia nella campagna dell’Uckermarck, ne parla mai pubblicamente. Qualche problema lo ha o ha avuto con alcuni leader stranieri: l’esuberante presidente francese Nicolas Sarkozy non è mai stato molto discreto.
Aver vissuto ed essersi formata nella Ddr ha dato ad Angela Merkel altri vantaggi, come l’autodisciplina e la forza di volontà. Sotto la dittatura comunista tutto era una questione di sopravvivenza: chi voleva avere successo doveva guardarsi dal commettere anche il più piccolo errore.
Una delle abilità necessarie era anche sapersi esprimere in un linguaggio in codice, nel quale poteva nascondersi anche l’ironia o addirittura la critica. Bastava una frase per intendersi. Senza essere una Geheimsprache, una lingua segreta, è qualcosa che ancora oggi affiora a tratti nella comunicazione della cancelliera. Nel governo in carica, per esempio, momenti d’ironia ci sono con Franziska Giffey, ex ministra socialdemocratica per la Famiglia e le Donne, anche lei berlinese dell’Est. «È sufficiente una parola ed entrambe ci mettiamo a ridere», ammette la cancelliera.
da “L’età di Merkel”, di Paolo Valentino, Marsilio, 2021, pagine 328, euro 18
Paolo Valentino presenta il libro il 3 settembre al Festival Caffeina di Viterbo;
il 5 settembre a Taormina, presso il Palazzo dei Duchi di Santo Stefano;
il 12 settembre a Mestre al Festival della Politica;
il 13 settembre a Roma presso la libreria Feltrinelli di Galleria Alberto Sordi.