Caffè, canna da zucchero, agrumi, carne e cellulosa. Sono queste le ricchezze che potrebbero rendere il Brasile protagonista nei futuri mercati internazionali. La nazione sudamericana, come spiega il Financial Times, è ora uno dei principali produttori mondiali di prodotti alimentari, dai semi di soia allo zucchero, dal manzo alle banane. «Dotato di un’abbondanza di ricchezze naturali, come vasti giacimenti di minerale di ferro e riserve petrolifere in acque profonde, il Brasile fornisce anche alcune delle materie prime più importanti per le economie moderne», si legge sul quotidiano.
E il momento storico potrebbe essere favorevole per Brasilia: il rialzo dei prezzi per molti di questi beni di base, la crescita mondiale e l’arrivo di un nuovo “superciclo” delle materie prime, sono le basi per una crescita economica che manca da molto.
La domanda, nel frattempo, è sempre stata alimentata dalla Cina, mentre Maurílio Biagi Filho, un magnate del settore della canna da zucchero a Ribeirão Preto, descrive come una congiunzione molto rara la confluenza di alti prezzi agricoli e produzione record. «Quando succede, quando hai entrambe le cose, è straordinario», aggiunge.
Proprio Ribeirão Preto, chiamata anche la “California brasiliana”, testimonia la prosperità che è scaturita dalla crescita esponenziale del Brasile nel settore agricolo. Purtroppo non tutto il Paese è un cartolina felice: «L’abbondanza di Ribeirão Preto è ben lontana dai problemi che ora assalgono gran parte della nazione. Milioni di persone hanno perso il lavoro a causa della crisi sanitaria, portando il tasso di disoccupazione al record di quasi il 15%. In un paese ricco di abbondanza la fame è aumentata poiché l’inflazione, guidata in gran parte dall’aumento dei prezzi dei beni brasiliani sui mercati internazionali, spinge il costo degli oggetti di uso quotidiano alle stelle», spiega l’articolo.
Ci sono speranze però che il post Covid faccia da detonatore per sbloccare il potenziale a lungo promesso del Paese. «Si apre una “finestra di opportunità” per il Brasile», afferma Gustavo Arruda, economista di BNP Paribas. «C’è un boom di cui possiamo approfittare. Puoi spendere i guadagni e non fare nulla. Oppure sfruttarlo al meglio e fare riforme strutturali», dice al Ft.
Rendere l’economia più competitiva è l’obiettivo perseguito da decenni, e mai raggiunto. L’ascesa dei beni primari dovrà quindi tradursi in una ripresa più ampia, e richiederà ai politici di evitare gli errori della precedente abbondanza di materie prime degli anni 2000. Quando si perse l’opportunità di aumentare la produttività migliorando le infrastrutture e riducendo la burocrazia.
Nel frattempo in Brasile si sta verificando una prolungata deindustrializzazione, con chiusure di fabbriche e licenziamenti poiché molti produttori tradizionali lottano per rimanere competitivi. «Il modo in cui il Brasile affronta queste due tendenze determinerà il futuro del sistema economico del Paese, il quale può liberarsi di un modello secolare di espansione e contrazione che risale alle sue origini di colonia», si legge ancora.
Nel corso della sua storia, le fortune del Brasile sono state spesso legate ai flussi di esportazione. Dallo zucchero durante la conquista portoghese fino all’oro, al caffè e alla gomma amazzonica della fine del XIX secolo. Negli anni 2000 ha cavalcato l’onda del superciclo delle commodities: «Sotto ill governo Lula i tassi di povertà sono diminuiti poiché le sue amministrazioni hanno speso parte dei dividendi fiscali in programmi sociali».
Cosa è successo dopo? Il post Lula è stato caratterizzato da un decennio in cui gli standard di vita sono crollati. Un enorme scandalo di corruzione, politiche interventiste fallite del successore Dilma Rousseff e proteste di massa hanno fatto da sfondo a quella che è stata la peggiore recessione del paese (2015-16).
Ma il panorama adesso è cambiato. Il costante lavoro latente del settore agricolo ha reso il Brasile un hub di riferimento per tutte le economie globali. «Negli anni ’70 il Brasile era debole dal punto di vista alimentare. Abbiamo importato di tutto: carne dall’Europa, latte dagli Stati Uniti, fagioli dal Messico, mele dall’Argentina», afferma Celso Moretti, presidente di Embrapa, un ente governativo di ricerca agricola. «In meno di cinque decenni, siamo stati in grado di stabilire un’agricoltura tropicale sostenibile e competitiva che non ha eguali nel mondo moderno», aggiunge.
La zona della rinascita agroalimentare è il Cerrado, negli altopiani del Brasile centrale. L’area occupa più di un quinto del territorio nazionale, e grazie a nuove tecniche e sviluppi tecnologici, come la conversione dei terreni forestali, è stato possibile trasformare territorio come il Mato Grosso in piantagioni che ricordano il Midwest americano. I risultati sono stati notevoli. Oggi il paese sudamericano è il più grande produttore di semi di soia e caffè nonché il più grande esportatore di carne bovina e zucchero. «Il Brasile è già il granaio del mondo. Abbiamo la più grande bilancia commerciale agricola», afferma José Carlos Hausknecht della società di consulenza agroalimentare MB Agro Consultoria.
In termini monetari: solo l’agricoltura ha registrato una crescita positiva del 2%; l’agrobusiness nel suo complesso ha aumentato la sua quota economica durante la pandemia e potrebbe superare il 30% del prodotto interno lordo, secondo le stime del Center for Advanced Studies in Economia Applicata presso l’Università di São Paulo (USP). Nel 2021 si prevede un raccolto record di cereali e semi oleosi, secondo l’autorità di statistica brasiliana IBGE.
Ma quanto gioverà a livello nazionale questa ascesa? «Finora si sono arricchiti un numero relativamente piccolo di proprietari terrieri e allevatori, è meno chiaro se il boom delle nuove materie prime diffonderà la ricchezza in modo più ampio in tutta la società» si legge nell’articolo.
La curva a V del settore agricolo brasiliano porta con sé anche delle ripercussioni, sopratutto per il settore manifatturiero. Ford ha deciso di abbandonare la produzione in Brasile dopo un secolo nel paese, Mercedes-Benz ha cessato la produzione di autovetture non molto tempo prima, mentre marchi come Sony e Canon hanno terminato le attività. Il ministro delle finanze Paulo Guedes ha recentemente detto che il settore agroalimentare sta sorpassando le industrie di “trasformazione”: «Stiamo lentamente deindustrializzando, il che è un male per il Paese».
La tendenza alla deindustrializzazione però è di lunga durata. Secondo l’analisi della Fondazione Getúlio Vargas, dalla metà degli anni ’80 la quota del Pil del settore manifatturiero si è dimezzata. Tra il 2013 e il 2019, sono stati persi 1,4 milioni di posti di lavoro nell’industria, ovvero più del 15% della forza lavoro del settore, secondo i dati dell’IBGE.
Un’emorragia che sposta l’ago della bilancia, poiché i prezzi delle materie prime tendono ad essere piuttosto volatili, e una maggiore dipendenza da tali esportazioni rischia di lasciare un paese più esposto agli alti e bassi dei cicli globali.
Il settore agricolo brasiliano però è differente. «L’agroalimentare oggi non è solo aziende agricole, perché esportiamo tecnologia, macchine e software. Abbiamo molte start-up», afferma Denis Arroyo Alves, direttore di Orplana, un’associazione di produttori di canna da zucchero. «È una nuova economia basata sulla campagna». Anche Cagnin è sulla stessa linea di pensiero: «L’agrobusiness può essere un catalizzatore per la reindustrializzazione. Anche se questo non esiste ancora su larga scala, esistono dei casi».
A margine dei numerosi controlli cui sono sottoposti i venditori di soia e carne bovina per dimostrare che le loro catene di approvvigionamento sono estranee alla deforestazione, ci sarà inoltre una maggiore necessità di tracciamento satellitare e sistemi di tracciamento affidabili. «Con le minacce di boicottaggio dei prodotti da parte dei consumatori europei e dei supermercati sull’Amazzonia, la protezione dell’ambiente rischia di diventare un tema ancora più importante per le grandi aziende agricole, così come la decarbonizzazione», spiega il Ft.
Eppure molti economisti sottolineano la necessità di profonde riforme per aiutare ad affrontare il famigerato custo Brasil – il costo di fare affari in Brasile – che trattiene i produttori. Ciò includerà la gestione delle tasse, la burocrazia onerosa e infrastrutture scricchiolanti o inesistenti, in particolare nei trasporti. Un disegno di legge di riforma fiscale sta ora arrivando al Congresso. Ma con le elezioni tra poco più di un anno, ci sono forti dubbi sulla volontà politica di attuare i cambiamenti radicali necessari.