Abdul Ghani Baradar ha circa 50 anni ed è stato uno dei vice di Akhundzada, nonché capo della fazione politica dei talebani. Era considerato il braccio destro dello storico fondatore e capo dei talebani Mohammed Omar, più noto con il nome Mullah Omar, insieme al quale aveva combattuto contro l’Unione Sovietica.
Lo presenta così il Corriere il nuovo leader dei talebani. Di etnia pashtun, fino al 2010 fu il comandante dell’ala militare dei talebani: in quell’anno venne arrestato dalle autorità pakistane. Baradar è il terrorista che gli Stati Uniti hanno tirato fuori di prigione per trattare. È il negoziatore che ha garantito l’uscita di scena di Washington. È il talebano che tante capitali sperano controlli il futuro Afghanistan perché sotto la barba incolta hanno visto uno che conosce il mondo e ne apprezza le comodità.
Baradar non voleva l’avanzata fulminea di settimana scorsa: avrebbe voluto procedere come deciso con gli americani: lentamente, senza attriti con la superpotenza in ritirata.
Voleva più tempo perché il governo afghano mediasse mantenendo il consenso internazionale e con quello gli aiuti economici. Invece, ora, con quel liquefarsi dell’esercito regolare, con la fretta dei suoi barbuti combattenti di approfittarne, tutto rischia di saltare. Il Paese può scivolare nell’anarchia, avere milioni di profughi e, magari, qualche incidente spingere la Casa Bianca a mostrare di nuovo chi è più forte.
BBC News fa notare che nel 2020 Baradar divenne il primo leader talebano a comunicare direttamente con un presidente statunitense: cioè Donald Trump, con cui parlò al telefono. Il 17 agosto Baradar è tornato in Afghanistan per la prima volta dopo molti anni, e nella sua città natale, Kandahar, è stato accolto con feste e fuochi d’artificio.
«Il suo curriculum di talebano è indiscutibile. Compagno di giochi del futuro Mullah Omar, ha sposato una sorella dell’amico scomparso. Omar e Baradar combattevano assieme i sovietici e, cacciati gli «infedeli», pensavano di sistemarsi come mullah (preti) di una madrassa (scuola coranica). Invece il caos post-sovietico divenne intollerabile. Dalla loro piccola scuola escono per punire i signorotti che vessavano la popolazione. Diventano popolari. Nel 1994 con altri due amici fondano il movimento degli «studenti del Corano», il Pakistan fa loro reclutare all’interno dei suoi confini e con quell’esercito invasato conquistano l’Afghanistan», si legge sul quotidiano.
Dal 1996 al 2001, Baradar ricopre varie posizioni nell’Emirato, ma mai di vertice. Resta un tessitore con la fiducia del capo. Quando gli Stati Uniti scatenano i bombardamenti per vendicare gli attentati di Al Qaeda alle Torri Gemelle, Baradar contatta Karzai, uno della sua stessa tribù che però stava con gli americani. Vuole patteggiare la resa. Washington non ascolta e il tentativo fallisce.
Baradar scappa in Pakistan, forma la shura (assemblea) talebana di Quetta. Nel 2009 capisce che la guerra sarà lunga e difficile. Scrive un libretto per i combattenti: non rubare, non stuprare, non fare vittime civili, la guerra si vince con il consenso della gente. È il momento del terzo tentativo di finire la violenza afghana: chiama ancora Karzai, ormai diventato presidente. Lo fa attraverso il fratello di questi, trafficante di droga. Chiede di trattare, Karzai accetta, ma pachistani e americani non si fidano (o non vogliono la pace) e lo arrestano.
«Dal 2010 al 2018 resta prigioniero ed è scarcerato solo quando il presidente Donald Trump decide lo stop alla missione in Afghanistan. In due anni, Baradar fa quello per cui è stato liberato. Convince tutti i gruppi talebani che la pace conviene. Ci riesce anche mostrando loro di potersi autofinanziare. È sua l’idea dei semi di papavero da oppio geneticamente modificati che raddoppiano il raccolto. Riceve una telefonata direttamente da Trump, ma resta diffidente, non firma per primo il foglio dell’intesa con Washington», continua. Adesso sarà quindi lui a guidare un Afghanistan completamente alla deriva.