Daje all’imprenditor fuggiascoI progetti anti-delocalizzazione del capitalismo da raccordo anulare

Solo in Italia c’è l’idea fare impresa all’estero sia un oltraggio anti-patriottico. È per questo che la politica ha pensato di tassare chi investe oltre confine, invece di attrarre investimenti, aumentare la concorrenza e premiare l’innovazione

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L’idea è che chi “scappa” dall’Italia per fare impresa si rende responsabile di un oltraggio anti-patriottico, l’atto di vigliacca insubordinazione al bel sistema che ci vede – unici in Europa – al livello di reddito personale di trent’anni fa grazie a un’economia infibulata dalla cura sindacale e dal maneggio burocratico.

In questo quadro, l’imprenditore che delocalizza è la causa del male italiano, non l’effetto di una temperie che anziché richiamare investimenti li allontana, che anziché inseminare il terreno della concorrenza lo isterilisce, che anziché premiare l’innovazione garantendole profitto la demotiva tassandola.

E così si tratta di reagire all’italiana se il lestofante che fa impresa minaccia di andarsene. Come? Semplice, recintandogli l’azienda e ammollandogli sul groppone una multa se si azzarda a evadere. A destra e a manca, più o meno, il rimedio suggerito è quello, e dovrebbe venirne fuori un estruso di governo nelle prossime settimane.

All’autarchia delle nocciole di stampo leghista, in pratica, si giustappongono i progetti anti-delocalizzazione del capitalismo democratico da raccordo anulare. Funzionano pressappoco così (anzi, non pressappoco: proprio così): dunque, siccome all’aziende – ‘tacci loro – nun je potemo impedì de scappà dall’Italia, allora famo che se poco poco ce vonno provà devono prima comunicarcelo: n’annetto prima, come minimo. Te ne devi annà? Compila er modulo, ciccio, e se vedemo tra dodici mesi (dodisci).

Strilli che delocalizzi perché non c’è mercato? Imprechi perché qui hai troppe tasse, troppi adempimenti e infine (madre di tutte le bestemmie) perché fino a prova contraria l’iniziativa economica privata sarebbe libera? E ‘sti cazzi: dall’Italia democratica e riformista nun se scappa, bello mio, tanto meno così, su due piedi, e tanto meno aggratis. Quindi me devi dà er preavviso lungo.

L’infame delocalizzatore si rassegna: e vabbene, famose ‘ste mesate d’attesa (intanto, dove non delocalizza lui va a delocalizzare un altro, a produrre le scarpe o i tessuti o gli elettrodomestici che poi comprano gli elettori del riformismo daziario con la grande soddisfazione di non aver finanziato il delocalizzatore italiano).

Dice (disce): basta così? Macché. Perché i mesi d’inibitoria mica vorremo farglieli passare in pace. Figurarsi. Te puzza pe’ davero de scappà dar Paese nostro? E allora me devi da trovà uno che te se compra, cioè n’antro che se accolla le rotture de cojoni tue, cioè quello che si prende in carico l’azienda sepolta di scartoffie e promette di non variarne la destinazione, cioè produrre passività.

Urli ancora che un altro scemo così non si trova? E ancora ‘sti cazzi, fatti tua: a lo Stato democratico e riformista nun je sta bbene che uno viene qua a imporre l’infame loggica der profitto, perciò a spese tue assumi un “team di advisors, disciamo di consulænti”, il quale discute cor compratore un piano di industrializzazione (quattro zeta): cioè il giuramento che non tradirà la Patria e dunque non delocalizzerà mai mai mai, il tutto sigillato dal rituale del bacio sull’F24.

Questa roba, che non è uno scherzo, ha un pregio: piace da matti a tutti quanti, e se emendano il progetto infilandoci l’obbligo di battesimo per il compratore dell’azienda che se n’è gghiuta, vedi che firmano di corsa anche Capitan Rosario e Donna Giorgia. E guarda tu le sorprese dell’Italia democratica e riformista: altro che minoritaria, basta trovare le parole giuste, tipo daje all’imprenditor fuggiasco, e son tutti d’accordo.

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