Triangoli magiciEcco che cosa ha fatto crescere l’economia italiana nel secondo trimestre

Il Prodotto interno lordo ha segnato un sorprendente +2,7 per cento, frutto di una spinta poderosa del cluster industriale Varese-Bologna-Treviso, di una ripresa solida della manifattura e di un export in continua evoluzione con Germania e Francia. L’analisi di Dario Di Vico

unsplash

Nella primavera del 2021 il Pil italiano ha segnato un sorprendente +2,7%, frutto di una spinta poderosa di tutti i territori industriale del Paese. Si possono riassumere così, a grandi linee, i dati del secondo trimestre del Prodotto interno lordo italiano, che hanno registrato in particolare un’evoluzione del triangolo industriale Varese-Bologna-Treviso e la corsa della manifattura (che già nella fase delle restrizioni sanitarie aveva dato convincenti prove di resistenza).

Un articolo di Dario Di Vico del Corriere della Sera racconta le motivazioni di questa ripresa. Partendo dalle ottime prestazioni della Lombardia: «La produzione industriale è cresciuta nel secondo trimestre del 3,7% in chiave congiunturale e del 32,5% rispetto allo stesso periodo del 2020; da segnalare il risultato della siderurgia (+29,4% sul 2019), della chimica (+19,5%) e degli alimentari (+11,3%)», si legge. Ma è ancora una volta l’export a fare la differenza e a tirare la ripresa regionale: «È il risultato della caparbietà della determinazione degli imprenditori», spiega Marco Bonometti, presidente Confindustria Lombardia.

Situazione diversa invece per il Veneto. La mancanza di manodopera si sta rivelando un problema più grave del previsto, e questa carenza potrebbe addirittura condizionare la ripresa o quantomeno fungere da collo di bottiglia. Sul versante Nordest della regione, nel frattempo, si sta ridimensionando il comparto aziende minori, con fusioni e accorpamenti finanziari, e stanno nascendo nuove iniziative d’investimento da parte del private equity.

In materia di investimenti sulla trasformazione digitale, invece, il quotidiano milanese scrive: «Si sta creando un effetto di polarizzazione tra imprese che puntano sulla digitalizzazione e aziende che pensano di poter rinviare l’appuntamento». In particolare, a spingere della direzione del 4.0 è la meccanica più moderna, l’industria del mobile più avanzata e l’alimentari, che investe però sulla rete e sulla distribuzione. Rimane viva anche la collaborazione tra imprese e università per l’economia della conoscenza.

Spostandosi infine in Emilia Romagna, si può notare che la regione è forse quella che negli ultimi mesi è riuscita ad attrarre più investimenti di tutti. Come? Grazie a una triangolazione di successo tra imprese-università-amministrazione. «La Regione Emilia-Romagna si sta caratterizzando come un soggetto pro-impresa, una sorta di sportello intelligente al servizio di nuove iniziative», si legge nell’articolo.

Le imprese scelgono poi l’Emilia anche per il personale qualificato e per la presenza di filiere assodate e ben oliate da un sistema che riesce a unire sindacati e mondo politico. «Anche qui va avanti un processo di concentrazione delle imprese sopratutto nel packaging e nell’impiantistica, magari all’interno delle singole filiere. Se da una parte si difendono le quote di mercato dall’altra si cresce per linee esterne e come in Veneto questo fenomeno interessa Pmi magari da 10 milioni di fatturato», scrive il Corriere.

L’ecosistema emiliano indirizza gli investimenti verso la digitalizzazione ma anche verso la sostenibilità: le imprese stanno infatti cercando di innovarsi nelle tecnologie di produzione, e per effetto di questo movimento «i fatturati appaiono in crescita mentre la marginalità procede lentamente».

C’è un ulteriore fattore che influisce positivamente sulla rinascita economica italiana: il triangolo Italia-Francia-Germania. Per il momento, però, solo Confindustria Lombardia ha fornito dei dati che possono fotografare il fenomeno: «il 45%del fatturato delle imprese lombarde viene realizzato all’estero; il 65% delle imprese è riuscito durante la pandemia a mantenere la sua quota di mercato estero», scrive il quotidiano italiano. La Lombardia si conferma la regione più votata al rapporto con Germania e Francia.

In che modo? Il ruolo delle aziende italiane consiste principalmente in quello di «fornitori dentro le grandi catene del valore tedesche e francesi». Due terzi delle imprese si interfacciano esclusivamente con il loro cliente finale e solo il 18% è dotata di export digitale con piattaforme e servizi.

Questo commercio a tre, tuttavia, non è del tutto al sicuro. Mentre l’industria dell’automotive tedesca continuerà a fornire una domanda continua per le imprese italiane, la Francia è molto concentrata sul binomio Stato-grandi imprese e sta dirottando la politica industriale verso riferimenti sempre più nazionali.