Una linea dura verso il nuovo regime di Kabul e subito un intervento europeo per la gestione dei rifugiati. Lo chiede Laura Boldrini, ex presidente della Camera e per anni impegnata proprio in Afghanistan con le Nazioni unite, in un’intervista rilasciata alla Stampa.
«Ho fatto molte missioni in Afghanistan quando lavoravo per il Wfp e poi per l’Unhcr. La prima volta che sono andata in Afghanistan era negli anni Novanta, quando i signori della guerra si scontravano tra loro. È un paese che mi sta molto a cuore. Sono inorridita dalle modalità disastrose del ritiro. Dal caos che vediamo si capisce che non c’era un piano predisposto. È incomprensibile la scelta degli americani di chiudere la base di Bagram prima di avere evacuato i civili», spiega Boldrini.
Adesso si cerca di capire chi ha commesso più errori, anche se l’ex presidente della Camera ha le idee già abbastanza chiare. «Non ho mai creduto nell’operazione militare come strumento per restituire agli afghani pace, sicurezza, progresso, il rispetto dei diritti delle minoranze e delle donne. Ma penso anche che la grande responsabilità di quanto sta accadendo sia di Trump, che – senza consultare gli alleati della Nato – ha svenduto l’Afghanistan per un pugno di voti, legittimando i talebani al tavolo dei negoziati di Doha e riconsegnando loro il paese. Togliendo così quel poco di senso all’intera operazione, che già aveva enormi deficit. Perché indubbiamente almeno nelle città – non nelle zone rurali – in questi vent’anni la situazione delle donne era migliorata. Ora anche il buono che è stato fatto rischia di essere vanificato. E non solo sul fronte dei diritti delle donne: preoccupa infatti il futuro delle minoranze, di chi si è speso per i diritti, della comunità Lgbtqi», ribadisce.
Nel frattempo i talebani hanno ripreso la loro azione di repressione contro le donne, eppure l’ex premier Giuseppe Conte suggerisce di aprire un dialogo con il nuovo regime afghano. «Sono possibili soltanto accordi di natura logistica e funzionale per mettere in salvo le persone. Non ci si può spingere oltre questo. Non ci sono i presupposti. I talebani, al di là dei proclami, non hanno preso le distanze dal passato sanguinario e mi sembra che stiano usando metodi simili a quelli usati tra il 1996 e il 2001. Ora dicono di voler fare un governo inclusivo con esponenti non taleban ma io rimango assai scettica e preoccupata. Diciamola tutta: come per ogni fondamentalismo, le donne sono il campo di battaglia. Allora qui dobbiamo parlarci chiaro: è un ossimoro parlare di rispetto della donna e sharia. Come è un ossimoro parlare di democrazia e sharia», dice Boldrini.
Che poi risponde agli esponenti della destra italiana e anche a Maria Elena Boschi che accusano le femministe di restare in silenzio di fronte alla violazione dei diritti delle donne in Afghanistan e nei paesi islamici in generale. «Le femministe stanno condannando in ogni modo possibile e immaginabile la repressione dei diritti delle donne. In Afghanistan, in Arabia Saudita e in qualunque altro paese. Ho visto con i miei occhi le vedove che, durante il regime dei talebani, avendo il divieto assoluto di lavorare erano costrette a morire di fame. Loro e i loro figli. La repressione delle donne dei talebani va condannata senza se e senza ma», ribadisce ancora.
Ma cosa può fare adesso l’Occidente? «Intanto la comunità internazionale deve sostenere le agenzie delle Nazioni Unite e le Ong che continueranno a lavorare in Afghanistan. E a livello europeo dovremmo organizzare i corridoi umanitari, oltre al fatto che va sbloccata anche la situazione dei tanti profughi afghani “parcheggiati” in campi improvvisati lungo la rotta balcanica. Questo tema non può essere più ignorato. Temo che per la gestione dei rifugiati in fuga dall’Afghanistan si faccia strada tra i paesi membri dell’Ue l’ipotesi Turchia, cioè esternalizzare l’asilo in altri paesi in cambio di soldi e tenere le maglie strette per chi arriva in Europa. Ma in Afghanistan c’è una maggiore responsabilità dei paesi Nato, c’è un impegno morale, non possiamo autoassolverci e delegare. Almeno questo glielo dobbiamo», conclude.