Il lavoro da remoto aiuta chi ha figli, permette di bilanciare vita lavorativa e vita familiare e, al tempo stesso, è un alleato importante per l’occupazione femminile. Come spiega questo interessante articolo dell’Atlantic, lo smart working – entrato a dominare le vite di moltissime persone nel 2020 – ha dimostrato di avere effetti importanti sulla famiglia.
Le donne che hanno potuto sceglierlo come opzione, al termine della pandemia sono riuscite a fare fronte alla chiusura delle scuole e, al tempo stesso, a mantenere il lavoro. Per molte altre, per le quali non costituiva una possibilità praticabile (ad esempio perché facevano lavori manuali, o che richiedono la presenza fisica), la pandemia ha portato a scelte drastiche, tra le quali quella di rinunciare all’impiego.
È una disparità che, puntualizza il magazine americano, non è frutto del caso. Al contrario va a indicare una nuova linea di faglia sociale, quella tra chi può permettersi un lavoro flessibile e chi no. Il risultato è duro: il digital divide va a stabilire non solo quanti figli si possono avere, ma anche chi li può avere.
La questione del lavoro da remoto si inserisce nel dibattito sugli effetti di internet nella società che va avanti da tempo. Da un lato c’è chi sottolinea come i nuovi mezzi elettronici abbiano fatto sì che il lavoro, senza più una soluzione di continuità precisa, tracimi nella vita privata. Altri invece hanno evidenziato come, rendendo più elastica la permanenza al posto di lavoro, le nuove tecnologie abbiano reso più facile la gesione delle mansioni familiari.
In questo secondo senso, internet ha cominciato ad assumere un ruolo sempre più decisivo, intrecciandosi a strumenti di flessibilità del lavoro (come il part time) già presenti. Il risultato, definito da una ricerca congiunta dell’Università di Pittsburgh e la Bocconi italiana, è che internet avrebbe un influsso positivo sulla decisione dei genitori di avere figli.
Lo studio è stato condotto su dati tedeschi relativi ai primi anni zero: alla crescita della banda larga corrispondeva un aumento della fertilità. Ma con una precisazione fondamentale: vale solo per donne con una formazione molto alta.
La spiegazione è quasi ovvia: la flessibilità introdotta da internet non vale per i mestieri che richiedono la presenza fisica del lavoratore. In generale, si tratta di impieghi manuali, o di prestazione, che richiedono meno formazione. Le paghe sono più basse e la rigidità oraria rende difficile occuparsi della crescita dei figli in modo costante.
I lavori da remoto, per la loro natura intellettuale, al contrario toccano a chi ha potuto investire nella propria formazione e consentono di organizzare l’equilibrio familiare in modo più duttile, con un grado di collaborazione tra uomini e donne molto più alto. Per la prima volta, insomma, rischia di essere rovesciata quella che, nel XX secolo, era diventata una verità pressoché universale: cioè che le donne più istruite fanno meno figli rispetto a quelle che hanno studiato di meno. In alcuni Paesi del Nord Europa il fenomeno è già in atto.
Per questo motivo si parla già di digital divide della fertilità, che in linea generale va a sovrapporsi ad alcune divisioni sociali già presenti e fondamentali, come lo studio e la paga, che influiscono in modo decisivo sulla decisione di avere figli. Gli studiosi consigliano, come sempre, cautela: le ragioni sono numerose, ma il dato di fatto è già di per sé importante. La pandemia, del resto, non ha fatto altro che confermarlo: se è vero che a perdere i lavori sono state in larga parte le donne, è anche vero che chi ha sofferto di più sono stati proprio quelli che non potevano collegarsi da remoto.