Originariamente pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa
Capitale della metallurgia e grande porto sul mar d’Azov con quasi mezzo milione di abitanti (la popolazione è in leggero calo dal 2014), Mariupol è una delle dieci città più grandi dell’Ucraina, nonché il più importante centro industriale ed economico del Paese.
La città ha conquistato nel 2019 il settimo posto nella classifica delle località più vivibili in Ucraina, nonostante si trovi a pochi chilometri dal fronte di guerra con la Russia e la sua situazione ecologica sia catastrofica: l’aria di Mariupol è, infatti, la più sporca del Paese, c’è un odore pungente di formaldeide e zinco, e vi si respira polvere di ferro.
Cenni storici
Le terre sul mar d’Azov furono, fin dal IX secolo, luogo di rotte commerciali fra i Paesi del Caucaso e le terre slave della Rus’ di Kiev, che aveva colonizzato le steppe dell’attuale Ucraina orientale (è il «dyke pole», campo selvaggio, descritto nel romanzo “Voroshylovhrad“ dello scrittore Serhiy Žadan, tradotto in italiano da Voland con il titolo “La strada del Donbas”).
Fu lungo queste coste che il principe Svyatoslav Igorevič, detto il Coraggioso, fondò il primo centro della regione, Bilhorod: situato nei pressi di Mariupol, i Tatari di Crimea lo ribattezzarono in seguito Bilosaraj (palazzo bianco): per questo motivo il lido nei pressi di Mariupol porta ancora oggi il nome di Bilosarajska Kosa.
Il centro cittadino di quella che è l’odierna Mariupol prese forma nei secoli IX-X, ma si sviluppò solo a partire dal XVI secolo grazie ai cosacchi di Zaporižžja, che miravano a proteggere commerci e strade dalle invasioni provenienti da Sud.
La città fu ufficialmente fondata nel 1778, e venne chiamata Mariupol dall’imperatrice Caterina II nel marzo 1780 in onore di Marija Fedorovna, moglie del futuro imperatore Paolo I.
Nei dintorni sorsero i villaggi di Bachčysaraj, Jalta, Urzuf, Sartana, e molti altri: tutti insediamenti fondati dai greci che provenivano dalle zone omonime della penisola di Crimea.
Dopo oltre cent’anni sotto l’Impero russo, il 30 dicembre 1917 il potere sovietico si insediò a Mariupol e nel 1920 i famosi stabilimenti metallurgici nati a fine Ottocento – “A“ (“Nikopol Mariupol“) e “B“ (“Provvidenza russa“) – furono nazionalizzati e fusi in un unico complesso che venne chiamato Illič in onore di Vladimir Lenin, nel 1924.
Insieme al colosso metallurgico Azovstal’, fondato negli anni Trenta, Illič è oggi la più grande fabbrica non solo della regione di Azov e dell’oblast’ di Donetsk, ma anche il principale impianto metallurgico dell’ex Ucraina sovietica e odierna: fornisce materie prime (principalmente agglomerati) e lavora e trasforma metalli (ferro, zinco, acciaio) dalla A alla Z, esportando i suoi prodotti in oltre 50 Paesi.
Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, la base industriale di Mariupol si adattò per far fronte ai bisogni militari del Paese; molti operai si arruolarono, prendendo parte perlopiù alla guerra d’inverno tra Urss e Finlandia (30 novembre 1939 – 13 marzo 1940). Successivamente la città venne occupata dalla Wehrmacht e rimase sotto assedio dal 1941 al 1943 quando, nella notte tra il 9 e il 10 settembre, il porto venne finalmente liberato dall’esercito sovietico.
Nonostante la crisi economica vissuta dalla città di Ždanov (così Mariupol fu ribattezzata nell’ottobre del 1948, in onore del politico sovietico Andrej Ždanov, nato qui nel 1896. Riprese il nome di Mariupol solo nel 1989, con il crollo dell’Unione Sovietica), la vita cittadina riprese e si intensificò nel Dopoguerra: il porto e lo stabilimento Illič furono collegati alla città da nuovi quartieri residenziali a partire dagli anni Sessanta.
Mariupol, teatro di guerra
Città dell’Ucraina indipendente dal 1991, il più grande agglomerato del Donbas dopo Donetsk è diventato nel 2014 uno degli epicentri della cosiddetta “primavera russa” nell’Ucraina orientale.
Nel mese di marzo, in seguito agli eventi di Euromaidan che portarono a un conflitto armato nei territori ucraini del Donbas – in corso ancora oggi – a Mariupol si sono svolte manifestazioni sia a sostegno dell’appartenenza all’Ucraina, sia a favore della secessione.
Gli scontri tra ucraini e separatisti filorussi si intensificarono dopo la proclamazione della Repubblica di Donetsk (Dnr), il 7 aprile, e all’inizio di maggio la città passò effettivamente sotto il controllo degli aderenti alla Novorossija: il 13 aprile i militanti della Dnr riuscirono ad assediare l’edificio del consiglio comunale di Mariupol e a issare la loro bandiera sul tetto.
Ma l’assedio non durò molto e Mariupol riuscì a sfuggire al destino di diventare la porta marittima dell’autoproclamatasi Repubblica di Donetsk. La città venne liberata dopo due mesi esatti, il 13 giugno 2014, dai volontari ucraini del famoso battaglione Azov guidati da Andriy Biletskyi, e da allora ospita l’amministrazione statale di Donetsk, fungendo anche da capoluogo della regione ucraina.
L’assedio, la liberazione, l’abbattimento della statua di Lenin e la vita dei cittadini di Mariupol tra il 2014 e il 2016 è raccontata nella serie di documentari “City of Heroes” (“Misto heroiiv“).
Città-chiave per la sua posizione strategica, Mariupol rimane vulnerabile agli attacchi dei separatisti (all’inizio del 2015, il centro portuale è stato nuovamente colpito dall’artiglieria missilistica della DNR, che ha provocato una decina di vittime civili) e proprio per questo in alcuni punti periferici e strategici della città sono tuttora in funzione alcuni posti di blocco e controllo militarizzati.
I tetrapodi di Mariupol
Chiunque giunga a Mariupol in auto, attraversando i posti di blocco terrestri, non può fare a meno di notare la presenza di enormi tetrapodi decorati a guardia degli accessi alla città.
Possono essere visti sia sulle strade di campagna e di periferia sia nella città stessa. In tempi di pace, i tetrapodi sono dei frangiflutti di cemento da 25 tonnellate che proteggono la costa dall’erosione, ma qui sono diventati delle vere e proprie opere d’arte nel 2013: per le celebrazioni del 235° compleanno di Mariupol, infatti, è nata l’idea di decorare la città portuale con oggetti d’arte insoliti e il tetrapode è stato scelto come simbolo originale del progetto.
Circa 80 tetrapodi dipinti a mano con tecniche e colori diverse sono stati collocati nelle principali piazze e strade della città, diventando così oggetti di street art.
Se pochi avrebbero pensato che un tetrapode sarebbe diventato un oggetto d’arte, nessuno l’avrebbe mai considerato un emblema di guerra. Eppure, in tempi di assedio, nel 2014, per Mariupol questi frangiflutti impossibili da capovolgere divennero strutture fondamentali per la difesa della città: alcuni di questi colossi in calcestruzzo dal volto dipinto sono stati rimossi dalle piazze e trasferiti ai posti di blocco ucraini, dove rimangono ancora oggi.
Stili di vita nella Mariupol di oggi
Il fronte è a meno di 20 chilometri dal centro abitato, eppure a Mariupol oggi non si respira il conflitto. Visivamente ci sono pochi ricordi dell’assedio: il quartiere orientale, bombardato il 24 gennaio 2015, è stato restaurato; l’unico segno rimasto dagli scontri è l’edificio del consiglio comunale bruciato, il cui scheletro è coperto da un enorme striscione con la bandiera ucraina e la scritta «l’Ucraina è la mia madrepatria».
Nonostante i piani di ricostruzione esistenti, gli edifici non sono ancora stati completamente restaurati, ma lo spazio urbano che li circonda è cambiato negli ultimi anni. Ci sono autobus e filobus moderni su strade completamente riparate, famiglie con bambini che passeggiano nei numerosi parchi ricostruiti e le vie del centro pullulano di giovani e vita mondana, di giorno come di notte: non c’è coprifuoco, come a Donetsk.
Oggi Mariupol è un porto tranquillo, all’orizzonte non si vedono neppure le temute navi della flotta militare, ma l’aria rimane pesante: nonostante la tensione costante non si respira aria di guerra, ma manca quella brezza tipica delle località marittime; si respira polvere di ferro, e le spiagge cittadine (a ridosso del porto), seppur all’apparenza piuttosto pulite, sono indubbiamente inquinate. D’altronde, non può essere altrimenti: il complesso industriale gestito dal Gruppo Metinvest, di proprietà degli oligarchi Rinat Achmetov e Vadym Novynskiy, rappresenta il cuore della città, dando lavoro non solo a oltre 25mila persone, ma registrando cifre d’affari esorbitanti per i suoi investitori.
La vita gira intorno alle fabbriche inquinanti e l’influente Rinat Achmetov ne è consapevole: l’oligarca continua a conquistarsi la fiducia dei cittadini con la modernizzazione di edifici e infrastrutture (un esempio fra tutti: l’impianto sportivo Illičivets), noncurante dei rischi ambientali a cui sono esposti i residenti di Mariupol.
Solo nell’ultimo anno, la fabbrica Illič sta rinnovando i propri impianti per soddisfare gli standard internazionali sulle emissioni ambientali. Secondo quanto riferito da Metinvest, lo scorso 10 giugno l’impresa ucraina ha firmato un contratto con l’azienda italiana Danieli per la fornitura di attrezzature per la costruzione di una nuova officina: l’investimento supera il miliardo di dollari e il nuovo impianto sarà caratterizzato da soluzioni in grado di garantire che le emissioni di sostanze nocive rimangano da 1,5 a 3 volte al di sotto delle norme massime consentite in Ucraina.
In termini di emissioni di sostanze nocive industriali, Mariupol non compete con nessun’altra città ucraina: se gli impianti metallurgici Azovstal’ e Illič, ubicati a pochi passi dal centro cittadino, sono gli indubbi responsabili dell’inquinamento dell’aria, anche il porto, ai margini del quale spunta una miniera che cade letteralmente sul mare, ci mette del suo. Navi con carichi ricchi di zolfo, pece di carbone e altri tipi di minerali entrano nelle acque portuali non sempre soddisfacendo i requisiti ambientali della legislazione e attraccando a pochi metri dalla spiaggia di Pesčaniy, tuttora popolare tra i cittadini e i turisti per la sua posizione centrale.