È successo di tutto, nelle ultime 48 ore della politica interna polacca. Inizialmente il premier Mateusz Morawiecki ha dimissionato il proprio vice, Jarosław Gowin, ministro dello sviluppo, del lavoro e del progresso tecnologico, nonché leader di Porozumienie (Intesa), uno dei tre partiti che componevano la coalizione di destra al governo.
Le posizioni si erano fatte inconciliabili anzitutto a causa della nuova legge che regolerà le proprietà dei media all’interno del Paese. Gowin ha sancito su Facebook la rottura dell’alleanza di governo e la fine dell’esperienza di Zjednoczona Prawica (Destra unita), quindi ha affilato le armi per il voto in Parlamento del giorno successivo: senza i dieci esponenti del suo partito, infatti, la legge sui media avrebbe avuto oggettive difficoltà ad essere approvata.
Ieri si è arrivati così al voto, che ha attraversato vari momenti. Visti i dubbi in seno alla maggioranza stessa, dapprima l’opposizione ha chiesto e ottenuto istanza di rinvio per l’inizio di settembre: 229 i parlamentari favorevoli e 227 quelli contrari.
Il risultato ottenuto legittimava alcune dichiarazioni trionfalistiche dei rappresentanti dell’opposizione: «Questo voto dimostra che in Polonia il governo è ormai in minoranza. È la fine del valzer guidato dal PiS», diceva subito dopo Adrian Zandberg di Razem (Insieme) a TVN.
L’euforia dell’opposizione si è rivelata però di breve durata. Con una giravolta stupefacente, alcuni parlamentari dichiaravano di non aver capito il senso della proposta di rinvio e di aver sbagliato a votare: «Abbiamo votato a favore perché ci siamo sbagliati. Non ci si può sbagliare?! Non è morto nessuno: abbiamo semplicemente sbagliato», diceva Jarosław Sachajko di Kukiz ’15, schieramento fino a ieri fuori dal governo.
A quel punto il raggruppamento del PiS (Prawo i Sprawiedliwość, Diritto e giustizia, partito di maggioranza nel governo) promuoveva una raccolta firme tesa a rivotare subito la proposta, sostenendo che non fosse stata definita la data esatta per il rinvio: il presidente del Parlamento, Elżbieta Witek, accoglieva e il voto precedente veniva ribaltato, 225 i favorevoli e 229 i contrari.
L’ultimo atto della giornata era proprio il voto sulla legge inerente alle proprietà dei mezzi di comunicazione: 223 parlamentari a favore, 208 contrari e 9 astenuti. Dopo di che si scatenavano le manifestazioni e le dichiarazioni di protesta, molte delle quali venivano indirizzate verso il movimento euroscettico e populista Kukiz ‘15, per aver votato in maniera contrapposta nel giro di appena due ore: «La maggioranza parlamentare, tenuta assieme dal fango della corruzione e del ricatto, sta venendo meno davanti ai nostri occhi. Forse durerà ancora un po’, ma non è più in grado di governare», scriveva Donald Tusk su Twitter. Intanto, le strade delle città polacche più grandi si riempivano di manifestanti: a Varsavia le persone si dirigevano verso il Parlamento, dove il deputato Dobromir Sośnierz di Konfederacja (Confederazione) veniva spintonato all’uscita.
Ora la legge dovrà passare al Senato, prima di poter entrare in vigore. Si tratta di quella che è stata definita Lex TVN, dato che riguarda – come caso principale ed emblematico – i canali dell’emittente TVN, di proprietà del gruppo americano Discovery.
La legge prevede che i capitali stranieri, ovvero fuori dallo spazio europeo, possano detenere in Polonia al massimo il 49% delle quote di un mezzo di comunicazione: la licenza di TVN scadrà a fine settembre e, se non dovesse essere trovata una soluzione, le sue reti verrebbero oscurate. L’emittente all-news TVN24 ha un buon seguito, soprattutto presso i cittadini polacchi che vogliano evitare le trasmissioni della televisione di stato, TVP, molto spostata su posizioni filogovernative: lo evidenziano le manifestazioni che si sono tenute in 90 città polacche il giorno prima del voto sulla legge, e che avevano come scopo proprio il sostegno a TVN.
Il caso è seguito da vicino dalle istituzioni di Bruxelles, che vedono in pericolo l’offerta di un’informazione indipendente all’interno del Paese, dopo aver già aperto un contenzioso nei confronti della Polonia sull’autonomia del sistema giudiziario; mentre gli Stati Uniti sono in allerta per le eventuali perdite economiche di Discovery, oltre che per la libertà dei media: «Il mondo sta osservando da vicino gli sviluppi in Polonia oggi, mentre le persone in tutto il Paese si radunano per sostenere l’informazione indipendente», scriveva su Twitter Madeleine Albright in merito alle manifestazioni in favore di TVN.
Del resto, i rapporti tra il governo polacco e la nuova amministrazione americana guidata da Joe Biden sono iniziati in maniera piuttosto distaccata, e l’adozione di questa legge potrebbe sancire una rottura irreparabile tra i due Paesi.
A fine luglio il Washington Post parlava apertamente di guerra fredda iniziata dal governo di destra nazionalista polacco nei confronti della nuova amministrazione americana, citando le parole di Jarosław Kaczyński, presidente del PiS e vicepresidente del Consiglio dei ministri: «In Polonia i media devono essere polacchi». Le schermaglie intorno alla nuova legge sui media, d’altro canto, non sono le uniche sorte tra Stati Uniti e Polonia, che ha lungamente rigettato la proposta di Mark Brzezinski come nuovo ambasciatore americano a Varsavia: il caso si è risolto appena cinque giorni fa, con l’insediamento di Brzezisnki in una posizione che era vacante da quasi due anni.
Quanto accaduto negli ultimi due giorni, tuttavia, non avrà ripercussioni solo sul piano delle relazioni internazionali, ma anche sul fronte interno. Durante le votazioni al Parlamento si è evidenziato che non tutti i deputati in capo a Gowin e a Porozumienie hanno votato compattamente, ma, anzi, alcuni di loro si sono schierati su posizioni governative: il che non è comunque bastato e, per avere la maggioranza, sono serviti i voti di Kukiz ’15, che avrebbe chiesto in cambio la poltrona di vicepremier per uno dei suoi esponenti. Una soluzione solo temporanea.
Insomma, il governo è attualmente in effettiva minoranza e, per trovare un assetto che gli permetta di andare avanti, al PiS e a Jarosław Kaczyński sono richiesti degli equilibrismi che paiono molto complicati.
Intanto Marek Suski, promotore della legge sui media e deputato del PiS, ha già dichiarato che – prima di andare al Senato – verranno apportate profonde modifiche al testo. Potrà bastare per ritrovare un po’ di serenità in ambito internazionale, forse; ma difficilmente l’opposizione, che in Senato dispone di più seggi e che pare essersi ricompattata con il ritorno di Donald Tusk sulla scena politica, si lascerà sfuggire l’occasione di un’ulteriore spallata.