Ici c’est Paris. Questa è Parigi. La maglia bianca che Messi indossava all’atterraggio nella capitale francese porta il motto della sua nuova squadra, il Paris Saint-Germain. Quella stessa frase, però, suona anche come un’affermazione di status: è il simbolo dello strapotere della Torre Eiffel nell’economia del calcio.
Il fenomeno argentino ha firmato un contratto biennale da circa 40 milioni di euro annui. Una cifra enorme che solo la Qatar Investment Authority, fondo sovrano qatariota che detiene il 100% del Psg, avrebbe potuto garantirgli.
Mentre nel resto del mondo si accusano ancora i colpi della crisi economica, e gli altri club d’Europa stringono la cinghia, il Psg può allungare le mani sul meglio che il calciomercato ha da offrire per puntare alla Champions League.
Milan, Juventus, Inter, ma anche superpotenze come Barcellona e Real Madrid, devono tagliare le spese per cercare di far quadrare i conti, intanto il Paris Saint-Germain porta a casa le firme – formalmente a parametro zero, la spesa è nelle commissioni degli agenti e negli stipendi monstre – di Donnarumma, Sergio Ramos, Wijnaldum, più l’acquisto per una settantina di milioni di Achraf Hakimi dall’Inter.
Le spese del Paris sono certamente fuori portata per tutti gli altri, non solo in questo particolare momento storico, ma sono ammesse anche in un regime di teorico controllo dei conti come quello che ha istituito la Uefa. Infatti, l’organo di governo del calcio europeo un anno fa ha messo in pausa il Fair Play Finanziario, il programma di controllo dei bilanci che ha caratterizzato l’ultimo decennio: ha allentato le restrizioni, consapevole che le perdite economiche delle società sarebbero state inevitabili e altissime per tutti.
Con il pareggio di bilancio diventato praticamente una chimera per chiunque, il Comitato esecutivo della Uefa, ha approvato delle misure di emergenza che rinviano di un anno le valutazioni sull’esercizio chiuso nel 2020. In pratica, per valutare se un club rientra o meno nella break even rule – che impone di raggiungere il pareggio di bilancio o sforare entro certi limiti previsti – si calcola la media dei deficit del 2020 e del 2021.
In questo modo lo scenario del Paris Saint-Germain è cambiato completamente. «Questa pandemia rappresenta in realtà un’opportunità per i club con proprietari ricchissimi, che possono spendere a causa delle normative allentate», ha detto a The Athletic Daniel Plumley, esperto di finanza sportiva e docente presso la Sheffield Hallam University.
Insomma, un club gestito da un fondo che fa capo direttamente allo Stato del Qatar diventa un rullo compressore sul mercato se anche i pochi paletti che c’erano vengono rimossi.
Perché i paletti c’erano, certo. Solo che anche in regime di Fair Play Finanziario la Uefa guidata da Aleksander Ceferin – quello che non voleva la Superlega perché difendeva il calcio del popolo – è stata piuttosto morbida con la proprietà qatariota del Psg.
Nel 2019 il New York Times ha rivelato che la Uefa ha inopinatamente rinunciato a indagare sulle spese fuori controllo del club parigino. Il titolo dell’inchiesta non lascia troppo spazio alle interpretazioni: «La Uefa si è arresa senza combattere».
Il nodo della questione, in breve, riguarda i contratti di sponsorizzazione in vigore tra il club francese e alcune aziende legate allo Stato del Qatar.
L’indagine Uefa si è avvalsa della consulenza dell’agenzia Octagon Worldwide, che avrebbe valutato il contratto più remunerativo intorno ai 5 milioni di euro. Lo stesso accordo commerciale è stato valutato anche dal Psg con la consulenza dell’agenzia Nielsen, che invece avrebbe quantificato l’accordo in una cifra vicina ai 100 milioni di euro – che poi è la quota iscritta a bilancio.
Secondo il quotidiano americano, insomma, la Uefa ha deciso di minare la sua stessa indagine per facilitare la vita del club francese. La motivazione alla base di questa scelta sarebbe da ricercare negli «stretti rapporti tra l’organo di governo del calcio europeo e beIN Media Group, con sede in Qatar, che ha investito miliardi per acquistare i diritti televisivi dell’Uefa e di altri partner».
In questi anni il Fair Play Finanziario ha funzionato solo a metà, o solo per qualcuno. In teoria il regolamento prevedeva sanzioni sportive di un certo peso, come l’esclusione dalle competizioni internazionali, per chi violava le regole. Ma la Uefa è stata severissima con i club dei Paesi meno rilevanti e più comprensiva con quelli di maggior prestigio: la lista delle squadre penalizzate, Milan a parte, include solo società minori, dal Galatasaray alla Stella Rossa, dal Cluj a Bursapor e Sion.
Di fronte al potere economico del Qatar, che porta vagonate di soldi nel sistema calcistico governato dalla Uefa, Ceferin ha chiuso un occhio più che volentieri.
E non solo con il Psg, ovviamente. Vale lo stesso anche con il Manchester City, di proprietà dell’Abu Dhabi United Group for Development and Investment, controllato dallo sceicco Mansour bin Zayed.
A febbraio 2020 il club inglese era stato sanzionato con una pena piuttosto severa: due stagioni senza Champions League (né Europa League, per quel che conta) per violazione del Fair Play Finanziario.
Il 13 luglio dello stesso anno il Tas di Losanna ha invertito la decisione e riammesso il City alle competizioni. Risultato: squalificata annullata e sostituita con un’ammenda da 10 milioni di euro – un terzo rispetto a quella paventata – che di certo non hanno tolto il sonno alla società emiratina.
Il verdetto del Tribunale svizzero dice che non c’erano prove sufficienti per confermare le sanzioni della Uefa.
La federazione europea aveva indicato un «finanziamento occulto»: anche qui c’erano dubbi riguardo la provenienza e la legittimità di alcuni contratti di sponsorizzazione utilizzati per coprire le perdite finanziarie e raggiungere il pareggio dichiarato tra il 2012 e 2016. Solo che è sparito tutto nel giro di sei mesi.
Non che siano mancate critiche, negli ultimi anni, all’operato della Uefa. Ma il futuro non sembra essere molto diverso, anzi. Il presidente del Psg, Nasser Al Khelaifi, è diventato da qualche mese anche capo dell’Eca, l’associazione dei club europei prima guidata da Andrea Agnelli, dimessosi a seguito della vicenda Superlega.
E va ricordato che il Psg è stato tra i grandi club ad avere sostenuto la Uefa contro il tentativo di creare una nuova competizione per club, diventando uno dei più fedeli alleati di Aleksander Ceferin ai vertici del calcio europeo.
C’è di più. Proprio la Superlega, come ha scritto il giornalista del New York Times Tariq Panja, avrebbe avuto regolamenti più stringenti da questo punto di vista: «Gli obblighi finanziari previsti dalla Superlega sarebbe stati più rigidi per i club finanziati da fondi sovrani (come il Psg e il City) rispetto a questo sistema blando e mal applicato della Uefa». Questo sarebbe uno dei motivi che ha convinto il Paris a non legarsi alla nuova competizione.
This adds a further bit of context to the Super League story, too. The financial regulations proposed would have been tougher on externally funded/state clubs than what UEFA’s non-applied system. One of the factors behind breakaway (which was still a silly idea in a closed form)
— tariq panja (@tariqpanja) August 10, 2021
Inoltre tutto questo movimento viene facilmente strumentalizzato da chi deve fare politica con il calcio. Javier Tebas, numero uno della Liga spagnola, è stato per anni uno dei più ferventi oppositori dello strapotere economico del Psg. Ma da quando il suo avversario numero uno è diventata la Superlega Nasser Al Khelaifi è diventato improvvisamene più simpatico: in questi giorni invece non è volata nemmeno una parola da Tebas nei confronti del club parigino (e non è un caso che entrambi siano nel comitato esecutivo della Uefa).
Il rapporto privilegiato del Psg – quindi del Qatar – con le istituzioni calcistiche non si esaurisce con la Uefa. Tra poco più di un anno il piccolo Stato del Golfo ospiterà i Mondiali organizzati dalla Fifa.
Sarà una kermesse singolare per molti aspetti, primo fra tutti il fatto che si disputerà in autunno e non in estate.
Lo scorso 23 febbraio il Guardian descriveva un’aria piuttosto tetra qualche che accade dietro le quinte di questi Mondiali: «Da quando il Mondiale del 2022 è stato assegnato al Qatar, sono morti più di 6.500 lavoratori provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka, impiegati nella costruzione di stadi e infrastrutture».
Gli organi di governo del calcio non fermeranno i club più ricchi, non gli impediranno di mettere Messi al fianco di Mbappè e Neymar, non studieranno i bilanci del Manchester City e del Psg cercando irregolarità. Non lo hanno fatto fino ad oggi. Difficile pensare che possano farlo in futuro.