Una persona splendida. Un amico, un collega, un finto-rivale. Alla notizia della morte di Charlie Watts (80 anni) il celebre e storico batterista dei Rolling Stones, anche Ringo Starr, che suonava lo stesso strumento per i Beatles, si è dichiarato spiazzato. «Sapevo che non stava tanto bene, ma è uno shock», ha detto in una intervista al Wall Street Journal.
I due erano amici da decenni. Entrambi erano entrati a far parte delle rispettive band più o meno nello stesso periodo, cioè nell’agosto del 1962 (Starr) e a gennaio 1963 (Watts). Condividevano la gloria di far parte di due gruppi storici e, soprattutto, uno stile minimalista e distaccato. «Ci piaceva scherzare sul fatto che Watts, come batterista, suonava perfino meno di me».
In effetti era una figura eccentrica nel panorama dei rocker. Pacato, tranquillo, riflessivo. Il pesce fuor d’acqua di una band dai toni provocatori, trasgressivi ed espliciti. Ma anche il suo punto di equilibrio, la personalità che amalgamava le genialità eccessive di Mick Jagger e Keith Richards. Dava il ritmo, insomma, sia sul palco che fuori.
Amava il rock, ma più ancora il jazz. Da lì proveniva il suo stile e la sua concezione di musica, lì soprattutto tornava nei periodi di libera uscita dagli Stones. Lo fece insieme a Ian Stewart, tastierista ex degli Stones, con cui aveva messo in piedi un gruppo boogie-woogie e lo ripeté di volta, in volta, con altri esperimenti: il Charlie Watts/Jim Kelner Project, con cui riprendevano, non nello stile ma nello spirito, i maggiori successi del secolo. Aveva una sua orchestra, il “Charlie Watts Tentet”, con cui si esibiva in serate jazz.
«Eravamo usciti molte volte insieme», continua Starr. «A volte veniva a trovarci, se passavano a Los Angeles. O uscivamo a cena con qualcuno dei ragazzi». Ma il suo ricordo più forte di Watts riguarda una di quelle serate jazz al celebre Ronnie’s Scott di Londra.
In quel caso, stava suonando con una band di 25 componenti. «Era lì, con altri due batteristi, ognuno per lato, che suonavano come matti». E invece «Charlie se ne stava seduto in mezzo», come se niente fosse, con il movimento minimo, la postura eretta e il classico aplomb che lo aveva reso famoso (e che, insieme al suo stile nell’abbigliamento, gli aveva portato anche la nomina a “uomo meglio vestito del mondo” da parte del Daily Telegraph nel 2006, titolo confermato anche da Vanity Fair). «Era stupendo». Proprio così.