I corredi funerari sono una straordinaria fonte di informazioni per gli studiosi di bevande alcoliche. Sembra ormai consolidata l’idea che durante le cerimonie di sepoltura, infatti, venissero consumate grandi quantità di qualsivoglia bevanda potesse servire a mitigare il dolore per la perdita del caro – una consuetudine che continua a essere praticata nei Paesi anglosassoni – ma non solo, una parte del banchetto alcolico era anche lasciata nella tomba del defunto per accompagnarlo nella nuova dimensione e dargli una mano ad affrontare questo turbolento passaggio.
L’analisi dei contenitori sepolti sta diventando sempre più importante per ricostruire la storia del millenario rapporto tra l’uomo e l’alcol. L’ultimo ritrovamento è stato annunciato solo un paio di settimane fa: nella località cinese di Quiaotou, nel sudest del Paese, è stata scoperta una tomba risalente a circa 9000 anni fa che custodiva uno scheletro umano e venti vasi in terracotta dipinti in superficie. Questo rinvenimento già di per sé straordinario – si tratterebbe dei vasi decorati più antichi nella storia dell’uomo – è reso ancora più interessante dal fatto che sette di queste otri hanno una forma a pera simile a quella dei vasi Hu tradizionalmente utilizzati per il consumo di alcol e che al loro interno le verifiche di laboratorio hanno evidenziato la presenza di residui di una bevanda simile alla birra prodotta con riso, lacrime di Giobbe (un cereale originario dell’Asia centrale) e un tubero non ben identificato e fermentata con un lievito imparentato con il koji oggi utilizzato per produrre sake e altre bevande orientali.
L’utilizzo del riso e delle lacrime di Giobbe non deve certo stupire: da sempre i birrai di tutto il mondo hanno saputo adattare le proprie ricette a ciò che il territorio metteva loro a disposizione. Il riso è ancora oggi molto utilizzato soprattutto dall’industria birraria, in particolare in Asia, per sostituire una frazione di malto d’orzo. In quanto cereale, infatti, il riso è composto quasi esclusivamente di amidi, catene di molecole di zuccheri, che una volta separati sono il principale nutrimento dei lieviti durante la fermentazione e i responsabili della presenza di alcol e di anidride carbonica nel prodotto finito.
Al di là dell’industria, però, sono diversi anche i birrifici artigianali che hanno scelto di caratterizzare la propria birra con il riso. È il caso di diversi produttori che si trovano tra Vercelli e Novara e che proprio come gli antichi birrai hanno optato per l’impiego del cereale più significativo della loro area. Tra loro c’è il birrificio Croce di Malto, produttore di Trecate (NO) che ha da poco festeggiato i 13 anni di vita. La loro Piedineri è un’imperial stout prodotta con circa il 20% di riso nero e una parte di castagne. L’impiego del riso rende più complessa la lavorazione della birra: gli amidi del riso, infatti, non sono immediatamente disponibili e rendono necessaria una cottura del cereale a una temperatura superiore ai 90 °C che permetta di rompere il chicco, liberare gli amidi e consentire, in una seconda fase, agli enzimi contenuti nel malto d’orzo di separare gli zuccheri e renderli pronti per la fermentazione. La presenza del riso nero oltre a contribuire da un punto di vista aromatico rende la birra estremamente scorrevole, elemento che data l’elevata gradazione alcolica (8,7% vol.) è molto importante.