Porzionalmente correttoChi ha mai mangiato solo tredici patatine?

Fanno male, non sono cibo. Ma evitarle è (quasi) impossibile per (quasi) tutti noi. Sono gli snack, i biscotti, le bevande gasate e tutto ciò che è progettato per farci divertire e appagarci, non per nutrirci

Sapevate a quante patatine corrisponde la porzione consigliata, quella che sui pacchetti alti e stretti è segnalata come “corretta” per evitare che le patatine siano più dannose che buone per il nostro organismo? Tredici.
Ma chi si ferma alla tredicesima? Nessuno, perché le patatine, come gli snack, i biscotti, le bevande gasate e mille altri “non cibi” costruiti per farci divertire e appagarci, per calmarci con la loro croccantezza e per darci una sensazione di conforto al palato, sono pensati e realizzati per volerne ancora, per mangiarne di più, per farci sentire prepotente la loro mancanza.

«Il sistema di approvvigionamento alimentare non esiste per fornire cibo», sostiene sul Telegraph il dottor Chris van Tulleken, presentatore televisivo e ricercatore clinico MRC presso l’University College London Hospital. «È una catena del valore alimentare che esiste per trarre profitto dagli alimenti. La tua salute, oltre a incidere sui profitti, non interessa alle persone che ti forniscono il cibo». È una visione cruda, ma convincente. Più della metà delle nostre calorie proviene da alimenti ultra-elaborati, con formulazioni industriali ed esaltatori di sapidità, coloranti e additivi utilizzati per rendere il prodotto iper-appetibile. Con pochissimi nutrienti, facile da mangiare, questo non-cibo è studiato per non farci fermare: per avere voglia di mangiarne ancora e ancora, alla sola vista del pacchetto.

Ma a che cosa servono gli additivi? Possono far durare più a lungo il cibo, aiutano a prevenire le intossicazioni alimentari, consentono ai prodotti di viaggiare e di essere venduti a lungo e in tutto il mondo, contribuiscono a dare al cibo un aspetto o un sapore più simile a quello che ci aspettiamo.
Il motivo per cui sono nel cibo è perché sono utili al produttore o al venditore: il loro scopo non è nutrire.
Sono per esempio determinanti in alcuni processi produttivi, che non potrebbero avvenire se non in loro presenza.

Perché se cucinando in casa facciamo un chilo di impasto, quando a preparare biscotti è un’azienda i quantitativi sono immensi, e non ci si può permettere di buttare tutto un lotto per un problema tecnico. Gli additivi permettono di prevenire il problema. Come non si può pensare che il sapore non corrisponda all’aspettativa. I margini economici su cui operano le aziende sono davvero bassi: difficile decidere di non usare emulsionanti e regolatori di acidità per aiutare i prodotti a rimanere perfetti.

E se in Italia siamo un po’ più fortunati, il problema sta diventando sempre più grave in Inghilterra, dove gli Ultra Processed Foods (UPF) corrispondono al 60% delle calorie consumate dai bambini. Possiamo metterci al riparo da questa deriva? Come sempre, faticosamente, informandoci e con consapevolezza.
Legalmente, qualsiasi alimento preconfezionato deve avere un’etichetta che elenca i suoi ingredienti in ordine di peso, iniziando dal più grande: se zucchero o sale compaiono nei primi tre, sono presenti probabilmente in quantità troppo elevate. Vale la stessa cosa se abbiamo nella prima parte dell’elenco altri zuccheri aggiunti come succhi di frutta concentrati o sciroppi. Prestiamo attenzione anche a emulsionanti, stabilizzanti, antiossidanti, coloranti e conservanti. Anche gli aromi, naturali e non, possono avere un’incidenza sull’insalubrità dell’alimento sul lungo periodo.
Vi stiamo suggerendo di fermarvi alla quattordicesima patatina? No, non ci riusciamo nemmeno noi. Ma farlo solo occasionalmente, e con consapevolezza, è il primo passo per evitare che la centesima sgranocchiata sia la norma insana.

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