Depressioni di settembreRiparte lo stanco circo mediatico-politico, ma per fortuna gli adulti ne stanno alla larga

Non è qualunquismo osservare che il ripiegamento autoreferenziale dei partiti in cerca d’autore, pur non essendo un fenomeno nuovo, sia parecchio peggiorato

Priscilla Du Preez/Unsplash

La scena politica è sempre più deprimente. Basta guardare questi primi giorni della ripresa di settembre: tutto si svolge secondo un copione prevedibile, con una compagnia di giro fossilizzata nel replicare ogni giorno ruoli e battute, Giorgia Meloni imbronciata, Salvini minaccioso, Letta preoccupato, Conte che sbaglia tutto, Renzi baldanzoso e via tutte le altre comparse che vediamo ogni sera per dieci secondi al telegiornale, i dem rassicuranti, i grillini banali, i Fratelli esagitati. Fa eccezione il capo del governo, uno che parla solo quando deve parlare, non twitta, non va nei talk, “si limita” a fare le cose e che quando si esprime tutti lo capiscono.

Invece ogni tanto il capo leghista fa scoppiare qualche polemica (le famose “polemiche inutili”, Nanni Moretti, “Aprile”), poi torna sempre indietro come un discolo punito, e Letta è lì che drammatizza per dare un po’ di colore al suo Pd altrimenti palliduccio, e poi ci sono i parlamentari 5 stelle che divagano come certo caratteristi nelle commedie degli anni Trenta, in testa hanno un solo chiodo fisso: come arrivare a fine legislatura. Tutti i politici dicono una cosa solo per vedere l’effetto che farà l’indomani su giornali che oramai non legge nessuno se non gli addetti ai lavori mentre la gente comune è alle prese con un rientro non facile ancora dominato dalle incertezze – il green pass, la terza dose, le scuole, lo smart working, il futuro del proprio posto di lavoro, il figlio disoccupato – e a tavola di politica chi parla più, e per dire che cosa, poi.

Non è qualunquismo osservare che il ripiegamento autoreferenziale dei partiti pur non essendo un fenomeno nuovo sia parecchio peggiorato. Tutto è finalizzato al miglior posizionamento, sempre con un occhio alle “votazioni”, come dicono le persone semplici, cioè alle elezioni che ormai sono un incubo, ogni anni ce n’è una, ma un Paese che non riesce ad allineare politiche, regionali, comunali nello stesso giorno è un Paese di matti, così adesso ci saranno le amministrative in molte città importanti e tante persone si candidano, o aiutano chi si candida, i partiti fanno l’unica cosa che ormai sanno fare, i comitati elettorali. Almeno è così per il Pd e la Lega, gli ultimi due partiti abbastanza presenti sul mitico territorio.

Sì, tutto è prevedibile, una noia mortale per chi scrive e per chi legge gli articoli politici. Ogni cosa è illuminata ma dalla retorica del nemico da battere, un tempo si cercavano accordi ora sembrano contenti quando c’è casino. E tutto è uguale nel regno della continuità, ovvero in televisione, dove i palinsesti non cambiano mai, tantomeno la filosofia dei tg (ma in Rai Carlo Fuortes intende muoversi o no?), al massimo c’è qualche conduttore/conduttrice nuovo/a ma più o meno è sempre la stessa zuppa/zuffa tra ospiti invecchiati. Vedremo anche quest’anno (certo, si può anche non vederli) i soliti Floris-Berlinguer-Gruber-Del Debbio in un eterno ritorno del sempreguale, che in Baudelaire almeno era l’illusione del nuovo, qui invece è proprio ripetizione all’infinito, «sembra tutto visto tutto già fatto/ Tutto quell’avvenire già avvenuto/ Scritto, corretto e interpretato/ Da altri meglio che da te», cantava Fossati.

Addirittura ci pare che Floris teorizzi la ripetizione come mezzo della fidelizzazione del suo pubblico, ed ecco dunque ogni martedì sera la bonomìa velenosa di Bersani, l’eloquio eversivo di Travaglio, la tranquilla consapevolezza di Ilaria Capua, la comparsata asettica di Di Maio, col corredo dei consueti giornalisti: il riflessivo, il battagliero, la raffinata… Tutto come prima, peggio di prima, al contrario della commedia di Pirandello, a causa di un vistoso deficit di raffinatezza intellettuale (vale per politici quanto per i giornalisti), con la sensazione, ripiegato il giornale o spenta la tv o il tablet, che non si sia fatto nemmeno oggi un passo avanti. 

In Transatlantico ormai non ci sa va più, anche tecnicamente, perché è off limits per i cronisti essendo un “pezzo” dell’aula in ossequio al distanziamento. Nel cortile d’onore, le solite chiacchiere, i soliti lamenti di cronisti in cerca del pezzo da scrivere. Questo inverno il cortile d’onore della Camera diventerà una specie di set cinematografico quando si allestiranno i box delle tv per il grande spettacolo del Quirinale, momento d’oro per Enrico Mentana e suoi giornalisti, e vai con maratone all’inseguimento dell’ultimo spiffero su notizie vere o false, tanto è uguale, almeno lì per lì, tutto quanto fa spettacolo, mezzo punto di share in più vuol dire contratti pubblicitari oltre che solleticamento dell’ego.

In questa città fantasma cui è ridotta la politica ogni barlume di novità è come la scoperta di una vena d’oro: ma è rarissima. anzi, forse non esiste nemmeno, pare che tutti gli attori della commedia siano d’accordo perché tutto resti com’è pur nel mediatico turbinìo di notizie che non lo sono, parafrasando Luca Sofri, nel nanismo di personaggi in cerca di una qualche forma, fosse anche la più scalcinata, di gloria. Sono impressioni di settembre a cospetto di una politica imballata nei suoi stessi trucchi come un clown che non sappia togliersi il naso rosso dal viso, o meglio depressioni di settembre nello svolgimento di un racconto della politica sempre meno eccitante, sempre più evanescente.

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