Avevamo bisogno di Carlo Cracco per riscoprire la grande vocazione gastronomica della autentica provincia italiana. “Dinner Club” è vivace, divertente, di intrattenimento. È, allo stesso tempo, didattico, intelligente, istruttivo. Ma, soprattutto, è efficace e utile per viaggiare con la mente e con il gusto ed è forse il primo programma gastronomico contemporaneo ad aver ripreso con lo stesso garbo, la stessa intelligenza e la stessa pungente ironia il primo programma televisivo sulla cucina e il viaggio prodotto dalla Rai nel 1957.
E quando, nella prima puntata, è comparsa la salama da sugo, abbiamo avuto un’illuminazione.
«Viaggiare è conoscere luoghi, genti e paesi. […] E qual è il modo più semplice e più elementare di viaggiare? Mangiare e praticare la cucina di un Paese dove si viaggia. Nella cucina c’è tutto, la natura del luogo, il clima, quindi l’agricoltura, la pastorizia, la caccia, la pesca. E nel modo di cucinare c’è la storia, la civiltà di un popolo. L’uomo come ha avuto la prima idea di viaggiare? Ma l’ha avuta molto probabilmente mentre lui stava fermo e guardava qualcosa che si muoveva, che viaggiava, che andava, per esempio le nuvole del cielo, gli uccelli che migrano, un fiume che scorreva».
Queste parole sono di Mario Soldati, il primo divulgatore enogastronomico italiano che, a partire dal 3 dicembre 1957, ha costruito la narrativa culinaria di viaggio italiana con il suo “Viaggio nelle valli del Po”: se possiamo usare una brutta parola, ha creato lo storytelling sul cibo da scoprire viaggiando. Nel suo documentario raccontato dà vita a un modo controcorrente di divulgare le tradizioni delle cucine regionali, dando lustro a cotechini e Parmigiano Reggiano, a riso e pesci di fiume, e rivelando alla nazione quanto questo angolo italiano avesse da dare dal punto di vista paesaggistico e culinario.
La cucina e il territorio, negli anni successivi, non sono più andati molto d’accordo, e tutte le trasmissioni venute dopo sono state spesso puro intrattenimento e zero racconto, tanta costruzione autoriale e pochissima spontaneità di personaggi imbrigliati in un ruolo-caricatura che non era loro.
“Dinner Club” vuole rappresentare la svolta, e per svoltare inizia proprio dal fiume a raccontare l’Italia contemporanea, quasi come un fil rouge da riprendere, quasi come se quello che è successo nel frattempo fosse stato un incidente di percorso e servisse il coraggio di guardare indietro per riportarci a un oggi in cui al centro della narrazione ritornasse la cucina autentica, le storie delle tradizioni e delle famiglie, di chi alleva ostriche sul Po, riscopre il quinto quarto in Puglia o mantiene la perfetta ricetta per cannoli da sballo in Sicilia. Finalmente gli chef che Cracco va a trovare con i suoi compagni di avventura cucinano, spiegano, dialogano, e sembrano persone straordinariamente normali, che fanno un lavoro che amano e che vogliono condividere con noi.
Finalmente Cracco è se stesso: ironico e sornione, sorridente e malinconico, professionale e divertente. Spontaneo. Finalmente la cucina italiana in tv ha un senso: il dado (da brodo) è tratto.