Il valore della coopetitionCosa possono imparare le imprese italiane dai trionfi degli Azzurri

La nazionale di calcio e la staffetta dell’atletica hanno dovuto competere con i campioni di altri paesi, trovando la forza di fare davvero quadrato, di compensare i reciproci punti deboli e di esaltare i rispettivi punti di forza, ovvero quello che dovrebbero fare le aziende del nostro paese

LaPresse

Dieci anni fa, nel novembre 2011, The Wall Street Journal pubblicava una mappa di quella che sarebbe stata l’Europa nel 2021. Il giornale inglese definiva Italia, Spagna e Grecia, in modo più o meno ironico vacation lands: terre dedicate al mero divertimento altrui, nelle quali gli abitanti dell’Europa Centrale avrebbero acquistato una seconda casa per le vacanze, serviti e allietati dalle popolazioni locali. Dieci anni dopo, l’Italia è invece un paese forte, saldamente ancorato in Europa, con un sistema produttivo dinamico e competitivo, pronto ad affrontare le sfide del futuro. L’estate del 2021 sarà certamente da tutti ricordata per le grandi imprese sportive dei nostri atleti. E in Inghilterra ne sanno qualcosa…

Gli Azzurri hanno conseguito successi davvero straordinari in tante discipline diverse. E ci hanno riempito di orgoglio, gioia e speranza. Vediamo quali insegnamenti possiamo trarre dai trionfi di questa estate, trasponendo i ragionamenti dal campo sportivo a quello delle economico: dalle imprese nello sport, insomma, alle imprese del paese.

Prendiamo ad esempio due affermazioni particolarmente belle ed emblematiche: la vittoria della Nazionale ai campionati europei di calcio e quella della staffetta 4 per 100 metri alle Olimpiadi. Si può serenamente affermare che tra gli Azzurri del calcio e quelli dell’atletica non avevamo in formazione assoluti fuoriclasse, malgrado il meraviglioso e inaspettato exploit di Marcell Jacobs: i nostri campioni erano certo degli ottimi atleti, ma – presi individualmente – non superiori ai loro avversari.

La nazionale di calcio e la staffetta dell’atletica hanno compiuto le loro strepitose gesta facendo in modo eccezionale squadra, agendo come un gruppo coeso e compatto, credendo fino in fondo nella qualità del proprio gioco, affrontando uniti anche la lotteria dei calci di rigore, facendo i cambi di testimone in modo affiatato e utilizzando fino all’ultimo metro utile.

Lo sport ci ha così fornito plastiche immagini di vera coopetition: sia i nostri calciatori sia i nostri velocisti appartengono a club diversi, sono nel quotidiano ben concentrati sulle varie prestazioni individuali, risultano divisi al proprio interno da rivalità e antagonismi. Ma, dovendo competere con i campioni di altri paesi, hanno trovato la forza di fare davvero quadrato, di compensare i reciproci punti deboli e di esaltare i rispettivi punti di forza, tirando in modo forte e convinto nella stessa direzione. Dove non soccorrevano la forza e il talento degli individui sono arrivati l’impegno, la passione, la convinzione e la collaborazione del team. Anche le nostre aziende, come gli Azzurri, sono oggi chiamate a fare squadra, a collaborare in modo efficace, a dare vita ad innovative forme di coopetition. Le sfide che attendono le imprese italiane sono, se possibile, ancora più difficili di quelle che hanno dovuto affrontare i nostri atleti.

Nello sport, infatti, quanto meno si gareggia a parità di condizioni: in atletica, tutti i concorrenti percorrono le stesse distanze; nella boxe, i pugili combattono con avversari di pari peso; nel calcio, le squadre sono tutte composte da undici giocatori; in Formula Uno, le vetture hanno motori della medesima cilindrata. Sul terreno di gioco delle imprese, invece, la situazione è molto diversa ed i concorrenti in campo competono spesso in situazioni profondamente impari.

La nostra squadra, in campo economico, presenta peculiarità molto specifiche: abbiamo un numero molto esiguo di campioni di peso (vale a dire gruppi di grandi dimensioni), però possiamo contare su una vasta compagine di player piuttosto piccoli e ricchi di talento (vale a dire competitive e innovative medie aziende). I competitor delle imprese tricolori, di solito, sono gruppi considerevolmente più grandi, che in quanto tali possono mettere in campo forze maggiori, almeno dal punto di vista della ricerca, della finanza e delle economie di scala.

Le aziende italiane, dunque, gareggiano sovente in condizioni di svantaggio, un po’ come se nella boxe un peso welter dovesse affrontare un peso massimo, oppure se in Formula Uno la nostra scuderia dovesse correre con un motore di cilindrata inferiore. Questa snellezza strutturale – sia detto per inciso – non comporta soltanto penalizzazioni, ma talvolta si rivela un elemento di competitività, in termini ad esempio di velocità di reazione alle esigenze dei clienti, oppure di capacità di customizzazione rispetto alle richieste dei mercati.

Il punto che qui si vuole enfatizzare è l’asimmetria tra le condizioni di gara delle nostre aziende e quelle dei loro competitor, un aspetto che nello sport non esiste e che deve essere oggetto della massima attenzione, per evitare che le imprese italiane si trovino in difficoltà e con esse l’intero sistema paese. Le aziende tricolori hanno imparato a fare squadra e vanno sviluppando forme molto interessanti di coopetition. Anche in questo caso, prediamo in considerazione due diversi casi, in ambiti imprenditoriali sensibilmente distanti.

L’AgriFood, come noto, rappresenta un campo nel quale l’Italia svolge un ruolo di primaria importanza, con una leadership riconosciuta a livello planetario. Il panorama imprenditoriale, nel settore, si presenta estremamente frastagliato, con aziende molto differenti per tipologia, dimensioni, caratteristiche e attività. In questo contesto, esistono due mondi che hanno iniziato a confrontarsi ed hanno avviato delle intelligenti pratiche di collaborazione, alle quali la Fondazione Qualivita ha di recente dedicato una brillante ricerca: l’universo dei consorzi di tutela dei prodotti DOP/IGP e quello delle industrie alimentari dei prodotti trasformati.

I casi di felice contaminazione tra industria alimentare e prodotto DOP/IGP cominciano ad essere numerosi: il gelato Sammontana e il Cioccolato di Modica IGP, la pasta Rana e il formaggio gorgonzola DOP, il minestrone Findus e la cipolla rossa di Tropea Calabria IGP, il basilico genovese DOP e la patata del fucino IGP, i panini di McDonalds e il pecorino toscano DOP, l’Asiago DOP, l’aceto balsamico di Modena IGP e altri, l’aranciata Fanta di Coca Cola e l’arancia rossa di Sicilia IGP e il limone di Sicilia IGP, etc. etc.

Si tratta di un fenomeno di straordinario interesse, in grado di esaltare tanto la nostra irripetibile rete di eccellenze tradizionali, quanto l’innovatività e il dinamismo dell’apparato imprenditoriale italiano. Queste forme di coopetition sono suscettibili di enormi sviluppi, con tangibili benefici per l’intera economia nazionale, ma l’interazione tra Consorzi DOP/IGP e industrie alimentari passa ancora per meccanismi complessi, farraginosi e lacunosi, che richiederebbero da parte delle autorità competenti tempestivi interventi normativi e regolamentari.

Si legge, tra l’altro, nella citata ricerca di fondazione Qualivita: “il quadro giuridico che emerge dalla disamina della disciplina europea e nazionale sull’argomento risulta carente e frammentato”. Ed è evidente che un adeguato sistema normativo rappresenta un presupposto necessario, perché si possano davvero esprimere tutte le potenzialità insite nel paradigma industriale del quale stiamo parlando.

L’aerospazio rappresenta un altro settore emblematico, caratterizzato da un made in Italy molto avanzato e poco conosciuto. Il nostro paese nel comparto non vanta delle vere realtà multinazionali, fatta forse eccezione per il gruppo Leonardo, ma annovera una vasta platea di PMI che nei rispettivi ambiti di attività rappresentano delle autentiche eccellenze. Esistono lungo lo stivale più progetti di coopetition tra player del settore, nel tentativo di fare sempre più sistema e consentire alle nostre aziende di aumentare il proprio peso specifico a livello internazionale.

In Piemonte, ad esempio, il distretto aerospaziale ha promosso una intelligente convenzione tra cinque importanti player (Leonardo, Thales Alenia Space, Collins Aerospace, Avio Aero e Mecaer Aviation Group) ed i principali tre incubatori universitari regionali (2i3T dell’Università di Torino, I3P del Politecnico di Torino e Enne3 dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale), per rafforzare la cooperazione tra le aziende di maggiori dimensioni e la rete delle PMI sul territorio.

In Emilia Romagna, la regione sta promuovendo l’ampliamento ed il rafforzamento del distretto aerospaziale, puntando sulle competenze delle aziende di punta dell’area (Beamit, Davi-Promau, Poggipolini, Reglass, etc.) e sulle potenzialità derivanti dalla contaminazione con l’universo motoristico della Motor Valley. Iniziative analoghe sono in atto, ad uno stadio più o meno avanzato, nei distretti aerospaziali della Lombardia, del Lazio, della Campania e della Puglia. Nell’ambito di questi sistemi di coopetition, i risultati delle varie collaborazioni usualmente si traducono in termini di know-how.

Orbene, il know-how da un lato costituisce il bene intangibile aziendale più diffuso e maggiormente decisivo per la competitività delle imprese, dall’altro rappresenta il cespite dell’impresa per il quale la normativa risulta più vaga e imprecisa. Una compiuta e organica disciplina del know-how, con una chiara regolazione del suo riconoscimento e del suo utilizzo, anche in termini di accesso al credito e alle misure agevolative e incentivanti l’innovazione, sarebbe di centrale importanza per il successo delle nostre aziende. Torniamo, in conclusione, al parallelo con il mondo dello sport.

I grandi successi di questa estate non sono il frutto soltanto del talento e dell’impegno dei nostri atleti, ma anche il risultato delle felici politiche messe in atto dalle autorità competenti. La nazionale di calcio è giunta al traguardo degli europei dopo un percorso di diversi anni, con la FIGC presieduta da Gabriele Gravina che nel 2018 ha affidato la guida della nostra rappresentativa al CT Roberto Mancini, il cui contratto è stato rinnovato nel maggio scorso, giusto alla vigilia del campionato continentale, contribuendo così a creare il clima di solidità e di fiducia che è stato forse la nostra arma decisiva nella competizione.

Le vittorie dell’atletica leggera azzurra alle Olimpiadi nascono dalle scelte non banali che la FIDAL, grazie anche alla lungimiranza di Alfio Giomi e Fabio Pagliara, ha effettuato quattro anni addietro, dopo i risultati non esaltanti dei giochi di Rio, ribaltando vecchi schemi e puntando sul binomio tecnico-atleta, con una inedita attenzione ai territori. Le nostre aziende, a loro volta, hanno tutte le carte in regola per vincere le sfide che si trovano dinanzi, facendo leva sui propri punti di forza, che si coniugano alla perfezione con i paradigmi dell’economia contemporanea: una forte vocazione all’Innovazione, una naturale attitudine alla sostenibilità, una storica predisposizione alla responsabilità sociale dell’impresa. E, quasi inaspettatamente, le imprese italiane stanno imparando sempre di più anche a giocare di squadra, a fare sistema, a operare secondo meccanismi di coopetition.

Consideriamo, per restare nella metafora di partenza, il nostro sistema politico e istituzionale come una grande federazione sportiva, con il compito di mettere i nostri atleti (le aziende italiane) in grado di gareggiare con successo nel campionato che le attende (la competizione sui mercati internazionali). È essenziale, per riuscire in questo intento, che si conoscano con precisione i punti di forza e quelli deboli dei nostri campioni, ponendo in essere le decisioni più appropriate per valorizzare i primi e compensare i secondi.

Possiamo stupire il mondo anche con le nostre imprese: abbiamo in pista campioni di valore, si va creando il giusto spirito di gruppo e il campo da gioco si presta in modo particolare alle nostre caratteristiche. Ma questa squadra, per esprimersi al meglio, ha bisogno di supporto in termini di pianificazione operativa e interventi normativi mirati, di una guida consapevole, competente e determinata. Ha detto John Fitzgerald Kennedy, in un altro frangente di grande cambiamento: «È il momento di una nuova generazione di leader, per affrontare nuovi problemi e cogliere nuove opportunità. Perché là fuori c’è un nuovo mondo da conquistare».

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