Ma c’è anche un altro collo di bottiglia, che sta ostacolando la diffusione dei veicoli elettrici. Si tratta della scarsa diffusione di un’infrastruttura di ricarica capillare ed efficiente. Dalla sua attuale carenza deriva l’effetto di una sindrome antielettrica, nota come range anxiety, ansia da autonomia.
Insieme al maggior prezzo, essa costituisce il maggior deterrente all’acquisto di veicoli elettrici e alla loro diffusione di massa. Uno studio di Transport & Environment stima, per esempio, che nel 2030 l’Italia per alimentare il traffico veicolare del futuro necessiterà di circa trecentomila punti di ricarica elettrica: dato che nel 2020 ne contavamo su tutto il territorio nazionale meno di ventimila (ovvero il 6,66 per cento del futuro fabbisogno), è evidente che per raggiungere quel target dovremmo accelerare il nostro ritmo di installazione di circa sei volte.
Non a caso una parte delle risorse del Recovery Fund verranno destinate all’incentivazione della posa di colonnine di ricarica. Dato che la quantità necessaria di queste colonnine è inversamente proporzionale all’incremento della performance delle batterie, assai opportunamente le case automobilistiche si stanno impegnando ad aumentarne la capacità: la Renault Zoe, per esempio, uscita nel 2012 con un’autonomia dichiarata di 150 km, cresciuta a 300 km nel 2016 con la seconda serie, può raggiungere nell’ultima serie quasi 400 km: in meno di dieci anni l’autonomia di questa vettura è stata dunque quasi triplicata. Il 22 settembre 2020, nell’ultimo battery day di Tesla Motors, Elon Musk ha dichiarato che riuscirà ad aumentare del 54 per cento il range dei suoi veicoli proprio grazie a innovazioni sulla batteria.
A questo proposito, è interessante, per inciso, comparare la curva delle vendite della Model T di Henry Ford all’inizio del secolo scorso con quella odierna delle vendite della Tesla: vi si ritrova una forte somiglianza nel profilo dell’incremento esponenziale .
Politiche industriali e indirizzi normativi per una domanda in crescita
Comunque, nonostante ogni qualsiasi sindrome, l’innovazione affascina: nel 2013 i veicoli elettrici circolanti nel mondo erano meno di mezzo milione. Quasi due terzi di questi erano auto completamente elettriche (battery electric vehicle, BEV), mentre la restante parte comprendeva le prime ibride plug-in (plug-in hybrid electric vehicle, PHEV). Nel 2019 abbiamo raggiunto oltre i sette milioni di veicoli, con un tasso di crescita annuo del 73 per cento.
Se colleghiamo il dato di queste vendite con le riflessioni che precedono, relative a prezzi e infrastrutture di ricarica, si comprende quanto forte sia, già oggi, la domanda di veicoli elettrici da parte dei consumatori. Nel solo 2020 sulle strade dell’Europa il loro numero rispetto all’anno precedente è raddoppiato.
Alcuni Paesi, come la Norvegia, l’Olanda, la Danimarca e altri ancora, si sono schierati in prima linea nella transizione sostenibile della mobilità, annunciando apertamente all’interno dei loro piani nazionali la volontà di eliminare gradualmente le vendite dei veicoli a combustione interna. La Norvegia, per esempio, si è proposta, per questo risultato, l’obiettivo del 2025, l’Olanda e la Danimarca quello del 2030.
Anche in Italia, pur partita più a rilento, il 2020 è stato un anno eccezionale per le BEV e PHEV. Merita rilevare che nel nostro Paese non soltanto c’è stata una vera impennata delle vendite di auto elettriche rispetto all’anno precedente, ma anche che questo incremento è avvenuto dentro uno scenario che ha visto il crollo degli acquisti dei veicoli tradizionali: a fine anno, mentre le vendite di macchine elettriche erano più che raddoppiate rispetto al 2019, le vendite delle altre vetture avevano subito un calo del 25 per cento.
Alla fine, tutte le grandi case automobilistiche americane ed europee hanno rivoluzionato i rispettivi listini, inserendo a catalogo diversi modelli elettrici, come disponibili già dal 2020-2021, e prevedendone l’aumento per gli anni successivi.
Resta interessante capire come si risolverà il conflitto tra l’esigenza dei produttori di spostarsi sull’elettrico, acutizzata com’è dal calo delle vendite dei veicoli tradizionali, e la questione, tuttora irrisolta, della produzione delle batterie. In mancanza di investimenti significativi destinati dalle case automobilistiche a risolvere quest’ultimo problema, sembra che esse restino in attesa che a prendere l’iniziativa siano altri soggetti, loro fornitori. A tutt’oggi non è ancora chiaro se vincerà il modello della produzione in proprio, adottato da Tesla, o quello dell’intervento sul mercato di fornitori terzi, specializzati.
I detrattori dell’auto elettrica, di cui abbiamo parlato all’inizio del secondo capitolo, sostengono – a ragione – che per misurare la reale sostenibilità di un’auto elettrica bisogna valutare non soltanto le emissioni legate ai chilometri percorsi durante la vita del veicolo, ma anche quelle generate per produrlo, con particolare attenzione proprio alla sua batteria. Ma già oggi un’auto elettrica durante il suo intero ciclo operativo produce anidride carbonica in percentuali contenute tra il 20 e il 30 per cento di quelle prodotte da un veicolo a combustione. Inoltre è prevista a breve la seria diffusione di una filiera per il riciclo delle batterie, mirata proprio al recupero dei preziosi minerali in esse contenuti e che già nel 2030 dovrebbe portare i veicoli elettrici ad avere un impatto emissivo minore dell’80 per cento rispetto ai mezzi tradizionali.
In tale direzione spingono anche tutte le normative. Un buon esempio è offerto dalla nuova proposta della Commissione europea, che pone tra i propri obiettivi, per l’anno 2030, il recupero del 70 per cento del litio e del 95 per cento delle altre materie prime. Per avere un’idea della sensazionale trasformazione a cui la produzione di batterie andrà incontro, si consideri che, a fronte dell’odierno mancato recupero di circa 43 kg di metalli preziosi per ogni auto elettrica da rottamare, fra dieci anni questa dispersione non supererà i 2 Kg.
Spicca il caso della Germania e della Volkswagen. La casa automobilistica tedesca fra il 2020 e il 2021 ha aperto a Salzgitter il suo primo impianto per il riciclo delle batterie, con un progetto pilota con cui ha intenzione di arrivare a recuperare 3600 sistemi di batterie all’anno.
Ma, quanto al risparmio di CO2, non va trascurata l’efficienza del motore elettrico, pari a circa l’80 per cento dell’energia impiegata, contro quella dei veicoli a combustione, pari a circa il 25 per cento. La scarsa efficienza del motore a combustione dipende prevalentemente dall’enorme quantità di calore che viene sprigionata durante l’utilizzo e che, come noto, richiede un complesso sistema di raffreddamento.
Per meglio valutare la differente efficienza tra i due tipi di motori, si consideri che un litro di benzina fornisce energia equivalente di 10 kWh elettrici. Pertanto la batteria della mia Renault Zoe, della potenza di 40 kWh, contiene l’energia equivalente ad appena 4 litri di carburante. Ricordo ancora la sorpresa degli amici che, partendo da Brescia, avevo raggiunto in montagna in quel di Carezza, quando raccontai loro che, per percorrere 220 km, avevo utilizzato un’energia pari a quella di 4 litri di carburante, contro i 15 mediamente utilizzati da tutti gli altri! Ovviamente la differenza stava nei diversi motori delle nostre macchine.
Un altro vantaggio del motore elettrico è dato dal fatto che la sua meccanica è decisamente più semplice rispetto a quella dei veicoli tradizionali e che questa semplicità riduce drasticamente tutti i costi di manutenzione. L’escursione di giri di un motore elettrico e la sua curva di coppia non richiedono l’uso del cambio di marcia e le parti in movimento non sono più di venti, contro le quasi duecento di un motore a combustione interna.
Per capire di quanto si riduce la manutenzione, posso testimoniare di aver investito nella manutenzione meccanica della mia Renault Zoe meno di mille euro in otto anni. In Tesla, la scorsa estate, prima di partire per le ferie, chiesi un tagliando: il contachilometri segnava 120.000 km e in officina, guardandomi perplessi, mi chiesero: «Quali problemi ha l’auto? Perché di solito tagliandi non ne facciamo…».
In effetti pochi sanno che un motore elettrico moderno, senza spazzole, è in grado di percorrere due milioni di chilometri senza ricevere manutenzione. Gli impatti che ne conseguono in termini di filiera post vendita e relativa occupazione richiedono qualche riflessione in più, su cui torneremo nell’ultimo capitolo.
da “Inversione a E. Comportamenti individuali e sviluppo tecnologico per la mobilità sostenibile”, di Renato Mazzoncini, Egea, 2021, pagine 160, euro 21