Storie di uomini e saporiA Milano il Laboratorio di Antropologia del Cibo apre una finestra (dalla cucina) sul mondo

Il progetto di Giulia Ubaldi fa salire in cattedra cuochi dalle provenienze e dalle qualifiche più disparate: migranti di prima, seconda e terza generazione, rifugiati e richiedenti asilo musicisti, artisti, badanti, ristoratori e cuochi professionisti. Ciascuno racconta le proprie origini attraverso la cucina di casa sua

Foto di Stefano Triulzi

«Pochi giorni fa ci siamo finalmente trovati tutti insieme intorno a un tavolo. Quaranta persone, provenienti da ogni angolo della terra, a guardarsi negli occhi per la prima volta, dopo mesi e mesi di lavoro a distanza. Un momento incredibile, emozionante, ancora più simbolico perché realizzato dopo il distanziamento forzato della pandemia. Ed è durante la pandemia che questo progetto è nato». Giulia Ubaldi, giovanissima antropologa, ha portato il mondo a Milano, anzi, al Giambellino. Infatti, profumi, i sapori, le culture di paesi lontani e vicini sono l’anima del LAC, Laboratorio di Antropologia del Cibo, un progetto unico appena diventato realtà. «Ricordo i primi incontri con gli chef, sulle panchine, perché eravamo in pieno lockdown – racconta Giulia – e poi nelle loro case. Perché il tema del progetto è la cucina di casa, è quella che anima il laboratorio». E perché si tratta di un vero e proprio laboratorio, non di una scuola di cucina, con docenti che non sempre lo sono di professione: 38 in tutto, tutti presenti intorno a quel tavolo, a raccontare le loro cucine e le loro vite.

Foto di Stefano Triulzi

«Sono persone che ho incontrato durante i miei viaggi, che magari ho spesso occasione di intervistare. A un certo punto mi sono chiesta: «perché non rendere fruibili tutte queste mie esperienze?”. Ricordo con esattezza il giorno, era il mio compleanno: poco dopo Natale, avevo scritto un articolo su una scuola di Londra dove i migranti venivano accolti, dove potevano imparare la lingua inglese e insegnare la loro cucina. Un progetto fortemente sociale, in larga misura diverso dal mio: noi non portiamo avanti un percorso di integrazione, molti dei nostri docenti sono immigrati di seconda o terza generazione. Ma è stato in quell’occasione che molti amici e conoscenti hanno iniziato a chiedermi se non ci fosse niente di simile in Italia. Dal concepire l’idea all’iniziare ad attuarla è passata una settimana». Un’idea davvero coinvolgente: i docenti mettono in comune la loro conoscenza gastronomica e la loro esperienza personale. I corsi avranno inizio dal 20 settembre: cucina autentica di casa Thailandia, i piatti nazionali del Senegal, Rito del supra e vini d’anfora della Georgia, la cucina che porta fortuna dello Sri Lanka, e ancora molti altri.

Foto di Stefano Triulzi

Tutte lezioni singole, al costo di 45 euro ciascuna, proposte in diverse fasce orarie. Tutte diverse e tutte accomunate da alcuni particolari: «la qualità in primo luogo – precisa Giulia – e poi la voglia di creare condivisione, di fare gruppo. E ovviamente di raccontare le storie che ci sono dietro al cibo: qui abbiamo casalinghe, badanti, artisti, musicisti, lavoratori impiegati in ristoranti nei paesi di origine, una giapponese figlia di una signora che in patria gestiva una scuola di cucina, dei rifugiati venezuelani vegani. Non si tratta solo di imparare tecniche e modi di approcciare le ricette, ma di conoscere storie e culture. Da noi chi vuole può cucinare, abbiamo gli spazi per affiancare il docente, chi preferisce può semplicemente guardare, tutti possono degustare i piatti illustrati, e tutti possono chiacchierare e fare domande». Un ambiente conviviale, dunque, una formula radicalmente diversa da quella di un corso di cucina lontana: «fondamentale per noi è non dare etichette. Per questo ho scelto di non limitarmi a corsi di cucina cinese o thailandese o messicana.
Le lezioni sono specifiche, affrontano un taglio e un tema particolare. Un esempio? Tacos Italo messicani e mezcal: un titolo forse meno accattivante di un semplice “cucina mex”, ma che rende giustizia alla storia di un docente italo messicano che prepara deliziosi tacos utilizzando la cottura lunga delle carni tipica della tradizione lombarda. La qualità in questo modo è eccezionale, e il racconto che il cuoco fa di sé è uno spaccato della sua vita, e della vita di questa Milano.
Non basta il nome di un paese a definire le nostre lezioni, o a raccontare la storia di una ex modella cinese che si è specializzata nel preparare ravioli deliziosi perché leggerissimi, o di una coppia formata da un Argentino e una Milanese che hanno trovato il loro punto di incontro in cucina».

Foto di Stefano Triulzi

Storie che parlano di integrazione, che raccontano vite, e in cui si inserisce il punto di vista dell’antropologa: la Ubaldi spiega, inquadra, fotografa la storia e la natura di ogni territorio, sorta di voce fuori campo oltre che padrona di casa. Ma non basta, perché l’antropologia non è solo lo sguardo verso l’esterno, ma anche verso i nostri territori: «non poteva mancare un corso tutto meneghino, con i Piatti della tradizione di Milano, tenuto da una signora che fa il miglior risotto con l’ossobuco mai assaggiato; e poi un corso dedicato alla mia patria d’elezione, il Cilento, dove ho fatto ricerca per la mia tesi e dove ho vissuto per 4 anni dopo la laurea in Antropologia Culturale e Visiva a Siena; e ancora uno sguardo sui sapori della Liguria, incastonati tra terra e mare». L’elenco, inutile dirlo, è destinato ad allungarsi, mentre il LAC è destinato a trasformarsi in una vera e propria casa dove si svolgeranno eventi e presentazioni, punto d’incontro per il quartiere e per la città, in cui Milano può entrare in contatto con tutto il mondo attraverso i sapori.

Foto di Stefano Triulzi

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