L’appoggio inaspettatoTutte le volte che Angela Merkel è intervenuta per salvare l’Italia

Nonostante l’iniziale diffidenza tra i due Paesi, la Cancelliera ha più volte assecondato a livello europeo le richieste dei nostri governi (con Monti, con Renzi e anche con Conte) nel tentativo di bilanciarne l’instabilità politica. Un estratto dal libro di Sergio e Beda Romano, alla vigilia delle elezioni in Germania

AP Photo/Markus Schreiber, Pool

Quando Angela Merkel giunse al potere, in Italia il presidente del Consiglio era […] Silvio Berlusconi, alla guida di un governo di centrodestra nel quale ministro degli Esteri era Gianfranco Fini e ministro delle Finanze Giulio Tremonti.

Sappiamo che la Cancelliera non aveva nei confronti della cultura italiana e latina gli stessi sentimenti che avevano i suoi predecessori. Era cresciuta in un Paese comunista, che guardava a Est piuttosto che a Sud e che oltretutto si riteneva un Opfer des Faschismus, una vittima del fascismo.

C’è di più. Si ricordava che negli anni Ottanta una fetta dell’establishment italiano, guidata da Giulio Andreotti, aveva storto le labbra dinanzi all’ipotesi di una riunificazione tra le due Germanie. Ciò detto, sapeva che l’Italia era un importante Paese dell’unione monetaria, e non era insensibile alla sua storia e alle sue città d’arte. Con il tempo, e l’aiuto di alcuni consiglieri, Angela Merkel ne capì anche la rilevanza da un punto di vista economico per l’industria tedesca.

Ebbero un ruolo discreto ma influente due rappresentanti dell’economia: Markus Kerber, direttore generale dell’associazione industriale tedesca BDI (Bundesverband der Deutschen Industrie) tra il 2011 e il 2017, e Anton Börner, presidente dell’associazione degli esportatori tedeschi BGA (Bundesverband Großhandel, Außenhandel, Dienstleistungen e.V.) tra il 2001 e il 2017.

In questi quindici anni al potere, la Cancelliera ha lavorato con otto presidenti del Consiglio e ha avuto a che fare con dieci governi, tra i quali il primo esecutivo di Giuseppe Conte composto da due partiti esplicitamente sovranisti e antitedeschi. Mai forse come in questo periodo è stato così evidente il contrasto tra stabilità tedesca e instabilità italiana.

Mentre la Germania prendeva le misure della riunificazione, del suo nuovo ruolo in Europa e nel mondo, l’Italia aveva evidenti difficoltà a rimettersi dallo scombussolamento provocato dalla fine della Guerra fredda. Fondando il partito Forza Italia, Silvio Berlusconi tentava di occupare lo spazio lasciato dalla scomparsa della Democrazia cristiana, ma rapidamente il suo conflitto d’interesse contribuì a una vita politica incerta e litigiosa. Nel frattempo, grazie a Gerhard Schröder, la Germania aveva riformato la propria economia e imposto un risanamento dei conti pubblici per rendere il Paese all’altezza di una unione monetaria. In Italia, invece, dominava la procrastinazione. La produttività era in calo, la competitività pure, mentre il debito pubblico continuava ad aumentare.

Abbiamo già analizzato in maggiore dettaglio il modo in cui Angela Merkel affrontò le numerose crisi europee del suo lungo cancellierato. Qui ci limiteremo a notare che l’Italia fu sistematicamente l’anello debole della zona euro.

Pochi ministri delle Finanze si adoperarono seriamente ad arginare per quanto possibile l’andamento del debito. Tommaso Padoa-Schioppa, Fabrizio Saccomanni, Pier Carlo Padoan avevano capito che il debito pubblico troppo elevato stava frenando l’economia, soffocando il futuro delle giovani generazioni, mettendo a rischio la partecipazione dell’Italia nella moneta unica e in fin dei conti il ruolo internazionale del Paese. Se guardiamo alle statistiche, tra il 2005 e il 2019, escludendo quindi l’anno della pandemia e limitandoci al cancellierato Merkel, il debito pubblico italiano è salito dal 106 al 134 per cento del prodotto interno lordo.

Eppure, ogniqualvolta il destino dell’Italia era in bilico, il Paese poté contare, magari dopo un duro confronto e molto nervosismo in Borsa, sul sostegno di Angela Merkel. Dimentichiamo per un attimo le tensioni del momento. Nel 2011, la Germania accettò che la Banca centrale europea acquistasse debito sul mercato per raffreddare le tensioni finanziarie ed evitare il tracollo del Paese. In cambio l’istituto monetario, presieduto da Jean-Claude Trichet, chiese al governo Berlusconi, in una lettera resa pubblica solo recentemente, di adottare misure di risanamento delle finanze pubbliche.

L’anno successivo, dopo un duro confronto con il premier Mario Monti, la Cancelliera dette il suo benestare alla sorveglianza bancaria a livello europeo e alla possibilità per il Meccanismo europeo di stabilità di salvare istituti di credito in difficoltà. Tra il 2014 e il 2016, su pressione del governo Renzi, permise nei fatti all’Italia di godere di una generosa flessibilità di bilancio. Infine, nel 2018, dette il suo avallo al bilancio programmatico del governo Conte 1 per l’anno successivo, platealmente in violazione delle regole europee con due misure di politica economica particolarmente controverse: la riforma pensionistica chiamata Quota 100 e il reddito di cittadinanza.

In tutti questi casi, la Cancelliera garantì all’Italia l’appoggio della Germania. Molti dirigenti italiani di questi ultimi anni sono stati lontani dal suo modo di fare politica. Le sono apparsi troppo levantini e litigiosi, ossessionati dalla loro immagine nella stampa e alla televisione, impegnati ad alimentare una copertura giornalistica, spesso impressionistica, conformista e faziosa. In una parola: molti le sono sembrati superficiali e forse anche inaffidabili. Nutrì certamente rispetto e attenzione nei confronti di alcuni di essi, ma sapeva che dovevano fare spesso i conti con maggioranze pericolosamente sfilacciate e che la loro parola andava maneggiata con prudenza. Doveva quindi rimanere in guardia per evitare che in patria un suo atteggiamento troppo accomodante verso l’Italia potesse scoprirle il fianco e scatenare le critiche di coloro che in Germania ritengono il Paese irrimediabilmente infido e sleale.

In più di una circostanza, è stata chiamata quindi a un doppio esercizio di equilibrismo politico – con il partner italiano a Roma e a Bruxelles, e con i suoi alleati politici a Berlino – nel tentativo di trovare un compromesso accettabile per se stessa e per i due Paesi. Doveva pungolare l’Italia perché tenesse sotto controllo le finanze pubbliche, evitando però di creare tensioni irrimediabili a Roma.

Dinanzi alle intemperanze italiane reagiva con la pazienza di un genitore alle prese con un figlio indisciplinato di cui conosce le debolezze, ma anche le qualità. Sapeva che culturalmente la distanza tra i due Paesi appariva quasi incolmabile, ma col tempo ha probabilmente imparato ad analizzare la vita pubblica a Sud delle Alpi con efficace distacco e una punta di cinismo.

da “Merkel. La Cancelliera e i suoi tempi”, di Sergio e Beda Romano, Longanesi, 2021, pagine 176, euro 18

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