Ho finalmente ricevuto, da una trentenne, una risposta sensata all’unica domanda ch’io faccia ai giovani con cui m’accade di parlare: ma com’è che la tua generazione non ha letto niente, non ha visto niente, non sa un cazzo di niente di ciò che è accaduto prima che nascesse?
È un dettaglio che mi ossessiona molto oltre la normale convinzione di noi vegliarde che i giovani d’oggi, signora mia, siano proprio un disastro. Il fatto è che, da quando avevo vent’anni – o quindici, o trenta – io, è cambiato tutto.
Se volevo vedere un film vecchio, dovevo aspettare pazientemente che la tv lo trasmettesse (e la tv erano sette canali in tutto, se includiamo Telemontecarlo; e già che fossero sette era una botta di progresso: Rete 4 e Rai 3 arrivarono che già sapevo abbondantemente leggere e scrivere).
Se volevo vederlo in lingua originale, dovevo andare al cineclub. Sono stata una quindicenne fortunata: a Bologna c’era il Lumière; se fossi cresciuta altrove, avrei trascorso l’adolescenza senza Truffaut e senza Fassbinder, o al massimo in compagnia dei loro doppiatori se la sera tenevo Rai 3 accesa fino a tardi.
Questi hanno tutto in tasca. Hanno un telefono nel quale ci sono piattaforme pigiando un dito sulle quali possono guardare l’intera storia del cinema, o quasi (il «quasi» è per i film i cui diritti non si capisce più di chi siano e che quindi non stanno sulle piattaforme: invece della biblioteca dell’inedito, ministro Franceschini, non è che potrebbe occuparsi di farci vedere i film di Germi? Grazie, obbligatissima).
Se avessero provato a vederli e avessero sbuffato di noia, capirei di più. Un paio d’anni fa ho rivisto Rocky, che quando uscì (quarantacinque anni fa) era un filmone popolare: adesso, coi ritmi cui siamo abituati negli audiovisivi, sembra Bergman. Non mi aspetto che un ventenne cresciuto con frammenti di audio, frammenti di video, frammenti di scrittura, s’appassioni alle descrizioni della balena scritte da Melville. Tempo fa ho detto alla figlia diciottenne di amici che l’io narrante di Proust si rigira nel letto per decine di pagine. Ha giurato che non avrebbe letto neanche morta Alla ricerca del tempo perduto, ma era al corrente della sua esistenza. Il solo sapere che sia esistito un certo Marcel Proust la rende una diciottenne anomala. (Escono da scuola senza sapere che i mammiferi appartengono a uno dei due generi sessuali, non si può pretendere che sappiano che nella storia della Francia sono esistiti romanzieri).
L’altro giorno un utente Twitter ha chiesto chi fosse l’attore o l’attrice d’ogni epoca che univa in sé le più alte dosi di talento recitativo, qualità da star, e bellezza. Tra le migliaia di risposte, centinaia dicono «Paul Newman». E altre centinaia dicono: vedo che in molti rispondono Paul Newman, ma io non l’ho mai sentito. I Beatles non li conosco, neanche il mondo conosco.
Il venti-trentenne di oggi è la me quindicenne. Quella che, non sapendo ancora un cazzo, se la prof d’italiano declamava «amor, ch’a nullo amato», rispondeva: «ma è Venditti!». Se non sai niente, non sai riconoscere una citazione. Le rare volte in cui la riconosci, credi che ti vogliano truffare: oggi, l’internet darebbe del ladro a Venditti (o a Jovanotti, che nel decennio successivo usò lo stesso verso della Divina commedia) per non aver specificato «cit.».
Il contagio si estende anche agli adulti, ormai sempre più membri onorari della generazione che non sa un cazzo. Ieri il sito dell’Hollywood Reporter ha pubblicato il trailer dell’imminente programma di Jon Stewart su Apple Tv. La giornalista adulta che ha scritto il pezzettino d’accompagnamento ha ritenuto di dirci che il programma sembra somigliare a Last Week Tonight, il programma con John Oliver (va in onda su Hbo, ha appena vinto l’Emmy) ricalcato sul Daily Show, il programma che Jon Stewart conduceva venti e più anni fa.
La settimana scorsa è morto Norm Macdonald, comico sessantunenne che una trentina d’anni fa era nel cast del Saturday Night Live. Raccontando quanto l’aveva influenzato, Seth Meyers – comico quarantasettenne che conduce il programma di terza serata sulla Nbc – ha detto una cosa che chiunque li avesse visti entrambi sapeva già: di avere preso da Macdonald la cadenza nel dire le battute, il ritmo comico. Aggiungendo un dettaglio meraviglioso. Macdonald gli aveva raccontato che il figlio ventenne, guardando Meyers in tv, gli aveva detto: papà, ma tu parli come Seth Meyers. Santo cielo, aveva concluso Macdonald, mio figlio non sa come funziona il tempo.
Se il tempo prima di te è vuoto, non saprai mai chi cita chi e chi copia chi. Non sospetterai d’esserti perso qualcosa. Vivrai in un eterno presente nel quale ogni valutazione avviene sottovuoto. (In genere a quel punto diventi fanatico di David Foster Wallace, un tratto che accomuna tutti coloro che conosco e che non hanno letto o visto nient’altro, non lasciandogli probabilmente la lettura della Scopa del sistema tempo per qualsivoglia altro consumo culturale).
Insomma ero in uno studio televisivo, e mentre non eravamo in onda tutti erano spariti verso il buffet. La prima a rientrare è stata – mica ve la sarete già dimenticata – la trentenne di cui parlavo qualche decina di righe fa. Ho detto: m’hanno rimasto solo, ’sti quattro cornuti. Mi ha guardato con smarrimento. Ho detto: I soliti ignoti. Ha trent’anni, quindi non mi ha risposto che sono un’ignorante che sbaglia i dettagli, e che la battuta di Gassman sta nell’Audace colpo dei soliti ignoti, e che è quasi più grave che confondere Sapore di mare con Sapore di mare 2.
Ha trent’anni, quindi non sapeva che fosse esistito qualcosa intitolato I soliti ignoti. Non sapeva che fosse un film e non una serie, non sapeva che fosse un pezzo di storia del cinema italiano, non sapeva niente. (Non poteva neanche rivolgersi a san Google, protettore di chi sa cosa cerca: le avrebbe detto che è un quiz televisivo).
Le ho chiesto, come faccio sempre con la gente giovane, come sia possibile che la sua generazione ignori tutto ciò che precede la sua nascita, e lei mi ha detto una piccola cosa cui non avevo mai pensato: oggi c’è molta più roba nuova.
Se ogni mese hai decine di nuovi teleromanzi nel telefono, non t’avanzano il tempo e la voglia di conoscere il cinema tedesco degli anni Settanta o quello italiano degli anni Cinquanta. (Ministro Franceschini, preserviamo il livello culturale dei nostri ragazzi, vietiamo l’uscita di più di due sceneggiati nuovi ogni anno).
Il guaio, come sempre, siamo noi. Mentre la diligente trentenne annotava su apposita app che deve recuperare questo misterioso Soliti ignoti di cui le ha parlato un’anziana signora, pensavo alle mie coetanee che non sanno nulla e neanche hanno la scusa d’esser trentenni.
Conosco due signore della mia età che hanno lacune da ventenni, e fanno entrambe lavori intellettuali. Non hanno visto niente, non sanno niente, rispondono senza un briciolo d’imbarazzo di non aver visto Via col vento o Il padrino. Diamo per già svolte le riflessioni sul fatto che in Italia si possa far carriera nei settori dell’editoria e della comunicazione mancando delle basi culturali, e occupiamoci di: com’è possibile?
Quando io e loro avevamo dodici anni – o dieci, o otto – ed eravamo troppo piccole per uscire la sera, non c’era altro da fare che guardare la tv. E la tv generalista la sera mandava quasi sempre film. Come diavolo hai fatto a essere piccola negli anni Settanta o Ottanta e a non aver visto Via col vento? Mica basta, come scusa, essere andate a letto presto per molti anni. (Che, a seconda di quanto vivi sottovuoto, può essere una battuta di Proust o di DeNiro).