Una periferia riqualificata mantenendo la sua anima popolare è possibile. Il senso della storia del quartiere Ortica è tutto nel ricordo di un giorno di cinque anni fa, quando Beppe Sala, eletto sindaco di Milano da poco, volle firmare la delibera con la quale si dava il via al progetto di interventi pubblici nella storica balera del dopolavoro ferroviario. Un gesto simbolico, per prendere atto del fatto che nessuna riqualificazione avrebbe potuto prescindere dalla tradizione.
Quartiere a est estremo del Comune, confinante con un altro territorio storico postindustriale come Lambrate, Ortica nasce da due blocchi di case popolari per i ferrovieri, costruite a ridosso dei binari ai primi del Novecento. Tutto in mezzo alla campagna, agli “orti”, da cui il nome.
Qualcuno ricorda ancora come quei gruppi di alloggi venivano chiamati ironicamente dagli stessi abitanti: Ca’ del bec e Corna d’oro. Il comune denominatore erano i turni di lavoro che costringevano le mogli a trascorrere le notti in solitudine, la differenza era nella destinazione: i primi alloggi ai manovali, gli altri ai caposquadra.
C’era poco da andare in giro, nel tempo libero. I punti di riferimento erano (e sono rimasti) il circolo del dopolavoro, la balera e la chiesa. Quest’ultima, perfino con una sua storia partigiana: negli anni Trenta, l’allora parroco don Guido aveva radunato un gruppo di ragazzi ad animare l’oratorio, che dieci anni dopo si sarebbero tutti ritrovati a militare insieme nella resistenza, fondando una brigata cattolica.
Una sensibilità che ha reso Ortica diverso da un comune quartiere di periferia, anche quando si è trovato a ridosso la realtà proletaria di Lambrate, con la massa di operai dell’Innocenti, tanto da attrarre più tardi anime diverse, da fuori. Perfino intellettuali ed artisti, come Dario Fo, Enzo Jannacci. Giorgio Strehler, che si ritrovavano al circolo Cesare Pavese, per poi tirar tardi all’osteria del Gatto Nero.
Ma pur sempre periferia estrema era, con tutti i problemi di una distanza urbana dalla Milano dei grandi magazzini e dei bar alla moda e le devianze del caso. Ma perfino la criminalità, ha avuto il profilo di una faccenda di quartiere.
Fin qui il passato, che ha lasciato un segno indelebile. Nell’Ortica di oggi cambiano i modi, ma non la sostanza. Al di là della ferrovia c’è l’area dell’ex Richard Ginori, trasformata in loft abitati da creativi e nuovi professionisti. L’osteria del Gatto Nero non c’è più, ma ci sono locali che attraggano una piccola movida serale. Tutto ancora tra le case di ringhiera, gli alloggi popolari ristrutturati, la balera il circolo e la chiesa.
Ma tutto quel fermento, quell’anima ora è esplosa sui muri, con il progetto Orme-Ortica memoria.
«La cosa era nata un po’ per caso sei anni fa» – racconta Giovanni Lanzetti, presidente di Orme – «alcune associazioni avevano deciso di fare un murales, con le scuole. Da lì è nata l’idea di fare un quartiere unico, con la storia sui muri. La storia dell’Italia, di Milano. Quando pensiamo a un nuovo murales cerchiamo le associazioni che di quel pezzo del novecento hanno fatto la storia. E loro ci sostengono. Tutto quello che facciamo è arte partecipata. L’artista assieme a queste associazioni elabora il progetto. Poi i cittadini e spesso le scuole collaborano alla realizzazione pratica».
«Abbiamo dipinto le case con venti grandi murales, ma ne vogliamo fare trenta. Abbiamo dipinto la Liberazione, la lotta contro la violenza sulle donne, la cultura del Novecento. L’ultimo progetto porta il Duomo di Milano, qui all’Ortica. Con i murales ricostruiamo il Duomo, per cui il cittadino ha la sensazione di entrare nella cattedrale, salire sulle guglie e arrivare alla Madonnina. Quanto siamo partiti avevamo problemi a trovare i muri, ora abbiamo un’offerta spontanea incredibile».
E a guardare i murales con naso all’insù iniziano ad arrivare perfino i turisti. I murales dell’Ortica quest’anno erano inseriti nelle mete delle giornate del Fai e a sorpresa sono risultati il sito più visitato della Lombardia.
«Il rapporto con il Comune è stato indispensabile e sorprendente» – dice Lanzetti. «Quando cinque anni fa abbiamo scritto al Sindaco per sottoporgli il progetto, dopo due settimana ci ha risposto dandoci subito il patrocinio. Chi amministra deve capire che nei quartieri è scritta la storia delle gente».