La Russia vuole diventare il granaio del mondo. Può e vuole farlo sfruttando un potenziale prima nascosto o inutilizzato: ha un territorio enorme, confina con molti Paesi in via di sviluppo che hanno bisogno di acquistare cibo, ha la volontà politica per valorizzare tutto questo.
Quando nel 2000 Vladimir Putin divenne presidente, in una delle prime riunioni sull’argomento, i suoi consiglieri gli dissero che la Russia importava più del 50% del cibo che finiva sulla tavola dei suoi cittadini. Putin rimase di sasso.
«Da quel momento il leader del Cremlino ha in testa l’obiettivo di garantire una migliore sicurezza alimentare nel Paese. Teme la dipendenza, così ora la Russia è la numero uno nel settore del grano e sta facendo in modo che altri Paesi dipendano da lei», ha detto un consulente di mercato a Mosca, che ha parlato con il Financial Times.
L’articolo del quotidiano economico, firmato da Nastassia Astrasheuskaya, racconta il percorso di sviluppo che Mosca ha intrapreso per sfruttare a pieno il suo potenziale nel settore primario, per affrancarsi dal petrolio e usare questo nuovo potere come leva in politica estera.
«Putin ha lanciato un programma statale per sviluppare l’agricoltura attraverso progetti nazionali volti a stimolare gli investimenti e sviluppare la produzione nel 2004. Un progetto che comprendeva obiettivi per garantire l’80-95 per cento dell’autosufficienza nei prodotti chiave, compreso il grano. Un decennio dopo è stata introdotta una carta del grano per aumentare la trasparenza nel mercato. I grandi player e lo Stato hanno concordato di rendere questo mercato meno oscuro a beneficio di tutti. L’effetto è stato molto positivo e questo ha sicuramente aiutato le esportazioni», si legge sul Financial Times.
Un ruolo decisivo l’ha giocato anche la forte svalutazione del rublo, che ha reso le esportazioni più economiche, quindi più accessibili per gli altri Paesi. È una conseguenza delle sanzioni imposte da Stati Uniti e Unione europea contro Mosca dopo l’annessione della Crimea del 2014. In più, le contromisure del Cremlino, che vietano la maggior parte delle importazioni di cibo dall’occidente, hanno ulteriormente rafforzato i produttori nazionali.
Va ricordato che la Russia è il Paese più grande del mondo per massa continentale: con una politica così focalizzata sul grano a un certo punto è diventata, quasi inevitabilmente, il primo esportatore mondiale, superando per la prima volta gli Stati Uniti e il Canada nel 2017.
«Ora la Russia si sta lentamente facendo strada in Eurasia, in Africa e in America Latina come potenza di esportazione agricola. Lo fa perché vuole ridurre la sua dipendenza dal petrolio, perché vuole identificare nuovi mercati ed espandere la sua influenza diplomatica globale. Secondo alcuni analisti, il grano potrebbe diventare il nuovo petrolio per il Cremlino: un bene in grado di mantenere nel tempo un rapporto di controllo-dipendenza nei confronti di altri Paesi più piccoli», scrive il Financial Times.
Anche Cina e Vietnam sono diventati grandi clienti della Russia. Mosca ha triplicato così le sue esportazioni di carne bovina nel 2020 e ha raddoppiato quelle di carne di maiale, sia in termini di tonnellate sia per fatturato anno su anno. La metà della carne bovina è andata in Cina, mentre il Vietnam, che ha iniziato a importare carne di maiale russa alla fine del 2019, è ora il secondo importatore di carne per la Russia.
Le esportazioni di cereali e carne hanno accentuato la presenza della Russia nei Paesi in via di sviluppo, in particolare quelli che sono geograficamente più vicini (per ovvi motivi logistici). E in un mondo che entro il 2050 avrà bisogno di produrre il 40% di cibo in più (dice l’Onu) per stare al passo con la popolazione mondiale – che dovrebbe aumentare di 2 miliardi di persone nei prossimi 30 anni – potrebbe essere un vantaggio enorme su qualunque competitor.
Oleg Rogachev, membro del consiglio di amministrazione di Rusagrotrans – azienda del settore agroalimentare – ha parlato con il Financial Times delle prospettive future della sua compagnia e del Paese: «Siamo destinati a una certa crescita e successo nell’industria alimentare. La posizione geografica rende questo settore particolarmente redditizio: la maggior parte dei nostri clienti sono Paesi che soffrono per la carenza di cibo, e si trovano a due passi da noi. Sono in Africa, in Medio Oriente, nell’Asia-Pacifico, in Estremo Oriente. Il modo più breve e semplice per soddisfare il loro bisogno è attraverso le forniture dalla Russia».
Come detto, nei piani del Cremlino c’è anche un graduale affrancamento dal petrolio, per quanto non si tratti certamente di un’operazione semplice.
Mosca produce greggio sufficiente a soddisfare il 10% della domanda mondiale. E oggi, a differenza degli anni ’90, quando usava i soldi del petrolio per importare cibo, vende circa un quinto della fabbisogno totale di grano del pianeta.
La produzione agricola nel Paese, infatti, è cresciuta di quasi il 50% dal 1991. Le esportazioni sono più che triplicate nello stesso periodo, superando i 30 miliardi di dollari l’anno scorso.
Le prospettive future, scrive il Financial Times, sono ancora più ambiziose: «Ora Dmitry Patrushev, ministro dell’agricoltura e figlio di uno stretto alleato di Putin, Nikolai Patrushev, segretario del Consiglio di sicurezza russo, ha il compito di aggiungere un altro 50% al valore delle esportazioni agricole entro il 2024. È anche sotto pressione per aumentare la produzione di grano a 140 milioni di tonnellate entro il 2025».
Ma ovviamente il percorso di crescita non è così lineare e semplice: ad esempio oggi si prevede che le quote temporanee di esportazione di cereali, ricalcolate in base alla carenza di manodopera e alle cattive condizioni meteorologiche che hanno colpito i raccolti, ridurranno i livelli di produzione a 127 milioni di tonnellate nel 2021, evidenziando quanto sarà difficile raggiungere l’obiettivo del 2025.
Ad ogni modo, storicamente per la Russia il cibo è sempre stato uno strumento in grado di influenzare la politica estera, soprattutto con i Paesi vicini. Ed è stato così anche nel recente passato. Ma ciò che è cambiato, adesso, è la portata e l’ambizione di tutta l’industria.
La Cina, dove Mosca ha fatto perno da quando le sue relazioni con l’Occidente sono precipitate, è vista dalla Russia come il suo grande futuro mercato dell’alimentare. È un discorso di popolazione, vicinanza geografica e di espansione della sua presenza infrastrutturale (Mosca ha costruito dei gasdotti recentemente, e nuove ferrovie che portano a est).
«Con la conquista della leadership nel mercato globale del grano, la Russia sta cercando anche un equilibrio per la sua economia e una nuova leva per la politica estera. Ma per ora la prima ha la meglio sulla seconda: nell’attuale situazione economica, per Mosca è più importante avere accesso ai mercati esterni piuttosto che cercare di ottenere qualcosa nella politica internazionale con la fornitura di grano», scrive il Financial Times.
Una criticità difficile da superare, però, è legata all’attuale peso specifico del petrolio sul bilancio russo. Ad oggi, infatti, l’agricoltura rappresenta solo il 4% del prodotto interno lordo di Mosca, mentre petrolio e gas pesano per il 15%: difficile pensare che si possa ovviare al calo del prezzo e dell’importanza degli idrocarburi – immediatamente e senza scossoni – solo con le esportazioni di cibo.
Ma nel Paese c’è un certo ottimismo. Il Financial Times ha intervistato Andrei Guriev, amministratore delegato di Phosagro, uno dei maggiori produttori di fertilizzanti in Russia e in Europa, che ha spiegato che la Russia ha la possibilità per ampliare di molto, nell’immediato, le sue quote nel mercato globale: «La Russia ha la terra, l’acqua, i porti, le ferrovie. Nessun altro Paese ha un potenziale così grande».
A essere cambiate sono anche le condizioni ambientali, modificate dall’emergenza climatica in corso. «La Russia – si legge sul quotidiano economico – ha guadagnato un vantaggio in quanto le condizioni economiche e climatiche hanno reso la vita più difficile ad alcuni dei suoi principali rivali. I produttori di grano statunitensi hanno avuto una delle loro peggiori stagioni nel 2019, gli incendi in Australia hanno danneggiato i raccolti e le sue esportazioni di grano diminuiranno del 17% su base annua nella stagione 2021/22. Mentre in Russia il cambiamento climatico sta aprendo nuove frontiere per un maggiore utilizzo agricolo della terra nel nord con lo scioglimento del permafrost. In una certa misura, questo compensa la siccità nel sud».