Con le prospettive economiche che prevedono un rimbalzo del Prodotto interno lordo italiano nel 2021 fino al 6%, la preoccupazione ora è di riuscire a rendere la crescita economica strutturale e sostenibile, e fare in modo che possa impattare concretamente sul tessuto industriale e sul mondo del lavoro del Paese. Proprio con l’obiettivo di mettere a fuoco le politiche necessarie, The Adecco Group ha prodotto il white paper “Re-Start Generation: le prospettive occupazionali per donne e giovani alla luce del Pnrr e le nuove competenze, tra sfide green e rivoluzione digitale”, presentato nella sede di Phyd, in un incontro moderato dal direttore de Linkiesta Christian Rocca.
Hanno partecipato alla presentazione: il presidente del Cnel Tiziano Treu; Andrea Malacrida, amministratore delegato di The Adecco Group; Claudio Soldà, Csr & Public Affairs Director del Gruppo; Raffaella Sadun, docente di Business Administration in the Strategy Unit all Harvard Business School; e Mauro Magatti, professore di sociologia all’Università Cattolica di Milano.
«Nelle sei missioni del Pnrr il fulcro sono le persone», ha spiegato Malacrida. «Gli unici strumenti per provare a correre alla stessa velocità delle trasformazioni in atto sono le attività di upskilling e reskilling. Per capitalizzare al meglio gli investimenti previsti nel Pnrr bisognerà infatti formare quelle skill che rispondano alle reali esigenze del mercato e dei settori più ricettivi. Sarà necessario creare competenze per il mondo del digitale, ma anche per i business più tradizionali che dovranno affrontare processi di trasformazione. Serviranno nuovi modelli fondati su partnership tra pubblico e privato in modo tale da mettere realtà come The Adecco Group, che lavora quotidianamente a stretto contatto con oltre 50mila lavoratori e 10mila aziende, nelle condizioni di dare un contributo decisivo al Paese».
Gli italiani e il Pnrr
Lo studio, partendo dall’analisi dello scenario attuale e dai dati rielaborati dal Gruppo, si propone di analizzare le implicazioni che il Recovery Plan avrà sul mercato del lavoro e gli impatti previsti sulle fasce della società maggiormente colpite dalla crisi: donne e giovani.
Nel dettaglio, il documento analizza le sei missioni previste nel Piano, per ognuna delle quali è indicata l’incidenza che investimenti e riforme possono avere in termini assoluti sull’occupazione. Il paper include anche un sondaggio su un campione rappresentativo della popolazione, che racconta la visione degli italiani sulle riforme che il governo sarà chiamato a varare nei prossimi mesi.
Se interrogati sui temi legati al Pnrr, gli italiani si dimostrano divisi su molti aspetti. Ma le idee convergono in primis sulla fiducia nei confronti di Mario Draghi: quasi un italiano su due (45%) dichiara che il governo presieduto dall’ex Governatore della Bce (paragonato ai due precedenti) è il più adatto per lo sviluppo di riforme strategiche. Inoltre, il 38% degli intervistati concorda con il Pnrr nel considerare la formazione e le politiche attive priorità su cui lavorare per migliorare il mercato del lavoro. Il 21% invece avrebbe preferito destinare più risorse al potenziamento dei centri per l’impiego e l’11% punterebbe sulla riduzione del gender gap.
Quasi un italiano su due (40%), però, dichiara che i benefici prodotti dal Piano saranno positivi per l’economia, ma non così rilevanti da essere percepiti dal singolo cittadino. Solo il 17% invece non ha alcun dubbio: le riforme del Pnrr saranno positive sia per l’economia che per l’occupazione, mentre secondo il 18% il Piano non produrrà alcun effetto positivo. Diversità di vedute anche in merito alle iniziative da mettere in campo per la diminuzione del gender gap: secondo il 34% degli italiani sarebbe necessario un maggior bilanciamento tra lavoro e vita privata, mentre il 30% dichiara che la mancanza di diversity and inclusion è causata principalmente da un fattore culturale.
«Le previsioni occupazionali del Pnrr rischiano di non essere all’altezza delle aspettative. Giovani, donne e Mezzogiorno rimangono questioni aperte», ha detto Tiziano Treu. E Mauro Magatti ha ricordato anche la questione dei Neet, che in Italia sono 2 milioni: «Il Pnrr sarà utile ma rischia di non essere sufficiente. L’Europa ha puntato sull’Italia per rilanciarsi, dobbiamo cogliere questa occasione».
Gli effetti del Pnrr sul mercato del lavoro
Secondo le rielaborazioni di The Adecco Group sulle stime pubblicate dal governo, grazie agli investimenti inclusi nel Piano, si prevede che nel triennio 2024/26 l’occupazione tra le donne aumenterà di 380mila unità, mentre saranno 81mila i giovani che troveranno un impiego. Il documento sottolinea, però, come questi obiettivi potranno essere raggiunti solo avviando fin da subito percorsi di reskilling e upskilling, per accompagnare imprese e lavoratori nelle transizioni digitale e green.
«L’80% degli adulti dovrà possedere skill digitali di base e il 60% dovrà entrare in formazione continua», ha ricordato Tiziano Treu. «C’è una prospettiva eccezionale e la consapevolezza che sarà necessario un grosso lavoro sulle competenze». Secondo il presidente del Cnel, «grandi possibilità» verranno dai green job ma anche dai white job, ovvero i lavori della cura. Ma «abbiamo necessità prima di conoscenza, e poi di competenze specifiche».
Raffaella Sadun ha sottolineato la necessità di una «transizione enorme verso nuove competenze e nuovi lavori». Il motivo per cui l’Italia non è cresciuta abbastanza finora, ha detto la docente di Harvard, è che «non siamo stati pronti ad accogliere questi cambiamenti». Ecco perché ora «va creato un circolo virtuoso tra settore pubblico e aziende per erogare formazione in grado di compensare lo skill mismatch. Accade già in alcune regioni, ma sembra difficile estendere questa attività a livello nazionale».
Un focus, secondo Claudio Soldà, andrà fatto sull’economia dei dati. «C’è stato un cambio di passo rispetto al periodo precedente alla pandemia», ha spiegato il manager di Adecco. «Le skill relative all’elaborazione dei dati sono entrate trasversalmente in molti profili e saranno necessarie per lo sviluppo degli obiettivi del Pnrr».
Nessuna preoccupazione invece in merito agli effetti, sull’occupazione, dei due pilastri fondamentali delle azioni contenute nel Piano: trasformazione digitale e sostenibilità. Come dimostrano i dati Ocse, la trasformazione digitale non porterà alla temuta “fine del lavoro”. Anzi: negli ultimi dieci anni il lavoro è cresciuto in tutti i Paesi sviluppati, dimostrando come l’automazione non sia un fattore non necessariamente penalizzante per l’occupazione. Anche la transizione ambientale potrebbe avere effetti positivi molto rilevanti sull’occupazione: il risultato, secondo l’International Labour Organization (Ilo) delle Nazioni Unite, potrebbe essere la creazione di circa 18 milioni di nuovi posti di lavoro nel mondo entro il 2030.
Come Gruppo, ha concluso Malacrida, «vogliamo realizzare ciò che ancora non esiste in Italia: con Phyd abbiamo creato una piattaforma per misurare l’occupabilità e formare sulle competenze richieste dal mercato».