Non ti crederà nessunoL’arte di vivere spiegata da Bill Murray

L’attore americano, che rivedremo presto nelle sale con “The French Dispatch” di Wes Anderson, è noto per le sue trovate stralunate, gli scherzi ai passanti, la voglia di giocare. Lo scrittore Gavin Edwards ha raccolto e verificato (fin dove possibile) tutti questi episodi in un libro, scoprendo che forse si basano su qualcosa di più serio

LaPresse

Ci sono registi buoni e registi cattivi. Il celebre attore americano Bill Murray, spiega alla FAZ, sceglie sempre i primi perché sono anche suoi amici. È per questo che appare anche in “The French Dispatch”, la penultima fatica di Wes Anderson, che è anche una sorta di lettera d’amore per il giornalismo (o per l’esattezza, per il New Yorker).

I due si conoscono da anni: Murray ha recitato in tutti i suoi film (tranne il primo) e compare anche nel nuovissimo e misterioso film “spagnolo” di Anderson, quello di cui il titolo doveva rimanere un segreto ma che l’attore ha rivelato (forse) per sbaglio chiacchierando in un’intervista. Sarà “Asteroid City” e per adesso non si sa molto di più. «Mi ricordo che non volevo conoscere Wes Anderson prima di girare», spiega Murray al giornale tedesco. «Ma il copione di “Rushmore” [il primo film] era così bello che non avevo dubbi che si trattasse di qualcuno che sapeva cosa voleva».

Poi si sono incontrati, anche se Bill non ricorda la prima volta. «Dovrei chiamare Wes e chiederglielo, lui di sicuro se lo ricorda molto bene». Del resto lui era un personaggio del cinema già affermato: aveva mosso i primi passi al Saturday Night Live, era diventato famoso con i “Ghostbusters” e aveva inanellato una serie di film diventati celebri come il “Groundhog Day”, del 1993, fino a lavorare anche con Tim Burton in “Ed Wood”. Anderson, che lo ha trasformato nel suo feticcio, ha quasi 20 anni in meno: «Sentivo di doverlo prendere sotto la mia ala», spiega Murray, «anche se non ne aveva bisogno. Ogni tanto lo faccio ancora adesso. Dopo tutto, siamo amici».

Essere amici di Bill Murray, oltre a essere una gran fortuna, permette di assistere alle sue stramberie, di vivere in prima persona le trovate surreali e le follie che lo hanno reso ancora più famoso. È noto che l’attore ami imbucarsi alle feste di persone sconosciute («Sono sempre contenti e non mi mandano mai via»), a volte suona con i tassisti o si diverte a sorprendere gli ignari passanti con scherzi innocui. Nel 2005, per esempio, passando davanti a un bar di Charleston, in South Carolina, ha tolto di bocca la sigaretta a una persona e ha fatto un tiro. Poi gliela ha restituita: «Non ti crederà nessuno». Un’altra volta, a un incrocio di New York, aveva coperto gli occhi di un uomo davanti a lui, dicendo «Chi sono?» (immaginare la sorpresa del malcapitato). C’è chi giura di aver cantato con lui a una serata di karaoke (dove non era invitato) e a Parigi comprava cioccolato per distribuirlo in giro e avviare conversazioni.

Gli avvistamenti di Bill Murray sono tantissimi e tutti strani. Anzi, più sono bizzarri e più diventano credibili. Per lo scrittore Gavin Edwards, che li ha raccolti e verificati (fin dove possibile) nel suo libro “L’arte di essere Bill Murray” (pubblicato da Blackie edizioni), quasi non importa se siano veritieri. Bill Murray è, scrive, «una moderna divinità trasformista», uno che affronta l’universo «con spirito da pagliaccio» incarnando «lo spirito di questa anarchia tutta americana».

Lo stesso spirito si ritrova nel suo volume: è a un tempo un’antologia delle trovate di Murray, ma anche un ritratto dell’attore nei suoi aspetti più intimi e una sorta di distillato della sua filosofia di vita. Si parla dei suoi storici ritardi sul set (ma solo nei film commerciali), della volta che voleva far pagare una cena a Sergio Leone (che però non si è lasciato ingannare), del suo giro su un golf cart da ubriaco per le strade di Stoccolma, dell’abitudine di chiacchierare con le persone che sbagliano numero. Una volta era successo che all’altro capo del filo ci fosse una ragazza ed era riuscito a uscire insieme a lei la sera dopo.

Nello stesso personaggio convive l’adorabile canaglia, il pagliaccio, il genio presuntuoso e l’anima generosa. Tanti parlano del suo anti-borseggio, cioè l’abitudine di infilare soldi nelle borse degli altri. Tanti ricordano anche i suoi difficili rapporti con i colleghi («Ho sentito che tra te e gli altri attori non corre buon sangue. La cosa ti crea problemi?», aveva chiesto Harold Ramis, della compagnia teatrale Second City, dove Murray aveva mosso i primi passi. «No», la risposta) e le accuse della ex moglie per il divorzio, dall’abuso di alcolici, ai tradimenti e alle minacce fisiche non contribuiscono a migliorarne l’immagine. «A volte dicono che mi comporto male perché sono ricco e famoso. Ma posso assicurarvi», spiega al quotidiano tedesco, «che lo facevo anche prima che avessi fama e soldi».

I momenti difficili li ha superati con il lavoro. Non si considera un artista, che a suo avviso è un’altra cosa rispetto a quello che fa lui, «anche se hanno detto che i film con Wes sono il mio periodo blu». Bill Murray interpreta, recita, imita. A volte fa gaffes: nell’intervista alla FAZ conferma di aver preso parte a un film della Marvel di prossima uscita (forse “Ant-Man 3”) ma solo «per il regista»).

Soprattutto, cerca di svegliare gli altri – seguendo la dottrina di Georges Gurdjieff, che ha studiato nel suo periodo parigino alla Sorbona. «Non sono uno che ama la vita sincronizzata. E non mi piace che mi venga tolta la spontaneità». Quando sente di voler fare qualcosa, la fa.