Inside BudapestLa missione (im)possibile del nuovo capo dell’opposizione a Orbán

Il vincitore delle primarie delle opposizioni Péter Màrki-Zay sembra il candidato migliore in un Paese fortemente conservatore, soprattutto nelle aree rurali, come l’Ungheria. Ma tenere insieme una alleanza così varigata in cui il leader non è espressione del partito più forte non sarà semplice. Anche perché nel 2018 diceva di «non indentificarsi né con la sinistra né con i valori cristiani del Jobbik»

LaPresse

Una Unione in salsa ungherese. Il paragone con la variegata coalizione italiana vincente del 2006 può aiutare a descrivere il cartello delle opposizioni che il prossimo aprile fronteggerà Viktor Orbán in Ungheria e che comprende partiti molto diversi tra loro, dal centro sinistra di Coalizione democratica fino ai liberali di Momentum e addirittura all’estrema destra del Jobbik. Adesso c’è anche un candidato premier: è il sindaco di Hódmezővásárhely Péter Màrki-Zay, candidatosi come indipendente e chiamato ora a trovare una sintesi tra tutte le anime della coalizione.

Tra i seicentomila ungheresi che domenica 17 ottobre hanno espresso il loro voto Màrki-Zay ha ottenuto il 56,7 per cento dei voti, mentre l’eurodeputata Klara Dobrev, esponente di Coalizione democratica e in testa dopo il primo turno, ha ottenuto il 43,3 percento. «Una battaglia è vinta, ma la guerra non è ancora finita», ha postato nella notte il vincitore, atteso adesso dalla sfida più difficile: spodestare Fidesz, al governo ormai da più di un decennio, mantenendo saldo il fronte dell’opposizione. L’operazione non si preannuncia semplice in entrambi i casi.

Chi è l’anti-Orbán
Storia e caratteristiche non sembrano mentire: per un Paese fortemente conservatore, soprattutto nelle aree rurali, come l’Ungheria Màrki-Zay sembra l’uomo giusto. Quarantanove anni, laureato in economia, marketing e ingegneria (con in più un dottorato in storia economica) e con esperienze di lavoro in Canada e negli Stati Uniti, Màrki-Zay rappresenta un connubio perfetto tra innovazione e tradizione.

Cattolico di rito romano e padre di addirittura sette figli, un dato che in Ungheria fa piuttosto effetto, il sindaco di Hódmezővásárhely parla addirittura sette lingue: inglese, francese, tedesco, spagnolo, finlandese (grazie al soggiorno di alcuni mesi nel Paese nordico) e anche un po’ di russo. Un aspetto fondamentale per un leader che si candida a guidare il Paese e su cui anche il sindaco di Budapest Gergely Karácsony, uno dei politici più in vista dell’opposizione e grande sponsor di Màrki-Zay, era scivolato. Dopo le esperienze all’estero la svolta per l’attuale leader dell’opposizione arriva nel 2009, quando torna in Ungheria e inizia a lavorare per alcune compagnie del territorio. Per la politica è solo questione di tempo.

La campagna municipale
Per capire il personaggio Màrki-Zay il momento decisivo è il 2018, quando si candida come sindaco di Hódmezővásárhely, cittadina di 44 mila abitanti a poco più di 190 chilometri dalla capitale Budapest. Un posto che non è come tutti gli altri, se si pensa che il Comune era governato sin dal 1990 dal partito Fidesz: anche così si spiega la vera e propria ostilità che ha dovuto fronteggiare Màrki-Zay nel preparare la campagna da indipendente dopo la morte del sindaco in carica István Almási.

In un’intervista del gennaio 2018 al giornale online hvg.hu dichiarò di «non indentificarsi né con la sinistra né con i valori cristiani del Jobbik», partito ancora oggi considerato di destra. Un motivo in più per essere considerato una sorta di “alieno” nel panorama politico locale e quindi uno da mettere a tacere: vide infatti respinta la richiesta di aprire un comitato elettorale, non ebbe la possibilità di rilasciare alcuna intervista alla stampa e fu addirittura sottoposto al controllo della polizia.

Nonostante le limitazioni il messaggio di cambiamento passò lo stesso, grazie al supporto decisivo di Facebook e di una campagna porta a porta, e divenne sindaco con il oltre il 57 per cento dei voti. Il bisogno di cambiare era davvero reale, come ha dimostrato la scoperta di un disavanzo di bilancio pari a 4 miliardi di fiorini ungheresi, non denunciato dalla precedente amministrazione.

Il bilancio del suo lavoro come amministratore comunale è finora positivo: secondo il sito web Promise Monitor, 43 delle 58 promesse annunciate sono state pienamente attuate e 7 sono in fase di realizzazione. Nei quasi tre anni di amministrazione non sono mancati anche i momenti di scontro con Orbán: un esempio è dato dallo sportello dei migranti, un tabellone che riportava il confronto tra il numero di migranti respinti da Orbán e quello di George Soros, il miliardario ungherese spesso usato come feticcio a cui addossare tutte le colpe, fermo invece a quota zero. Uno stile forse un po’ populista per un politico che si definisce convintamente europeista e filoccidentale e che in caso di vittoria ha già promesso cosa farà come premier. «Far aderire Budapest alla Procura europea (EPPO): è inammissibile che resti fuori soltanto per proteggere i suoi politici corrotti»

La campagna nazionale
I dirigenti di Fidesz non sono felici della vittoria del sindaco di Hódmezővásárhely. Loro facevano il tifo soprattutto per la sfidante, Klara Dobrev, e la ragione è chiara. La candidata è infatti la moglie di Ferenc Gyurcsány, leader di Coalizione Democratica ma soprattutto ex premier ungherese tra il 2004 e il 2009 che però non ha lasciato un grande ricordo di sé. I suoi anni di premierato vengono ricordati soprattutto per il discorso di Őszöd del 2006, in cui in una riunione chiusa del partito socialista dichiarava esplicitamente di aver mentito agli elettori sullo stato del Paese e di non aver fatto nulla per migliorare la situazione. Il discorso, poi trapelato alla stampa, scatenò violente proteste di piazza che poi divennero proteste di palazzo grazie all’appoggio proprio di Fidesz, allora all’opposizione.

La vittoria di Dobrev avrebbe reso la campagna elettorale più semplice per Orbán, che avrebbe avuto gioco facile a presentare tutto come una macchinazione dell’ex premier. Il trionfo di Màrki-Zay lo rende più complicato: il posizionamento da indipendente e senza collegamenti con il governo del passato rende più difficile screditarlo ma Fidesz ha già iniziato a descriverlo come un politico “di sinistra per carriera” e burattino nelle mani di Gyurcsány. Per il leader dell’opposizione c’è anche un altro pericolo.

Come sostiene l’analista János Kovács sul sito web ungherese Index, «indipendentemente dalle capacità di leadership, tenere insieme un’alleanza così composita è una sfida seria. È successo in piccolo con il governo di coalizione precedente al 2010, dove c’erano socialisti e democratici, ma stavolta, con una coalizione di sei o più partiti dove il candidato premier non è espressione del partito più forte o del cartello di movimenti con il maggior numero di seggi, c’è il rischio di un’instabilità ancora maggiore».

Ad appoggiarlo durante le primarie non sono stati in molti: i Verdi non lo hanno considerato e lo stesso ha fatto il movimento ecologista Dialogo per l’Ungheria, che si è mostrato piuttosto tiepido sull’agenda verde del candidato, mentre i socialisti hanno sostenuto Dobrev.

Visti gli interessi divergenti l’impressione è che se dovesse andar male la battaglia del 2022 il cartello delle opposizioni sia destinato a scomparire. Per il momento i sondaggi sorridono ai nemici di Orbán: Mediàn Poll tra il 29 settembre e il 4 ottobre rileva l’opposizione in testa con il 47 per cento delle intenzioni di voto contro il 44 per cento di Fidesz. La partita però è ancora lunga.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter