“There’s a new technology in town”, direbbero gli americani; e consiste nell’usare i residui non riciclabili di plastica, invece del carbone, per produrre acciaio. Se il nuovo sistema dovesse prendere piede, potrebbe essere determinante nella battaglia per la riduzione delle emissioni climalteranti nel mondo.
Ad oggi, la produzione di acciaio è uno dei settori industriali più nocivi del mondo dal punto di vista ambientale. Questo dipende (anche) dal fatto che il carbon-coke è una delle materie prime indispensabili per fare materialmente l’acciaio, materiale la cui “sete” mondiale è più che raddoppiata negli ultimi anni, passando dagli 850 milioni di tonnellate del 2000 ai 1870 milioni del 2019.
L’uso del carbone a fini della produzione siderurgica, però, costituisce oggi una delle più grandi fonti di inquinamento, poiché la sua combustione genera circa il 20% della Co2 presente nell’aria (in totale, il ricorso complessivo al carbone, per tutti i suoi usi, è invece responsabile del 46% delle emissioni di anidride carbonica in tutto il mondo).
Per questo, l’idea di eliminare il carbone dalla produzione di acciaio piace tanto è attira investimenti in tutto il mondo. Uno di quelli che più sta attirando l’attenzione degli investitori e dei ricercatori è quello che riguarda proprio la sostituzione del carbone con la plastica nella produzione di acciaio. Il sistema coniuga in sé due aspetti positivi: da un lato elimina (o almeno riduce) l’uso di carbone, dall’altro elimina o riduce la plastica non riciclabile che, altrimenti, sarebbe destinata alla discarica o all’abbandono nell’ambiente.
Secondo un recente studio dell’Università di Melbourne, «l’impronta di emissioni degli impianti siderurgici potrebbe essere ridotta del 30% usando la plastica di scarto invece di altre materie prime. Le materie plastiche hanno un contenuto di H2 più elevato rispetto al carbone. L’idrogeno evoluto dalla plastica agisce come riducente insieme al monossido di carbonio. La sostituzione della plastica riduce la temperatura di processo di almeno 100–200°C a causa dei gas riducenti (idrogeno) che migliorano l’efficienza energetica del processo. Allo stesso modo, la plastica riduce notevolmente le emissioni inquinanti».
Alla luce di queste evidenze, se il sistema entrasse a regime, le emissioni legate alle acciaierie potrebbero ridursi sino a un terzo nell’immediato fino a dimezzarsi nel lungo periodo perché si ridurrebbero anche i consumi energetici e gli altri inquinanti (come quelli legati al trasporto) e, inoltre, parte del ciclo della plastica potrebbe chiudersi evitando la discarica, perché i polimeri destinati alla siderurgia sarebbero derivati dalla parte di scarto del processo di riciclo.
Un esperimento interessante in questo senso è quello del polimero Bluair, prodotto all’interno del sito I.Blu di San Giorgio di Nogaro, in Friuli Venezia Giulia, recentemente acquisito da Iren, una delle più grandi società multiservizi in Italia. Lì vengono selezionate e trattate le plastiche miste post-consumo che non possono essere avviate nei tradizionali circuiti di riciclo. Anche se il progetto è alle sue prime fasi, le speranze in esso riposte sono alte e, solo in Italia, ad oggi – secondo Iren – sono circa 12 gli impianti siderurgici che usano il polimero I.Blu.
Ora resta da vedere come e quanto la nuova tecnologia prenderà piede, nel mondo e, soprattutto in Italia, dove acciaio significa soprattutto Ilva, inquinamento e proteste sindacali.