L’ora di ricreazioneL’ingenua proposta di Letta e la mala educación degli studenti italiani

Proporre di parlare in classe dell’assalto alla sede della Cgil è la scusa perfetta per gli insegnanti e gli alunni che vogliono solo perdere tempo. Non sarà meglio che i giovani imparino a ragionare a casa, e a scuola facciano addizioni e ortografia?

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Chissà chi è che ha detto a Enrico Letta che nelle scuole è meglio non parlare dei teppisti di sabato. Ricopio il tweet domenicale del segretario del Pd, cancelletti come nell’originale: «Ho proposto che domattina nelle #scuole gli insegnanti parlino di quel che è successo sabato. Mi si critica dicendo che la scuola deve essere apartitica. Rimango allibito. Un sindacato assaltato dai capi di #ForzaNuova è una questione non di colori politici ma di #democrazia».

È strano che qualcuno abbia obiettato giacché – vi fornisco subito la sintesi così potete smettere di leggere e tornare a giocare ad Angry Birds in fondo alla classe, specie se siete docenti – se c’è una cosa che unisce studenti e insegnanti è la passione per l’attualità.

L’ora di educazione civica – che aveva cambiato nome, era «cittadinanza e costituzione», ma ora è tornata a chiamarsi come quando andavamo a scuola noialtri vegliardi – è un’ora di ricreazione, esattamente come quando a scuola ci andavamo noi. Solo che allora si sapeva e si evitava: teoricamente erano ore ricavate dal pacchetto di storia e geografia, ma non ricordo una sola lezione nel mio intero percorso scolastico; adesso si sa e si perora: che bravi questi giovani consapevoli, coi loro Fridays for Future, che fanno fare la settimana corta sia a noi sia a loro.

Non che ai nostri tempi non si perdesse tempo, figuriamoci: non saremmo cresciuti così asini, sennò. Ricordo due ore di francese trascorse – in un’aula buia in cui la futura classe dirigente limonava e i futuri opinionisti dell’internet meditavano vendetta per i limoni a loro negati – a vedere Il gobbo di Notre-Dame, film con Gina Lollobrigida che in teoria doveva aiutarci a comprendere meglio la poetica di Victor Hugo (ma certo, come no), e in pratica regalava a noi e alla professoressa due ore di ricreazione.

Da sempre, film e telegiornali e attualità e sensibilizzazioni assortite vengono accolte, dai minorenni in classe, con degli «Aléééé». Sulla complicità dei professori, mi permetto di decontestualizzare un Claudio Giunta del 2015. Non parlava di educazione civica, ma vorrei piangessimo insieme sulla descrizione di alcuni casi che temo rappresentino il docente medio: «Quello che so è che laureiamo persone che non sanno scrivere in italiano, che non hanno idea di cosa sia la letteratura dopo Svevo, che credono che Tito Livio sia un imperatore romano, che mettono Galileo nel settecento e che pensano che Aldo Moro sia un uomo politico degli anni del fascismo». Certo, se non sai bene cosa dire di Tito Livio ti tornerà comodo buttare un’ora a dire a dei sedicenni che devastare la sede d’un sindacato è una cosa brutta brutta brutta, che non va fatta, che va fermamente condannata.

Quell’ora, tra l’altro, dal 2019 può essere anche di matematica, giacché nel 2019 educazione civica s’è deciso sia materia interdisciplinare, se ne debbano fare «almeno 33 ore» in un anno scolastico, e quelle trentatré ore ogni scuola decide come dividerle. C’è la scuola in cui ogni mese le sottrae al suo pacchetto di ore un docente, quella che divide per quadrimestre, quella in cui variano persino i criteri di valutazione sulla stessa materia in multiproprietà tra più insegnanti.

Se vuoi perdere tempo è la scusa perfetta; ma se vuoi insegnare? Cito un professore: «Se io un pochino di Dante voglio farlo, quanto posso parlare dei fatti di sabato: cinque minuti?». Le ore di italiano sono un numero finito, e la Divina Commedia è molto lunga. Si rischia di far finire i liceali come in un’altra descrizione claudiogiuntiana, cito da un suo articolo del 2016 su Internazionale: «Mi capita un po’ troppo spesso di incontrare matricole di lettere che […] non sanno che cos’è la Vulgata, o ignorano chi fosse Tommaso d’Aquino, o hanno bisogno del vocabolario per “tradurre” parole come alma, calere, speme. Oppure sanno in quale canto della Commedia, in quale cerchio e in quale bolgia stanno gli incontinenti, solo che non hanno idea di cosa voglia dire incontinenti».

Mi meraviglierei, non ricordassi quella mia amica, professoressa in una scuola media, che racconta come gli allievi arrivino in prima senza saper leggere: quando chiedi di leggere a voce alta sono così stremati dallo sforzo per riconoscere le lettere che non conoscono più la lingua in cui parlano abitualmente, e te li ritrovi a pronunciare «tavòlo».

Se hai fatto cinque anni di elementari senza diventare un lettore disinvolto, certo che puoi finire il liceo senza sapere cosa significhi «incontinenti», e per arrivarci non è neanche indispensabile buttare ore in analisi dei fatti d’attualità.

Ma, si dirà, non sono ore buttate: i giovani devono imparare a ragionare. Siamo sicuri? Non sarà meglio che lo imparino a casa, e a scuola usino il tempo che hanno per le addizioni e l’ortografia e i confini dell’Umbria?

L’altro giorno un’amica con figlia in seconda media ha fotografato sdegnata un libro di testo in cui ai bambini vengono insegnate cose sbagliate sul Csm (laureiamo persone che non sanno chi ci sia a capo del Csm, e le mettiamo a scrivere libri di testo). Ma a che punto delle medie si ritiene d’insegnarti com’è composto il Consiglio Superiore della Magistratura? A quello al quale hai finalmente imparato a leggere? E a quel punto non sarebbe meglio approfittarne per la cara vecchia siderurgia e la barbabietola da zucchero? Che, certo, stanno nel sussidiario delle elementari, ma se fin lì non sapevi leggere avrai sì e no guardato le figure.

«Io ti devo insegnare delle cose, poi tu puoi ragionarci sopra, ma dopo, molto dopo», dice un’insegnante alla quale chiedo se non sia meglio alfabetizzarli, ’sti ragazzi. E invece, al netto delle ore di stigmatizzazione delle manifestazioni violente, nelle classi è tutt’«educazione».

L’educazione alla salute, in cui arriva un tizio della Asl a spiegare agli scolari che nella doccia bisogna mettere il tappetino sennò scivoli. E il cartone animato che spiega – a tredicenni che giustamente sghignazzano – che il gattino che mette la zampina sul fuoco si scotta. Speriamo che a casa gli insegnino a calcolare il quadrato sul cateto, cioè quel che dovrebbero fare gli insegnanti, visto che a scuola sono impegnati a dirgli di stare lontano dal fuoco, cioè quel che dovrebbero dirgli i genitori.

Oppure contiamo sul boicottaggio interno. Sugli insegnanti che si ostinano a insegnare le cose che fuori di lì non imparerai mai, e conteggiano come educazione civica la lezione sul Dolce Stil Novo. Se parli della situazione delle donne nel Medio Evo è educazione alla parità di genere, no?

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