Dopo che ogni singolo esperimento comunista è fallito negli ultimi 100 anni, dovrebbe essere chiaro che l’ultima cosa di cui il mondo ha bisogno è proprio di nuovi esperimenti. Ma mentre i ricordi del crollo del socialismo reale nell’Unione Sovietica e nell’Europa dell’Est si allontanano, l’ideologia socialista sta vivendo una sorta di rinascita.
Uno dei più rispettati filosofi contemporanei di sinistra, lo sloveno Slavoj Zizek, sostiene senza mezzi termini la necessità di un «nuovo comunismo» nel suo libro “Dal punto di vista comunista” (Ponte alle Grazie, 2020).
Nel libro, Zizek propone la riabilitazione dell’intera linea di pensatori anti-liberali e favorevoli alla società «chiusa», a partire da Platone. Inoltre, scrive: «È necessaria una ripoliticizzazione dell’economia: la vita economica dovrebbe essere controllata e regolata dalle libere decisioni di una comunità, non gestita dalle transazioni cieche e caotiche delle forze di mercato, che sono accettate come una necessità oggettiva».
E continua: «Ciò di cui abbiamo bisogno oggi è una sinistra che osi pronunciare il suo nome, non una sinistra che copra vergognosamente il nucleo del suo pensiero con qualche foglia di fico culturale. E questo nome è comunismo».
La sinistra, sostiene, dovrebbe finalmente abbandonare il sogno di un capitalismo più equo e «giusto« e adottare misure «comuniste» più radicali. Come obiettivo chiaramente dichiarato, propone che «la classe che si oppone deve essere distrutta».
Zizek esalta «la grandezza di Lenin», che risiede nel fatto che, dopo che i bolscevichi presero il potere, rimase fermo sui suoi principi, anche se non esistevano le condizioni per una vera e propria «costruzione del socialismo».
Secondo le teorie sviluppate da Marx e Lenin, il «socialismo» è una fase transitoria necessaria fino al raggiungimento dell’obiettivo finale del comunismo. Zizek suggerisce di invertire questa sequenza e di puntare direttamente al comunismo, che poi alla fine dovrebbe evolvere o regredire nel socialismo.
Secondo Zizek, il «Grande balzo in avanti» alla fine degli anni ’50 sotto Mao ha presentato un’opportunità per «bypassare il socialismo ed entrare direttamente nel comunismo». Chiaramente, Zizek conta sul fatto che i suoi lettori non sappiano che questo grande esperimento social-comunista della storia umana ha portato alla morte di 45 milioni di persone.
Regolare e «migliorare« il capitalismo?
Pochi in realtà sono così radicali, o così sfacciati, nelle loro formulazioni come Zizek. Molti anticapitalisti contemporanei hanno smesso di parlare della necessità di abolire il capitalismo e hanno iniziato a chiedere che venga «regolato», «riformato» o «migliorato».
Il capitalismo è ritratto come un animale selvaggio («capitalismo predatorio») che deve essere «addomesticato». Gli intellettuali pensano costantemente a nuovi concetti per «migliorare» il sistema economico o limitare i suoi «mali».
Gli intellettuali che credono di poter pianificare e progettare un sistema economico patiscono la stessa illusione di quelli che pensano di poter «costruire» artificialmente una lingua. Ogni volta ci tengono a rimarcare che agiscono al servizio della «giustizia» o dell’«uguaglianza». L’esempio più recente è l’economista francese Thomas Piketty.
Nella sua ormai famosa opera “Il capitale nel XXI secolo”, ha sottolineato: «Appartengo a una generazione che è cresciuta ascoltando le notizie del crollo delle dittature comuniste e non ho mai provato il minimo affetto o la minima nostalgia per quei regimi o per l’Unione Sovietica. Sono stato vaccinato a vita contro la convenzionale ma oziosa retorica dell’anticapitalismo, una parte della quale semplicemente ignora il fallimento storico del comunismo e gran parte della quale volta le spalle ai mezzi intellettuali necessari per andare oltre».
A prima vista, tutto questo sembra abbastanza innocuo. Tuttavia, Piketty è un radicale anticapitalista e sostenitore del socialismo, come dimostra nel suo libro “Capitale e ideologia” (La nave di Teseo, 2020).
In modo tipicamente costruttivista, immagina un sistema sociale ed economico ideale, che chiama «socialismo partecipativo» (per distinguerlo dal socialismo reale che ha sempre fallito miseramente). Ha ragione a chiamare il suo sistema «socialismo», perché in sostanza si tratta di «trascendere l’attuale sistema basato sulla proprietà privata».
In particolare, la visione di Piketty include quanto segue: ogni giovane dovrebbe ricevere una grande somma di denaro come regalo dallo Stato all’età di 25 anni. Questa spesa sarebbe finanziata da una tassa progressiva sulla ricchezza privata, che salirebbe al 90% sulle fortune più grandi. Le eredità sarebbero anch’esse tassate fino al 90%.
Naturalmente, Piketty propone anche una aliquota elevata sui redditi, anch’essa fino ad un massimo del 90%.E applicherebbe questa stessa aliquota ai dividendi, interessi, profitti e rendite, ecc.
Per «trascendere« la proprietà privata, Piketty chiede di adottare un diverso approccio alla regolamentazione delle società per azioni che, a prima vista, sembrerebbe riecheggiare il sistema tedesco di codeterminazione, che dà ai rappresentanti dei lavoratori la metà dei posti nel consiglio di sorveglianza di una società.
Tuttavia, secondo Piketty, questo approccio ha dei «limiti», compreso il fatto che gli azionisti hanno il voto decisivo in caso di parità. Se Piketty potesse fare a modo suo, eliminerebbe questa «limitazione» rompendo il legame tra la quantità di capitale investito in un’azienda e il potere economico dell’azionista nell’azienda.
Egli suggerisce che gli investimenti oltre il 10% del capitale di un’azienda dovrebbero ottenere diritti di voto corrispondenti a solo un terzo dell’importo investito. Naturalmente, a Piketty è chiaro che i proprietari lascerebbero un tale paese in fretta e furia.
Per prevenire questa situazione, suggerisce Piketty, il governo dovrebbe introdurre una «tassa di uscita» (del 40%). In effetti, questo erigerebbe un «muro fiscale» per impedire agli imprenditori e ad altri individui ricchi che non hanno alcun desiderio di vivere sotto il «socialismo partecipativo» di Piketty di lasciare il paese.
L’esempio di Piketty è chiaro: i tentativi di «migliorare», «correggere» o «riformare» il capitalismo, che all’inizio sembrano innocui, finiscono sempre per sfociare nel “socialismo puro” e in una totale mancanza di libertà.
L’unica differenza tra le proposte di Piketty e il vero socialismo è che, sotto il suo modello, la proprietà privata non verrebbe nazionalizzata in un colpo solo per ordine di un unico partito al potere, lo stesso obiettivo verrebbe invece raggiunto in un certo numero di anni per mezzo di modifiche alla legislazione fiscale e aziendale.
Un’idea fallita che non muore mai
Nel suo libro “Socialism. The Failed Idea That Never Dies” (IEA, 2019) l’economista tedesco-britannico Kristian Niemietz cita circa 25 esperimenti socialisti finiti tutti, senza eccezione, in un colossale fallimento.
Nelle sue “Lezioni sulla filosofia della storia” (1837), il filosofo tedesco Hegel affermava: «ciò che l’esperienza e la storia insegnano è questo: che i popoli e i governi non hanno mai imparato nulla dalla storia, o agito in base a principi dedotti da essa». Forse questo giudizio è troppo severo, ma è chiaro che un gran numero di persone è incapace di trarre indicazioni dalle esperienze storiche.
Prima del capitalismo, la stragrande maggioranza della popolazione mondiale viveva in miseria. Nel 1820, viveva in tal modo il 90% degli abitanti del pianeta. Oggi, questa cifra è scesa a meno del 10%.
E forse la caratteristica più notevole di questa riduzione è che, negli ultimi decenni, dalla fine del comunismo in Cina e in altri paesi, il tasso al quale le persone sono state salvate dalla povertà ha accelerato più che in qualsiasi periodo precedente della storia umana. Nel 1981, il tasso era ancora del 42,7%; nel 2000, era sceso al 27,8%, e nel 2021 era solo del 9,3%.
Molte persone sembra che semplicemente non vogliano imparare le ovvie lezioni dai molteplici esempi del mondo reale che hanno dimostrato come più capitalismo porti a più prosperità. Né sembrano voler imparare dal fallimento di tutti i vari tipi di socialismo mai provati nel mondo.
Anche dopo il collasso della maggior parte dei sistemi socialisti all’inizio degli anni ’90, da qualche parte nel mondo vengono regolarmente fatti dei tentativi per attuare gli ideali socialisti. «Questa volta», sostengono, «sarà diverso». Il caso più recente è il Venezuela. Ancora una volta, un gran numero di intellettuali occidentali è rimasto estasiato dalla volontà di realizzare il «socialismo del XXI secolo».
Sarah Wagenknecht, membro di spicco del più grande partito di sinistra tedesco, Die Linke, ha descritto Hugo Chavéz come un «grande presidente», un uomo che ha dedicato la sua vita alla «lotta per la giustizia e la dignità». Ha ringraziato Chávez per aver mostrato al mondo che «un modello economico alternativo è possibile»
Chávez aveva molti ammiratori anche tra gli intellettuali di sinistra negli Stati Uniti, con il defunto Tom Hayden che proclamava: «Col passare del tempo, prevedo che il nome di Hugo Chávez sarà venerato da milioni di persone»
Anche il professore di Princeton Cornell West si è dichiarato un suo fan: «Sono contento che Hugo Chávez abbia fatto della lotta alla povertà una priorità. Vorrei che anche l’America facesse della povertà una priorità».
Le conseguenze dell’esperimento venezuelano sono state disastrose. Nonostante ciò, gli intellettuali di sinistra di tutto il mondo insistono nel dire esattamente le stesse cose che hanno detto per 100 anni sulla scia di ogni catastrofico esperimento socialista: «Quello non era vero socialismo». La prossima volta, quindi, le cose andranno sicuramente diversamente.