Good Bye LeninDa oltre mezzo secolo la Russia promette un paradiso economico che non arriva mai

Nel 1961 l'Unione sovietica pensava di superare il benessere di qualsiasi paese capitalista nell’arco di vent’anni. Oggi Mosca, reduce anche delle riforme di Gorbaciov, ha un Prodotto interno lordo inferiore a quello italiano. E il suo sistema di capitalismo clientelare rimane economicamente inefficiente

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Sessant’anni fa, l’Unione Sovietica stava celebrando un evento storico. Durante il suo 22° Congresso, nell’ottobre 1961, il Partito comunista dell’Unione Sovietica (Pcus) adottò un programma secondo cui il periodo di transizione del socialismo, che Marx e Lenin sostenevano essere situato tra il capitalismo e il vero comunismo, doveva essere completato nell’arco di dieci anni e che la fase finale del comunismo sarebbe iniziata solamente allora.

«La costruzione di una società comunista è il compito quotidiano e immediato del popolo sovietico», c’era scritto nel documento redatto dal partito alla guida dell’Urss. Entro il 1970, si prometteva che l’Unione Sovietica avrebbe «superato il più forte e ricco paese capitalista, gli Stati Uniti, nel livello di produzione pro capite».

Il 1980 avrebbe poi segnato la completa e definitiva vittoria del socialismo e la completa attuazione di una società comunista. L’Unione Sovietica avrebbe assicurato ai suoi cittadini «un livello di vita superiore a quello di qualsiasi paese capitalista» e sarebbe stato il paese con «la giornata lavorativa più breve del mondo ma, al contempo, la più produttiva e meglio pagata».

L’intera popolazione sarebbe stata anche «in grado di soddisfare adeguatamente i suoi bisogni in alimenti di alta qualità e varietà» e, sempre entro il 1980, ci sarebbe stata una tale «abbondanza di benefici materiali e culturali per tutta la popolazione» che il paese sarebbe stato in grado di passare a quello che Marx chiamava «il principio comunista di distribuzione secondo il bisogno».

Il programma impiegava esplicitamente le espressioni che Marx aveva utilizzato nella sua “Critica del programma di Gotha”, dove aveva promesso: «In una fase superiore della società comunista, dopo che è svanita la subordinazione schiavizzante dell’individuo alla divisione del lavoro, e con essa anche l’antitesi tra lavoro mentale e lavoro fisico; dopo che il lavoro è diventato non solo un mezzo di vita, ma il bisogno principale della vita; dopo che anche le forze produttive sono aumentate con lo sviluppo integrale dell’individuo, e tutte le sorgenti della ricchezza cooperativa scorrono più abbondantemente, solo allora l’angusto orizzonte della destra borghese può essere attraversato nella sua interezza e la società iscriverà sulle sue bandiere: da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo le sue necessità». E questo era precisamente il punto d’arrivo che il Pcus aveva promesso di raggiungere al più tardi nel 1980.

Nessuno di questi obiettivi fu raggiunto. Anche se l’Unione Sovietica aveva una popolazione di 270 milioni nel 1982, il 16% in più degli Stati Uniti (232 milioni), quell’anno furono vendute 44 milioni di radio negli Stati Uniti, contro i 6 milioni dell’Urss. Inoltre, negli Stati Uniti furono vendute 8 milioni di automobili e solo 1,4 milioni nell’Urss, 29 milioni di registratori a cassetta furono venduti negli Stati Uniti contro i 3,2 milioni dell’Urss.

Nel 1981, l’anno in cui, secondo le promesse fatte vent’anni prima, il comunismo avrebbe dovuto pienamente realizzarsi, una comparazione tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica confermava quanto segue: «Negli anni ’80, gli standard di vita in Urss miglioreranno probabilmente molto più lentamente che in passato, a causa delle previste gravi limitazioni alla crescita economica […] Questi sono alcuni dei principali risultati di un’ampia indagine sul consumo pro capite in Urss e negli Stati Uniti nel 1976, basata sui dati della spesa al dettaglio a parità di potere d’acquisto.

Nel 1976, i consumi reali pro capite in Unione Sovietica erano il 34,4% di quelli degli Stati Uniti: questo valore rappresenta la media del raffronto in rubli (27,6%) e in dollari (42,8%). Tale confronto, inoltre, è distorto a favore dell’Urss a causa dell’incapacità di tenere pienamente conto della notoriamente scarsa qualità e del ristretto assortimento di beni e servizi in Russia.

Il confronto non può nemmeno tenere conto del sistema di distribuzione irregolare e rudimentale, e delle soventi carenze di prodotti che rendono gli acquisti difficili per i consumatori sovietici. Sulla base di tale raffronto, i consumatori sovietici si avvicinano di più alle loro controparti americane nel consumo di cibo, bevande e tabacco (54%) e beni di consumo (39%). Il ritardo sovietico è enorme (meno del 20% del livello americano) nei beni di consumo durevoli e nelle normali spese necessarie per il mantenimento dell’abitazione».

Quando Mikhail Gorbaciov lanciò il suo programma di riforme in Unione Sovietica a metà degli anni ’80, il sistema crollò nel caos. Non fu sostituito, ovviamente, da una società libera e capitalista, ma da un sistema di capitalismo clientelare, che rimane economicamente inefficiente ancora oggi e che ha portato a un prodotto interno lordo addirittura inferiore a quello italiano, nonostante le maggiori dimensioni del paese e la sua ricchezza di materie prime.

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